Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7435 del 27/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7435 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FAILLA SALVATORE N. IL 30/06/1952
MAIRA GRAZIA N. IL 05/12/1957
avverso il decreto n. 37/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
12/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Drptt. GEVARDIgy SABEONE ;
lette/seitt-i+e le conclusioni del PG Dott. 44 ; 49 f 44,0
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Data Udienza: 27/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Palermo, con decreto del 21 settembre 2012, ha
respinto la richiesta di revoca avanzata da Failla Salvatore e Maira Grazia, ai
sensi dell’articolo 7 della legge 1423/56, della confisca di beni immobili e di

legge 575/65 e divenuta irrevocabile a seguito del rigetto dei relativi ricorsi
avanti questa Corte in data 8 aprile 2008.
2. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso per cassazione entrambi
gli istanti, a mezzo dei loro difensori e procuratori speciali, lamentando, quale
unico motivo, una violazione di legge per l’assoluta mancanza di motivazione
dell’impugnato provvedimento nonché per la mancanza dei presupposti per il
mantenimento della disposta misura di prevenzione patrimoniale.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria
scritta, ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso o quantomeno il
suo rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Giova premettere come il sindacato di legittimità sui provvedimenti in
materia di prevenzione, in coerenza con la natura e la funzione del relativo
procedimento, sia limitato alla sola violazione di legge (L. n. 1423 del 1956, art.
4, comma 11) e non si estenda al controllo dell’iter giustificativo della decisione,
a meno che questo sia del tutto mancante, nel qual caso ci sarebbe comunque
violazione di legge.
La riserva del ricorso in materia di prevenzione alla “violazione di legge”
non consente di dedurre il vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606
cod.proc.pen. comma 1, lett. e), perché il motivo preveduto da tale norma si
riferisce all’articolo 192 cod.proc.pen., che disciplina la valutazione di prova del
fatto costitutivo di reato.
Come tale si tratta di motivo inconciliabile con il fine del procedimento
che, giurisdizionalizzato per affinità alla materia penale, ha ad oggetto quella
amministrativa di prevenire un pericolo per se stesso, cioè presunto per
“elementi di fatto”.
Il controllo di motivazione del provvedimento, perciò qualificato decreto,
consiste solo nella verifica di rispondenza degli elementi esaminati ai parametri
1

un’azienda con relativi beni strumentali, disposta ai sensi dell’articolo 2 ter della

legali che, imposti da ciascuna norma per l’applicazione della singola misura,
sono vincolanti a differenza dei liberi criteri valutativi, autorizzati dall’articolo 192
per la prova del fatto costitutivo di reato.
Pertanto o il decreto offre elementi e ne trae inferenza secondo parametri
prestabiliti o la sua motivazione è solo apparente.
Nel primo caso non è censurabile, perché il motivo sfocia inevitabilmente

Di qui la riserva del ricorso (v. Cass. Sez. V 8 aprile 2010 n. 19598).
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte dopo alcune oscillazioni, si è
consolidata nell’affermare che il provvedimento di confisca deliberato ai sensi
della L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 3, sia suscettibile di revoca ex
tunc, a norma della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 7, comma 2, allorché
sia affetto da invalidità genetica e debba conseguentemente essere rimosso per
rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione
dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità
dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del
bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita
patrimoniale da lui ingiustamente subita.
Da ciò l’ulteriore evidente corollario che muovendosi tale istituto, di
elaborazione prettamente giurisprudenziale, nello stesso ambito del rimedio
straordinario della revisione del giudicato penale di condanna, non può costituire
nuova prova una diversa valutazione tecnico-scientifica di dati già valutati, che si
tradurrebbe in un apprezzamento critico di emergenze oggettive già conosciute e
delibate nel procedimento (v. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2006 n. 57; Cass. Sez.
I 14 maggio 2008 n. 21369; Cass. Sez. H 14 maggio 2009 n. 25577; Cass. Sez.
I 22 settembre 2010 n. 36224 e da ultimo, Cass. Sez. H 13 gennaio 2102 n.
4312).
A fondamento di tale statuizione sta il rilievo, secondo il quale, deve
reputarsi come soluzione costituzionalmente imposta quella di configurare,
attraverso la revoca in funzione di revisione, un rimedio straordinario teso a
riparare un errore giudiziario.
In vista di questo fine, hanno, infatti, sottolineato le Sezioni Unite di
questa Corte nella innanzi richiamata pronuncia e pur tenendo conto delle
diversità che caratterizzano le misure di prevenzione personali da quelle reali,
sarebbe infatti inconferente parlare di eterogeneità degli interessi tutelati, dato
che anche la lesione del diritto di proprietà appare quale violazione di bene
costituzionalmente protetto, al pari dell’ingiustificata limitazione di libertà.
2

in una alternativa di merito.

Con la conseguenza che nulla impedisce di ritenere accomunati il regime
di revoca delle misure di prevenzione personali a quello reale della confisca,
nell’identità dell’interesse a predisporre un mezzo per la riparazione
dell’ingiustizia.
E ciò facendo leva sull’altra premessa, parimenti coniata dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la revoca di cui alla L. n. 1423 del

possibilità di revisione, proprio nel campo delle misure di prevenzione personali.
Dunque, un istituto chiaramente dettato (quale appunto quello delineato
dalla L. del 1956, articolo 7) per adeguare la misura di prevenzione personale ai
mutamenti di “pericolosità” del prevenuto (alla possibilità di revoca è infatti
affiancata quella di modifica della misura) è stato “plasmato” dalla
giurisprudenza per annettervi la eccezionale portata di rimedio volto a
determinare la rimozione ex tunc della misura, sulla falsariga di una “revisione”
del relativo “giudicato”.
E da ciò si è tratto spunto per giustificarne l’ulteriore, sensibile
“passaggio” della identica estensione interpretativa anche nel campo delle
misure di prevenzione patrimoniali, sempre nella prospettiva di colmare un vuoto
normativo derivante dalla inesistenza, nel settore qui preso in esame, di una
impugnazione straordinaria corrispondente a quella della revisione del giudicato,
posto che, altrimenti, sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di
strumenti normativi che dessero attuazione al disposto costituzionale (articolo
24, ultimo comma), il quale impone che la legge determini le condizioni e i modi
per la riparazione degli errori giudiziari.
L’alveo all’interno del quale è, dunque, consentita la eccezionale “revoca”
della misura patrimoniale, va concettualmente ragguagliato alla straordinarietà
del rimedio ed ai fini che esso deve soddisfare, restando ontologicamente
incompatibile, con tale istituto, qualsiasi possibilità di “riesame” dello stesso
quadro fattuale già delibato in sede di applicazione della misura, posto che, ove
così non fosse, pur restando immutati i “fatti” oggetto del giudizio di
prevenzione, le relative statuizioni giurisdizionali sarebbero rivedibili sine die e
ad nutum.
D’altra parte, ciò è tanto vero che il nuovo codice delle leggi antimafia e
delle misure di prevenzione (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), ha
espressamente previsto (articolo 28) l’istituto della “revocazione della confisca”,
stabilendo che tale rimedio avverso le decisioni definitive sulla confisca di
prevenzione, possa essere richiesto, nelle forme previste dall’articolo 630
3

1956, articolo 7, poteva svolgere una funzione “vicaria” rispetto alla non prevista

cod.proc.pen.: “a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla
conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali
definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del
procedimento di prevenzione, escludono in modo assoluto l’esistenza dei
presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca
sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti

come reato”.
3. Posto, quindi, che i ricorrenti si sono limitati a riproporre una semplice
lettura alternativa delle stesse emergenze già delibate in sede di prevenzione, ed
a fronte delle quali, per di più, i Giudici della prevenzione hanno fornito adeguata
e del tutto esauriente replica, e poiché, dunque, risulta in ogni caso del tutto
carente la prospettazione di un novum, decisivo agli effetti della ammissibilità
della domanda di revoca, i ricorsi testè proposti devono ritenersi inammissibili.
Nella specie, i ricorrenti hanno inoltre confutato, nell’illustrazione delle
doglianze, espressamente la motivazione del provvedimento impugnato, nella
chiara prospettiva di accreditare una diversa interpretazione delle circostanze di
fatto emerse e di togliere così valenza agli elementi posti a base del giudizio di
pericolosità sociale formulato e delle misure di prevenzione adottate.
Il decreto impugnato è sorretto, viceversa, da un apparato argomentativo
corretto e correlato alle risultanze in atti, le quali sono state apprezzate e
valutate nel pieno rispetto di principi normativi esattamente interpretati e
applicati, sicché non è a parlarsi neppure di motivazione mancante o apparente.
4. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili e i
ricorrenti condannato ciascuno al pagamento delle spese processuali e di una
somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2013.

riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge

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