Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7426 del 26/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7426 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 26/09/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Detturres Mauro, nato a Roma il 5.10.1977, avverso l’ordinanza emessa
dal tribunale del riesame di Roma il 23.4.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente il difensore di fiducia, avv. Giulia Mattioli del Foro
di Roma, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con ordinanza emessa il 23.4.2013 il tribunale del riesame di Roma
confermava l’ordinanza con cui il tribunale di Roma, in data 3.4.2013,

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aveva disposto l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza della
libertà vigilata con prescrizioni, per la durata di anni uno nei confronti di
Detturres Mario.
Quest’ultimo, imputato del reato di cui all’art. 612, c.p., veniva assolto
per vizio totale di mente con sentenza pronunciata il 3.4.2013 dal

confronti, con ordinanza, l’applicazione provvisoria della misura di
sicurezza della libertà vigilata per anni uno, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 206, co. 1, e 228, c.p., e, con la stessa sentenza
l’applicazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 205, co. 1, e
228, c.p., della misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di
anni uno.
2. Avverso tale ordinanza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso, a mezzo del suo difensore di fiducia, il Detturres, articolando tre
motivi di impugnazione.
3. Con il primo, il ricorrente lamenta violazione di legge, in quanto
l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza in precedenza
indicata non è stata preceduta dall’interrogatorio del Dettures, imposto
dall’art. 321, c.p.p., non potendosi ritenere tale l’atto compiuto nel corso
dell’udienza dibattimentale dell’8.2.2013, nel corso della quale
l’imputato non è stato sentito in relazione ai fatti contestati, ma ha
fornito risposte “in merito alla possibilità di trovarsi una struttura per
affrontare il problema che poi ha portato appunto all’applicazione della
libertà vigilata” (cfr. p. 2 del ricorso).
4. Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce il vizio di
cui all’art. 606, co. 1, lett. c), c.p.p., sotto il profilo della incompetenza
funzionale del giudice di primo grado nel disporre, come si legge nella
motivazione dell’impugnata ordinanza, “in via definitiva” la misura di
sicurezza della libertà vigilata, come se la sentenza di primo grado fosse
divenuta irrevocabile, per cui la suddetta misura avrebbe dovuto essere
applicata dal tribunale di sorveglianza e non da quello competente per il
merito.

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tribunale di Roma, che, contestualmente, aveva disposto nei suoi

5. Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta vizio di
motivazione in ordine alla valutazione della pericolosità sociale
dell’imputato, in quanto sulla base degli elementi emersi nel corso
dell’istruttoria dibattimentale e degli esiti della consulenza tecnica
disposta d’ufficio, il Detturres risulta non soggetto socialmente

pericoloso, perché non crea allarme sociale, ma affetto da intemperanze
comportamentali, da fronteggiare con strumenti diversi dall’applicazione
di una misura di sicurezza, che lo stesso tribunale del riesame equipara
ad una misura cautelare.
6. Il ricorso non può essere accolto.
7. Ed invero la particolarità del caso in esame, come correttamente
evidenziato dal tribunale del riesame, consiste, come si è già detto, nella
simultanea applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata
per la durata di un anno prevista dall’art. 228, c.p., disposta dal
tribunale procedente, da un lato, con ordinanza, come applicazione
provvisoria nel corso del giudizio di una misura di sicurezza, ai sensi
dell’art. 206, co. 1, c.p., come modificato dall’intervento additivo operato
dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 367 del 29 novembre 2004,
che ha consentito l’applicazione in via provvisoria anche di una misura di
sicurezza non detentiva prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla
persona inferma di mente cure adeguate ed a contenere la sua
pericolosità sociale, dall’altro come misura conseguente all’intervenuta
sentenza di assoluzione, ai sensi dell’art. 205, co. 1, c.p.
Si tratta, in tutta evidenza, di provvedimenti distinti, che rispondono ad
esigenze diverse.
Come chiarito, infatti, dalla migliore e condivisibile dottrina, l’art. 205,
co. 1, c.p.p., disciplina l’applicazione cosiddetta “ordinaria” della misura
di sicurezza, che viene disposta dal giudice della cognizione in via
definitiva, salva sempre la possibilità di revoca della stessa qualora
venga meno la pericolosità sociale del destinatario, con provvedimento
emesso in seguito alla fase dibattimentale, vale a dire nella sentenza di
condanna o di proscioglimento, come recita il primo comma dell’art.
205, c.p.

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(z

In questo senso, dunque, va inteso il riferimento al carattere “definitivo”
dell’applicazione della misura di sicurezza disposta dal tribunale di Roma
con la sentenza di assoluzione del Dettirres, contenuto nell’ordinanza
oggetto del presente ricorso e non, come preteso dal ricorrente, quale
sinonimo di passaggio in giudicato della sentenza, che nella (erronea)

sorveglianza nel disporre l’applicazione della misura di sicurezza.
L’art. 206, co. 1, c.p.p., disciplina, invece, l’applicazione provvisoria
delle misure di sicurezza, per consentire all’ordinamento una risposta
tempestiva ed efficace di fronte alle esigenze di pronta neutralizzazione
del soggetto considerato socialmente pericoloso, che, in presenza delle
condizioni previste dall’ordinamento, sarà normalmente disposta con
ordinanza, impugnabile, ai sensi dell’art. 313, co. 3, c.p.p., innanzi al
tribunale del riesame, essendo l’applicazione provvisoria delle misure di
sicurezza equiparata da tale disposizione normativa alla custodia
cautelare, ai fini delle impugnazioni.
Del tutto legittimamente, dunque, il tribunale di primo grado ha adottato
la misura di sicurezza della libertà vigilata, trovando la relativa
ordinanza fondamento nella previsione del citato art. 206, co. 1, c.p.,
che, contemplando anche il “giudizio” tra le fasi procedimentali in cui il
giudice può applicare in via provvisoria una delle misure di sicurezza
previste dalla legge, ne consente l’applicazione anche quando la
sentenza con cui si definisce una delle fasi del dibattimento non sia
ancora passata in giudicato, trovando, pertanto, nel caso in esame,
l’applicazione provvisoria della libertà vigilata, la sua ratio giustificatrice
proprio nella circostanza che, al momento in cui è stata disposta, la
sentenza di assoluzione dell’imputato non era e non poteva ancora
essere definitiva.
8. Infondato, del pari, è il rilievo difensivo sulla mancanza di
interrogatorio preventivo, in quanto nel corso dell’udienza dibattimentale
dell’8.2.2013, all’esito dell’esame del perito d’ufficio, che ha concluso per
la pericolosità sociale del Dettirres e per l’incompatibilità delle sue
condizioni con il regime carcerario, l’imputato, sentito dal tribunale, ha

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prospettiva della difesa radicherebbe la competenza del magistrato di

avuto modo di interloquire sia in ordine agli elementi indiziari a suo
carico, venendo così messo nelle condizioni di difendersi, sia in relazione
alla attualità della pericolosità sociale e della sussistenza delle condizioni
che giustificano l’applicazione della misura.
Risultano, pertanto, in concreto soddisfatte le finalità tipiche

l’adozione del provvedimento con cui viene disposta la misura di
sicurezza, come definite, in senso alternativo, dai due opposti
orientamenti che si sono formati al riguardo nella giurisprudenza di
legittimità (cfr., ex plurimis, rispettivamente, Cass., sez. I, 8.4.2003, n.
28998, L., rv. 225267 e Cass., sez. I, 8.5.2003, n. 24061, C., rv.
225269).
9. Inammissibile, infine, è l’ultimo motivo di ricorso, con cui vengono
prospettate, peraltro in modo assolutamente generico a fronte di un
percorso motivazionale approfondito ed immune da vizi sulla sussistenza
della pericolosità sociale del Dettirres, che ha tenuto conto anche dei
risultati consacrati nella perizia d’ufficio (cfr. pp. 3-5 dell’impugnata
ordinanza) censure di merito, non consentite in sede di legittimità.
10. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, il ricorso di cui in
premessa va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in Roma il 26.9.2013

dell’interrogatorio, che, ai sensi dell’art. 313, c.p.p., deve precedere

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