Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7468 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7468 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PISANO GIUSEPPE N. IL 19/03/1974
avverso l’ordinanza n. 1136/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 10/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GE
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 0, k,A,Iz
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Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 10 maggio 2013, ha
accolto l’appello proposto dal Pubblico Ministero e in riforma dell’ordinanza del

cautelare degli arresti domiciliari, ha applicato a Pisano Giuseppe indagato per il
delitto di violenza privata la chiesta misura cautelare personale degli arresti
domiciliari.
2.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato,

a mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una violazione di legge e la illogicità della motivazione con particolare
riferimento alla correlazione tra chiesto e pronunciato (custodia in carcere e
arresti domiciliari);
b)

una violazione di legge e una motivazione illogica in merito

all’affermazione della sussistenza di indizi del delitto di violenza privata e non di
quello ritenuto dal GIP di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con
conseguente procedibilità a querela di parte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è da rigettare.
2. Il primo motivo è pretestuoso in quanto pur avendo chiesto il RM.
appellante la misura massima custodiale il Tribunale, di converso, ha applicato la
meno grave misura degli arresti domiciliari.
Corretta si appalesa, pertanto, la decisione impugnata alla luce della
menzionata giurisprudenza di questa Corte (v. la citata Cass. Sez. III 14 ottobre
2008 n. 43200).
3. Quanto al merito effettivo si osserva come ancorchè nell’ambito del
giudizio de libertate il G.I.P., in sede di applicazione della misura cautelare,
nonché il Giudice del riesame o dell’appello siano legittimati a modificare la
definizione giuridica data dal RM. al fatto addebitato, fermo restando
quest’ultimo inteso come accadimento della realtà / l’eventuale correzione del
“nomen juris” non può peraltro produrre effetti oltre al procedimento incidentale

1

GIP presso il Tribunale di Palmi, che aveva rigettato la richiesta della misura

in corso (v. Cass. Sez. VI 11 novembre 1998 n. 3503 e Cass. Sez. II 20 ottobre
1999 n. 4638).
Ulteriore corollario dell’enunciato principio è che l’indagato non ha
interesse ad impugnare un’ordinanza applicativa o confermativa di una misura
cautelare al fine di ottenere una diversa qualificazione del fatto, qualora ad essa
non consegua per il medesimo alcuna utilità, ossia qualora il mutamento

Sez. V 9 novembre 2005 n. 45940).
Orbene, nella fattispecie la definizione dei fatti in termini diversi è chiaro
che inficerebbe la legittimità della misura sotto il profilo della disciplina dettata
dall’articolo 280 cod.proc.pen., comma 1 a cagione della diversa pena prevista
dall’articolo 610 rispetto all’articolo 393 cod.pen..
3. D’altro canto, va considerato che il secondo motivo si sostanzia nella
contestazione in fatto dell’impugnata ordinanza e non tiene conto della
peculiarità dell’appello di misure cautelari rispetto al merito effettivo delle
fattispecie ascritte.
Giova premettere, in diritto, come compito del Giudice del merito fosse
quello di analizzare, anche alla luce delle asserzioni defensionali, gli elementi di
prova (e la circostanza che essi in materia cautelare si chiamino indizi è, a questi
fini, mera variante terminologica), verificarne il significato e la univocità; offrire
completa giustificazione del perché, a suo avviso, i fatti s’attagliassero alla
fattispecie astratta e giustificassero le conclusioni raggiunte circa la fattispecie
concreta, ovvero, per la materia, circa la perdurante sussistenza di gravi indizi di
responsabilità.
Il giudizio prognostico in tal senso era, dunque, indispensabile, pur
dovendo essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di
responsabilità già raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro
indiziario alla luce di possibili successive acquisizioni e all’esito del
contraddittorio.
I gravi indizi null’altro sono, d’altro canto, che “una prova allo stato degli
atti”, valutata dal Giudice allorché la formazione del materiale probatorio è di
norma ancora in itinere.
È così soltanto l’aspetto di una possibile evoluzione “dinamica”, non la
differente intrinseca capacità dimostrativa, a contraddistinguere la valutazione
della prova in sede cautelare rispetto alla valutazione nel giudizio di cognizione
(v. Cass. Sez. I 4 maggio 2005 n. 19867 e Sez. I 17 maggio 2011 n. 19759).

2

invocato non incida sulla possibilità di adottare o mantenere la misura (v. Cass.

Di converso, il motivo del ricorso si caratterizza per una completa
rivisitazione in punto di fatto degli elementi indiziari che il Tribunale ha ritenuto
idonei a giustificare la chiesta misura cautelare personale e, pertanto, giunge a
richiedere a questa Corte di legittimità un’operazione non consentita, pari a
quella di un inesistente ulteriore grado di merito, come si evince, per esempio,
dalla valutazione circa l’attendibilità delle parti offese Giove Steccanella e Laruffa

Inoltre e in punto di diritto, si osserva da questa Corte come ricorra il
reato di ragion fattasi nel caso in cui la pretesa arbitrariamente attuata
dall’agente corrisponda perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in
concreto dall’ordinamento giuridico, essendo il reato caratterizzato solo dalla
sostituzione, da parte dell’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello
privato: il delitto de quo si traduce infatti nell’indebita attribuzione a sè stesso da
parte del privato di poteri e facoltà spettanti al Giudice e l’autore deve essere
animato dal fine di esercitare un proprio diritto con la coscienza che l’oggetto
della pretesa gli competa effettivamente e giuridicamente, sebbene non si
richieda che essa sia realmente fondata (v. la citata, Cass. Sez. V 26 ottobre
2006 n. 38820).
Indubbiamente, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è poi
necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti
insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in
essere un comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione
particolarmente grave: in tale ottica si è ritenuta ipotesi di violenza privata e non
di esercizio arbitrario con riguardo a comportamenti, ad esempio, di percosse ad
un debitore (v. la citata, Cass. Sez. V 1 ottobre 1999 n. 13162).
Infine quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha fatto uso del
principio, ampiamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui,
in tema di misure cautelari personali, con particolare riguardo alla applicazione
con modalità meno gravose per l’interessato o alla sostituzione con altra meno
grave, l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo
decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle
relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza
sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del
trattamento cautelare (v. Cass. Sez. V 2 febbraio 2010 n. 16425).
Nella specie non risulta che l’imputato avesse addotto, dinanzi al
Tribunale, elementi nuovi utili ai fini prognostici e indebitamente pretermessi dal
Tribunale, tale non potendosi considerare, per l’appunto, né il trascorrere del
3

Giuseppe.

tempo in sè, né l’assoggettamento alla misura cautelare in corso, condotta
scarsamente sintomatica di resipiscenza in quanto finalizzata in primis ad evitare
l’aggravamento della posizione cautelare dell’indagato.
4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato
al pagamento delle spese processuali .

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28/11/2013.

P.T.M.

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