Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7465 del 28/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 7465 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti dai difensori di:
Napoleoni Monica, nata a Roma, 1’1/11/1963;
Gubbiotti Stefano, nato a Perugia, il 9/12/1960;
Squarta Stefania, nata a Passignano sul Trasimeno, il 20/8/1966;

avverso l’ordinanza del 5/3/2013 del Tribunale di Perugia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Oscar
Cedrangolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato con riguardo alle posizioni del Gubbiotti e della Squarta e per
l’inammissibilità del ricorso della Napoleoni;
uditi per Napoleoni Monica gli avv. Nicola Di Mo e Giosuè Bruno Naso, per Gubbiotti
Stefano l’avv. Michele Nannarone e per Squarta Stefania l’avv. Francesco Maresca, che
hanno tutti concluso chiedendo raccoglimento dei rispettivi ricorsi.

Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 5 marzo 2013 il Tribunale di Perugia, in riforma del
provvedimento con cui il G.i.p. della stessa città aveva rigettato le richieste cautelari
del pubblico ministero e su impugnazione ex art. 310 c.p.p. di quest’ultimo, applicava
a Napoleoni Monica, Gubbiotti Stefano e Squarta Stefania la misura cautelare

Sovrintendente ed Assistente Capo della Polizia di Stato rispettivamente ricoperti in
relazione al reato di accesso abusivo ad un sistema informatico, aggravato ai sensi dei
commi secondo e terzo dell’art. 615 ter c.p. e dell’art. 61 n. 10 c.p., commesso in
concorso con Zugarini Loredana.
I fatti in contestazione riguardano plurime interrogazioni effettuate allo SDI dalla
postazione della Zugarini presso gli uffici della Squadra Mobile di Perugia da parte
della stessa, nonché della Squarta e del Gubbiotti (ognuno utilizzando le proprie
credenziali), al fine di ottenere informazioni concernenti Ciammarughi Francesca,
psicologa incaricata come consulente d’ufficio dal Tribunale dei Minorenni nel
procedimento per l’affidamento del figlio della Napoleoni, superiore gerarchico della
Zugarini e del Gubbiotti e considerata, nella prospettazione accusatoria accolta dal
provvedimento impugnato, la mandante degli accessi al sistema informatico, ritenuti
abusivi dai giudici dell’appello cautelare in quanto compiuti non per esigenze attinenti
ad indagini in corso presso l’ufficio cui tutti gli indagati appartenevano.

2. Avverso il provvedimento ricorrono per mezzo dei rispettivi difensori tutti e tre gli
indagati.
2.1 II ricorso proposto nell’interesse della Napoleoni articola due motivi. Con il primo si
denunciano vizi motivazionali dell’ordinanza impugnata, evidenziando come il
Tribunale abbia estratto dal compendio indiziario contenuti probatori invero inesistenti,
sostenendo tale operazione attraverso affermazioni inevitabilmente apodittiche. In
particolare, con riguardo alla ricostruzione del movente dell’indagata cui il
provvedimento assegna un ruolo fondamentale nel giudizio di gravità indiziaria, il
ricorso sottolinea come il momento in cui l’indagata avrebbe avuto effettiva
conoscenza del contenuto della consulenza della Ciammarughi sia stato
arbitrariamente ed illogicamente fatto coincidere con quello in cui il difensore della
Napoleoni ne aveva preso solo sommaria visione presso la cancelleria (il 13 novembre
2012), anzichè con quello in cui lo stesso aveva ottenuto il rilascio della copia formale
dell’atto (il successivo 21 novembre). Non di meno, sempre con riguardo alla
configurabilità del presunto movente, il giudice d’appello avrebbe omesso di

interdittiva della sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici di Sostituto Commissario,

considerare come all’udienza del 10 dicembre 2012 dinanzi al Tribunale dei Minorenni,
per come risulterebbe dal relativo verbale, l’indagata non si fosse opposta al percorso
terapeutico suggerito dalla Ciammarughi. Quanto al presunto colloquio tra la Napoleoni
e la Zugarini negli uffici della Squadra Mobile la mattina del 14 novembre 2012 e
l’altrettanto presunto mandato ad accedere allo SDI che la stessa mattina la prima
avrebbe conferito alla seconda via sms, tali circostanze sarebbero state ancora una
volta arbitrariamente ricavate dal Tribunale, conferendo capacità rappresentativa ad

l’incarico a commettere un crimine possa essere dato per telefono. Ulteriore
travisamento sarebbe poi stato consumato in merito all’inequivocabile significato del
documento difensivo relativo alla partecipazione dell’indagata ad una riunione in
Questura la mattina del 16 novembre 2012. La ricorrente contesta ancora
l’interpretazione fornita dai giudici d’appello di alcune delle frasi scambiate tra
l’indagata e la Squarta via sms ed intercettate nel corso delle indagini, rilevandone
nuovamente l’arbitrarietà rispetto all’evidenza testuale. Ed analoghe censure il ricorso
muove con riguardo ai messaggi intervenuti tra la Napoleoni e l’avv. Donatelli,
evidenziando altresì la contraddittorietà della motivazione sul punto, atteso che è lo
stesso provvedimento impugnato ad ammettere come l’interpretazione del significato
di tali messaggi assunta a fondamento della valutazione di gravità indiziaria non possa
ritenersi con certezza quella corretta. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta
ulteriori vizi motivazionali dell’ordinanza in merito alla ritenuta sussistenza delle
esigenze cautelari, rilevando il difetto di specificità sul punto delle argomentazioni
svolte dai giudici perugini. Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, infatti,
sarebbe stata omessa l’illustrazione delle precise circostanze di fatto dalle quali lo
stesso poteva essere desunto, mentre con riguardo a quello di recidivanza difetterebbe
la doverosa analisi complessiva delle modalità del fatto e della personalità
dell’indagata pur normativamente imposta ai fini della valutazione dell’esigenza di cui
alla lettera c) dell’art. 274 c.p.p.
2.2 Anche il ricorso del Gubbiotti articola due motivi. Con il primo lamenta l’errata
applicazione della legge penale, atteso che ai fini della sussistenza del reato di cui
all’art. 615 ter c.p. sarebbe necessario che l’agente acceda al sistema informatico
violando le prescrizioni all’uopo stabilite dal titolare del medesimo, cosa non avvenuta
nel caso di specie, atteso che il Gubbiotti avrebbe compiuto attività compatibile con
quella per cui aveva conseguito le credenziali di accesso, agendo su sollecitazione della
collega Zugarini – e dunque nella legittima convinzione che l’interrogazione SDI
richiestagli attenesse ad altrettanto legittime esigenze investigative della medesima e senza trasgredire alcuna disposizione organizzativa, invero mai adottata dal
funzionario responsabile della Squadra Mobile, rimanendo dunque irrilevanti gli
eventuali scopi che avrebbero mosso l’indagato. In ogni caso le evidenziate circostanze

elementi di valore del tutto neutro e ciò a tacere del fatto che appare illogico che

renderebbero comunque palese per il ricorrente il difetto in capo allo stesso del dolo
necessario per il perfezionamento del reato in contestazione, come del resto il
Tribunale avrebbe potuto evincere dalle dichiarazioni rese dal Gubbiotti nel corso del
suo interrogatorio. Con il secondo motivo vengono invece dedotti vizi motivazionali in
merito alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, segnalandosi in proposito
come il Tribunale si sia limitato ad astratte congetture in merito all’effettiva
configurabilità del pericolo di recidivanza, anche tenuto conto del fatto che il Gubbiotti

inquinamento probatorio non sussisterebbe alcun concreto elemento – né il
provvedimento impugnato l’avrebbe esposto – in grado di giustificare l’adozione di una
misura cautelare con riferimento alla lettera a) dell’art. 274 c.p.p.
2.3 II ricorso proposto nell’interesse della Squarta articola a sua volta due motivi, in
larga parte sovrapponibili a quelli del Gubbiotti. Con il primo infatti si lamenta l’errata
applicazione dell’art. 615 ter c.p., rilevandosi come l’esecuzione dell’accesso per
finalità diverse da quelle investigative attiene per appunto agli scopi della condotta di per sé irrilevanti ai fini della tipicità del fatto – e non costituisce di per sé una
violazione delle prescrizioni imposta dal titolare del sistema. Per converso l’indagata
avrebbe operato con lo SDI utilizzando ritualmente le proprie credenziali e per
compiere un accertamento che rientrava nelle sue competenze, accertamento
richiestogli da una collega dello stesso reparto, senza che ciò dovesse implicare la
conoscenza delle finalità irrituali per cui era stata avanzata. Tutti profili sui quali la
ricorrente denuncia anche il difetto di motivazione da parte del giudice dell’appello
cautelare. Ed analoghe censure alla motivazione del provvedimento impugnato
vengono avanzate con riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari ritenute dai
giudici dell’appello cautelare, rilevando l’astrattezza dell’apparato giustificativo
adottato a sostegno della ritenuta configurabilità del pericolo di recidivanza e di quello
di inquinamento della prova.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Nell’esaminare i motivi sopra illustrati appare opportuno trattare innanzi tutto le
doglianze relative all’errata applicazione dell’art. 615 ter c.p. proposte con i ricorsi di
Gubbiotti e Squarta, per il loro potenziale valore assorbente.
1.1 Doglianze che peraltro si rivelano infondate.
1.2 Tanto l’ordinanza impugnata, quanto i ricorrenti si sono richiamati al dictum delle
Sezioni Unite, per cui integra il delitto previsto dall’art. 615 ter c.p. colui che, pur
essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico
protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni
impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo

è stato nel frattempo privato dell’abilitazione SDI, mentre con riguardo al pericolo di

invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano
soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema (Sez. Un., n. 4694/12 del 27 ottobre
2011, Casani ed altri, Rv. 251269). Il Tribunale ha richiamato tale principio per
sostenere l’abusività degli accessi contestati, ritenendo in tal senso che gli indagati
avessero violato le prescrizioni rilasciate dal dominus foci, avendo gli stessi interrogato
il sistema nonostante nella schermata d’ingresso fosse chiaramente indicato che la
consultazione era consentita esclusivamente a fini investigativi; i ricorrenti, per

l’utilizzo delle proprie credenziali da parte degli indagati e lo svolgimento di ricerche
oggettivamente compatibili con quelle per cui le stesse credenziali erano state
rilasciate, costituiscano elementi incompatibili con l’affermata abusività degli accessi,
dovendo considerarsi lo scopo per cui questi erano stati effettuati del tutto irrilevante.
1.3 Non appare a questo punto superfluo richiamare il passaggio saliente della
motivazione di tale pronunzia e verificare l’applicazione che in concreto del principio
affermato hanno fatto le Sezioni Unite.
1.4 Con riguardo al primo profilo la sentenza Casani recita:

Rilevante deve ritenersi,

perciò, il profilo oggettivo dell’accesso e del trattenimento nel sistema informatico da
parte di un soggetto che sostanzialmente non può ritenersi autorizzato ad accedervi ed
a permanervi sia allorquando violi i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni
impartite dal titolare del sistema (nozione specificata, da parte della dottrina, con
riferimento alla violazione delle prescrizioni contenute in disposizioni organizzative
interne, in prassi aziendali o in clausole di contratti individuali di lavoro) sia
allorquando ponga in essere operazioni di natura ontologicamente diversa da quelle di
cui egli è incaricato ed in relazione alle quali l’accesso era a lui consentito.
In questi casi è proprio il titolo legittimante l’accesso e la permanenza nel sistema che
risulta violato: il soggetto agente opera illegittimamente, in quanto il titolare del
sistema medesimo lo ha ammesso solo a ben determinate condizioni, in assenza o
attraverso la violazione delle quali le operazioni compiute non possono ritenersi
assentite dall’autorizzazione ricevuta.
Il dissenso tacito del dominus loci non viene desunto dalla finalità (quale che sia) che
anima la condotta dell’agente, bensì dall’oggettiva violazione delle disposizioni del
titolare in ordine all’uso del sistema. Irrilevanti devono considerarsi gli eventuali fatti
successivi: questi, se seguiranno, saranno frutto di nuovi atti volitivi e pertanto, se
illeciti, saranno sanzionati con riguardo ad altro titolo di reato (rientrando, ad
esempio, nelle previsioni di cui agli artt. 326, 618, 621 e 622 cod. pen.).
Ne deriva che, nei casi in cui l’agente compia sul sistema un’operazione pienamente
assentita dall’autorizzazione ricevuta, ed agisca nei limiti di questa, il reato di cui
all’art. 615-ter cod. pen. non è configurabile, a prescindere dallo scopo eventualmente
perseguito; sicché qualora l’attività autorizzata consista anche nella acquisizione di

converso, per negare la configurabilità del reato in contestazione, rilevando come,

dati informatici, e l’operatore la esegua nei limiti e nelle forme consentiti dal titolare
dello ius exdudendi, il delitto in esame non può essere individuato anche se degli
stessi dati egli si dovesse poi servire per finalità illecite.
Il giudizio circa l’esistenza del dissenso del dominus loci deve assumere come
parametro la sussistenza o meno di un’obiettiva violazione, da parte dell’agente, delle
prescrizioni impartite dal dominus stesso circa l’uso del sistema e non può essere
formulato unicamente in base alla direzione finalistica della condotta,

Vengono in rilievo, al riguardo, quelle disposizioni che regolano l’accesso al sistema e
che stabiliscono per quali attività e per quanto tempo la permanenza si può protrarre,
da prendere necessariamente in considerazione, mentre devono ritenersi irrilevanti, ai
fini della configurazione della fattispecie, eventuali disposizioni sull’impiego successivo
dei dati.
1.5 Soprattutto da quest’ultimo passaggio della motivazione emerge chiaramente
l’effettiva estensione del principio affermato dalle Sezioni Unite, che, infatti,
nell’applicarlo hanno ritenuto configurabile il reato ex art. 615 ter c.p. in una
fattispecie in cui un carabiniere aveva consultato proprio lo SDI per esigenze diverse
da quelle di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione
dei reati per cui era stato legittimato ad operare sul sistema. Nell’occasione la Corte
non ha coerentemente preso in considerazione le finalità per cui il militare aveva agito
e la loro radicale estraneità ai compiti di istituto (procurare informazioni riservate sul
conto di un soggetto al coniuge separato del medesimo), ma ha ritenuto abusivo
l’accesso in quanto oggettivamente contrastante con la prescrizione di cui si è detto,
nonostante lo stesso militare avesse utilizzato le proprie credenziali e le informazioni
raccolte rientrassero per tipologia tra quelle pl:te egli era legittimato, sussistendone i
presupposti, a consultare la banca dati.
1.6 La fattispecie in relazione alla quale è stato affermato il principio invocato dai
ricorrenti risulta all’evidenza sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio e
pertanto la verifica sulla correttezza dell’applicazione della legge penale da parte del
Tribunale si riduce a quella dell’accertamento della natura delle indicazioni contenute
nella schermata d’ingresso allo SDI. Questione che invero il ricorso del Gubbiotti ha
eluso – sostenendo apoditticamente l’assenza di prescrizioni che vietassero agli
operatori legittimati accessi non motivati da esigenze investigative – e che invece
quello della Squarta, in maniera non meno assertiva, si limita a risolvere relegando il
motivo dell’accesso nella sfera delle finalità irrilevanti per la configurabilità del reato.
1.7 In proposito deve invece ritenersi che gli accessi contestati agli indagati siano
stati effettuati invito domino, in quanto la preventiva espressa selezione da parte del
titolare del sistema di una determinata situazione quale presupposto per la
consultazione dello stesso costituisce indubbiamente una prescrizione che definisce le

soggettivamente intesa.

condizioni oggettive che legittimano l’operatività sullo SDI anche e soprattutto da
parte dei soggetti autorizzati ad operarvi in quanto in possesso delle credenziali di
accesso. L’indicazione contenuta nella schermata menzionata nell’ordinanza – e cioè
che le informazioni contenute nella banca dati erano «consultabili esclusivamente
durante l’attività investigativa» – poneva dunque un espresso e perentorio divieto di
accedere al sistema per esigenze diverse da quelle d’indagine, con la conseguenza
che lo scopo “privato” dell’ingresso non attiene meramente alla sfera delle altrimenti

menzionato divieto. In breve: la condotta imputata deve considerarsi normotipo non
tanto perché gli indagati hanno agito per finalità estranee ai compiti d’istituto, quanto
perché non hanno interrogato lo SDI per l’unica ragione per la quale erano autorizzati
a farlo. Né può ritenersi che tale prescrizione non fosse conosciuta dagli odierni
indagati, atteso che a tacer d’altro – come efficacemente sottolineato dal
provvedimento impugnato – per ricercare le informazioni cui volevano accedere
dovevano prima “cliccare” sul tasto di conferma dell’avvenuta lettura della schermata
di cui si è detto.

2. Il ricorso del Gubbiotti deve invece ritenersi fondato sotto altro profilo.
2.1 Il ricorrente, infatti, coglie nel segno laddove, sotto la rubrica della violazione
della legge penale, invero lamenta soprattutto il difetto di motivazione in merito alla
sussistenza del superamento della soglia di gravità indiziaria in relazione alla
consapevolezza da parte dell’indagato che l’accesso sollecitatogli dalla collega
Zugarini (le cui credenziali, in quanto inferiore in grado, non le consentivano la
consultazione di alcune categorie di dati) non fosse motivato da effettive esigenze
d’indagine. Deve infatti ribadirsi che, in sede cautelare, la sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza deve essere valutata sia con riguardo all’elemento oggettivo del reato,
sia con riguardo all’elemento soggettivo, il cui apprezzamento può essere eseguito
sulla base dei fatti che costituiscono la condotta materiale, ma deve tenere conto di
tutti gli elementi accertati (Sez. 5, n. 42368 del 23 settembre 2004, Stabile ed altri,
Rv. 229952). Posto che il Gubbiotti e la Zugarini operavano a stretto contatto
nell’ambito dello stesso ufficio non è inverosimile, come prospettato dall’indagato nel
corso del suo interrogatorio, che la fiducia determinata dai rapporti di colleganza gli
avesse fatto presumere la legittimità della richiesta senza svolgere alcuna verifica in
proposito. Ed il Tribunale non ha spiegato perché tale ipotesi sarebbe smentita dalle
risultanze in atti, ma nemmeno ha giustificato la deduzione per cui sicuramente il
Gubbiotti venne richiesto di interrogare lo SDI direttamente dalla Napoleoni e non
dalla Zugarini, affermazione che in ogni caso avrebbe richiesto l’esplicitazione delle
ragioni per cui anche in questo caso egli avrebbe effettivamente saputo ab initio di
agire nell’interesse privato della sua dirigente e non per compiti di istituto (né in tal

irrilevanti finalità dell’agente, ma rappresenta la prova dell’oggettiva violazione del

senso può considerarsi sufficiente l’evidente paralogismo cui fugacemente sono ricorsi
in alcuni passaggi i giudici perugini per cui, raggiunta la prova della consapevolezza
della Zugarini e della Squarta, se ne dovrebbe indurre anche quella del Gubbiotti).
2.2 Infondata è invece l’analoga doglianza avanzata, peraltro in maniera assai
generica e confusa, con il ricorso della Squarta. Infatti con riguardo alla posizione di
quest’ultima i giudici dell’appello cautelare hanno dedotto in maniera tutt’altro che
illogica la consapevolezza dell’indagata sulla natura dell’incarico ricevuto dalle sue

Napoleoni il 17 dicembre 2012, la cui interpretazione è stata giustificata in maniera
altrettanto logica – e dunque insindacabile in questa sede – dal Tribunale alla luce
dell’intero contesto indiziario, risolvendosi le obiezioni in proposito sollevate dalla
ricorrente nell’inammissibile tentativo di sollecitare questa Corte ad un riesame del
meritotlla valutazione compiuta nel provvedimento impugnato.

3. Fondati sono anche i motivi proposti sia dal Gubbiotti che dalla Squarta con
riguardo alle esigenze cautelari.
3.1 Deve infatti ammettersi che la motivazione resa dal Tribunale sul punto con
specifico riguardo alla posizione dei due indagati non può ritenersi sufficiente. Infatti,
con riguardo a quella di cui alla lett. c) dell’art. 274 c.p.p., il provvedimento si
concentra sulla posizione della Napoleoni e sulle circostanze indicative della sua
personale pericolosità, deducendone in maniera tanto automatica, quanto apodittica
anche quella dei due indagati summenzionati, per di più in difetto di qualsiasi analisi
della personalità dei medesimi e senza tener nemmeno conto dell’occasionalità delle
condotte loro eventualmente ascrivibili e dell’eventuale rilevanza dei rapporti di
colleganza e/o subordinazione gerarchica che li legavano alla menzionata Napoleoni,
correttamente individuata come l’ideatrice del disegno criminoso alla cui realizzazione
avrebbero collaborato.
3.2 Anche con riguardo alla configurabilità del pericolo di inquinamento probatorio la
motivazione non risponde ai parametri di completezza che definiscono le condizioni di
legittimità dell’ordinanza che la contiene. Infatti, ancora una volta le giustificazioni
offerte dal Tribunale riguardano precipuamente la posizione della Napoleoni. E’
quest’ultima infatti la vera protagonista degli episodi di presunto inquinamento cui il
provvedimento fa riferimento, mentre la rilevanza sintomatica del comportamento
tenuto dalla Squarta in una delle occasioni menzionate avrebbe richiesto una specifica
o e ssu t,
dimostrazione da parte del Tribunale. Quanto al Gubbiotti l’ordinanza in 12~ modo
chiarisce quali sarebbero le circostanze di fatto da cui sia stata dedotta la
summenzionata esigenza cautelare, atteso che egli è rimasto estraneo agli episodi
citati.

stesse “parole” e cioè dal contenuto degli sms che la medesima si è scambiata con la

4. Infondato e per certi aspetti invero inammissibile è infine il ricorso della Napoleoni.
4.1 Posto che diverse delle censure avanzate dalla ricorrente con il primo motivo si
risolvono nella denuncia di presunti travisamenti della prova è opportuno innanzi tutto
ricordare i principi fissati da questa Corte in merito alla deducibilità di tale vizio.
Come noto, ai sensi delle modifiche apportate all’art. 606 comma 1, lett. e) c.p.p., il
vizio di motivazione rilevante può risultare, oltre che dal testo del provvedimento
impugnato, anche “da altri atti del processo”, purché siano “specificamente indicati

motivazione (cui è

equiparabile la contraddittorietà logica tra argomenti della

motivazione), caratterizzata dal limite della rilevabilità testuale, si è affiancata la
contraddittorietà tra la motivazione e l’atto a contenuto probatorio.
L’informazione “travisata” (la sua esistenza – inesistenza) o non considerata deve,
peraltro, essere tale da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso.
Inoltre, la nuova disposizione impone, ai fini della deduzione del vizio di motivazione,
che l'”atto del processo” sia, come già ricordato, “specificamente indicato nei motivi di
gravame”.
Sul ricorrente, dunque, grava, oltre all’onere di formulare motivi di impugnazione
specifici, anche quello di individuare ed indicare gli atti processuali che intende far
valere (e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati,
avrebbero dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle
forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione. Qualora, poi,
la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di
riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani,
giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare
compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare
l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv
241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141).
Infine va ricordato che il vizio in questione concerne esclusivamente l’errore
cosiddetto revocatorio, che, cadendo sul significante e non sul significato della prova,
si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di
quanto riportato dall’atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del 21 gennaio 2011, Carone,
Rv. 250168).
4.2 Ciò premesso, quanto all’omessa valutazione del contegno tenuto dalla Napoleoni
all’udienza dinanzi al Tribunale dei Minorenni, la doglianza è palesemente
inammissibile, non avendo la ricorrente manifestato le ragioni della presunta
decisività della circostanza. Manifestamente infondata ed anche generica è invece la
censura relativa alla presunta retrodatazione del momento in cui l’indagata avrebbe
avuto conoscenza del contenuto della relazione della Ciammarughi. In proposito,
infatti, il Tribunale ha fornito esauriente e non manifestamente illogica giustificazione

nei motivi di gravame”. Ciò comporta, in altre parole, che all’illogicità intrinseca della

del suo convincimento, mentre la lamentela si risolve, nella sua ultima sostanza,
nell’obiezione per cui il difensore della medesima non avrebbe potuto comunicarle,
nemmeno per grandi linee, il contenuto della suddetta relazione avendone effettuato il
13 novembre 2012 solo una rapida lettura in cancelleria. Obiezione che appare tanto
assertiva quanto illogica, atteso che, se tale è l’oggetto del contendere, non si
comprende per quale motivo il legale della Napoleoni, anche attraverso una
eventualmente veloce lettura, non avrebbe potuto comprendere il senso delle

cliente.
4.3 Parimenti inammissibili sono le doglianze – sempre sollevate con il primo motivo
di ricorso – relative ai contatti tra l’indagata e la Zugarini la mattina del 14 novembre
2012. Infatti i giudici del merito hanno tratto l’evidenza del contenuto di tali contatti
(e cioè quello di concordare le ricerche sullo SDI) dalla significante coincidenza
temporale tra gli sms che le due donne si sono scambiate e gli accessi abusivi
compiuti dalla postazione della Zugarini, nonché dal fatto che questi ultimi fossero
finalizzati all’acquisizione di informazioni di esclusivo interesse della Napoleoni. La
linea argomentativa così sviluppata appare immune da qualsiasi caduta di
consequenzialità logica e coerente al compendio probatorio di riferimento, mentre la
ricorrente si è limitata a contestare in maniera apodittica la presunta neutralità
dell’intervenuto scambio di messaggi senza, per l’appunto, confrontarsi
compiutamente con il ragionamento svolto dal giudice dell’appello cautelare, rivelando
in tal modo l’assoluta aspecificità dell’impugnazione sul punto, mentre l’osservazione
sulla presunta inverosimiglianza del conferimento di un mandato criminale per
telefonE4 risulta priva di pregio logico oltre che assolutamente generica. Quanto poi
all’arbitrarietà della svalutazione di quella che sarebbe una sorta di prova d’alibi (e
cioè il documento da cui si evincerebbe che la Napoleoni la mattina dello stesso 14
novembre era stata convocata alla riunione della Commissione protezione sociale e
benessere del personale) la ricorrente non si è premurata, se non in maniera del tutto
apodittica e generica, di confutare le puntuali argomentazioni svolte dal Tribunale per
contestare la decisività della circostanza e cioè che non vi sarebbe prova che la
riunione si fosse effettivamente tenuta o che l’indagata vi avesse partecipato, ma,
soprattutto, che l’orario della medesima non sarebbe incompatibile con la possibilità
per la Napoleoni di incontrare prima del suo inizio la Zugarini nei locali della Questura
e ciò a tacere dell’oggettivo riscontro dei contatti tra le due costituito dai già
menzionati sms.
4.4 Con riguardo, infine, alle censure relative all’interpretazione resa dal Tribunale in
merito al contenuto dei messaggi, oggetto di intercettazione, scambiati tra la
Napoleoni e, rispettivamente, la Squarta e l’avv. Donatelli, non può non evidenziarsi
come le stesse si riducano alla prospettazione di una lettura soggettivamente

conclusioni assunte dalla consulente, essendo quindi in grado di riportarlo alla propria

orientata del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal
giudice di merito nel tentativo di sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli
sono precluse ai sensi della lett. e) del citato art. 606. Ciò premesso e ricordato che in
sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una
intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del

il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed
incontestabile (Sez. 6, n. 11189 del 8 marzo 2012, Asaro, Rv. 252190), deve
comunque evidenziarsi come, in merito alla corrispondenza tra l’indagata e la
Squarta, il Tribunale abbia seguito un ragionamento rigoroso e pienamente
giustificato dall’oggettivo contenuto degli sms intercettati, atteso che la menzionata
Squarta ha effettivamente ammesso, attraverso i propri messaggi, di aver effettuato
l’accesso allo SDI e di averlo fatto su richiesta della Napoleoni. In maniera del tutto
logica, dunque, i giudici perugini – alla luce dell’intero contesto indiziario che invece la
ricorrente ha cercato comprensibilmente, ma non per questo legittimamente, di
atomizzare – hanno letto le risposte fornite dall’indagata come il tentativo di arginare
le incaute ammissioni della collega proprio nel timore – rivelatosi fondato – di essere
oggetto di intercettazione. Quanto invece ai messaggi scambiati con la Donatelli,
sempre premesso quanto sopra illustrato, è invece sufficiente ricordare che gli stessi
sono stati citati dal Tribunale solo ad abundantiam

come è reso evidente dal testo

del provvedimento impugnato – né il ricorso ha saputo altrimenti dimostrare la
decisività assunta dall’elemento di prova nella tenuta del ragionamento probatorio
seguito nel provvedimento impugnato.
4.5 Venendo al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsene l’assoluta genericità,
nonché la manifesta infondatezza.
La motivazione del provvedimento impugnato si è infatti diffusa, come già accennato
trattando della posizione degli altri ricorrenti, nell’esplicitazione delle ragioni poste a
sostegno della valutazione sulla sussistenza, con riguardo alla posizione della
Napoleoni, del pericolo di inquinamento della prova e di quello di recidivanza. Quanto
al primo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il Tribunale ha operato
specifico e pertinente riferimento agli episodi – descritti nelle pagine precedenti del
provvedimento – ritenuti indicativi del tentativo di polluzione, episodi la cui univocità
di significato non richiedeva ulteriori annotazioni.
In relazione al pericolo di reiterazione, il provvedimento impugnato insistendo in
maniera circostanziata e con argomentazioni tutt’altro che illogiche sulle modalità del
fatto, ha tratto conclusioni parimenti rigorose sulla sua gravità e sulla personalità
dell’indagata – dovendosi ricordare in proposito come, ai fini dell’affermazione della

travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato

sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, il giudice può porre a fondamento
della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto da cui ha
dedotto anche la sua gravità (Sez. 5, n. 35265 del 12 marzo 2013, Castelliti, Rv.
255763) – mentre il ricorso si limita in proposito a denunciare generici difetti di
motivazione senza preoccuparsi di confutare quella effettivamente resa dal Tribunale.
P.Q.M.

Stefania, nei confronti di quest’ultima limitatamente alle esigenze cautelari, con rinvio al
Tribunale di Perugia per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso della Squarta.
Rigetta il ricorso di Napoleoni Monica che condanna al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso il 28/11/2013

Annulla l’ordinanza impugnata con riguardo alle posizioni di Gubbiotti Stefano e di Squarta

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA