Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7414 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7414 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

STOLFI Rocco Giuseppe, nato ad Avigliano il 26/04/1975
STOLFI Lucio, nato ad Avigliano il 13/12/1968
STOLFI Nicola, nato ad Avigliano il 29/12/1928

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce del 26/04/2012;

visto il ricorso, gli atti e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Rocco Giuseppe Stolfi, Lucio Stolfi e Nicola Stolfi erano chiamati a
rispondere, innanzi al Tribunale di Lecce, del reato di cui artt. 110, 624 e 625 n. 2
cod. pen., perché, in concorso tra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso, al fine di procurarsi un profitto, si impossessavano di due confezioni di

Data Udienza: 05/11/2013

lampadine per auto sottraendole dallo scaffale del supermercato Carrefour con il
mezzo fraudolento consistito nel nascondere la merce addosso.
Con sentenza dell’08/04/2010, il Tribunale dichiarava gli imputati colpevoli del
reato loro ascritto e, per l’effetto, condannava Rocco Giuseppe Stolfi e Lucio Stolfi
alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione e C 1000,00 di multa, considerata la
contestata recidiva; Nicola Stolfi, previa concessione delle attenuanti generiche, alla
pena di mesi sei di reclusione ed C 300,00 di multa con il beneficio della

Pronunciando sul gravame proposto in favore degli imputati, la Corte d’appello
di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza
impugnata, riqualificato il fatto contestato in termini di tentato furto aggravato ai
sensi degli artt. 81 cpv. 110, 56, 624-625 n. 2 cod. pen. e riconosciuta la
circostanza prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen. nonché le attenuanti generiche
prevalenti. per Nicola Stolfi, ed equivalenti alla contestata aggravante per gli altri
due imputati, rideterminava la pena in un mese di reclusione e C 30,00 di multa per
Nicola Stolfi; ed in due mesi di reclusione e C 60,00 di multa per Rocco Giuseppe
Stolfi e Lucio Stolfi; confermava nel resto.
Avverso la pronuncia anzidetta gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per
cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso proposto da Rocco Giuseppe Stolfi si

eccepisce inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o di decadenza; mancata correlazione tra accusa e
sentenza con riferimento all’art. 521 cod. proc. pen.; nullità assoluta ai sensi
dell’art. 522 dello stesso codice di rito. In particolare, si deduce violazione del
principio della contestazione, tenuto conto che il capo di imputazione prevedeva la
contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen. in riferimento al dato
fattuale che gli imputati avessero agito con “… il mezzo fraudolento consistito nel
nascondere la merce addosso…”. Diversamente, il giudice di appello aveva ravvisato
l’aggravante anzidetta sul rilievo che il mezzo fraudolento sarebbe consistito “…
nell’eliminazione o nell’occultamento della confezione in relazione al primo degli
episodi al fine di evitare il possibile controllo elettronico antitaccheggio e
nell’esibizione dello scontrino, afferente il primo acquisto forzato, per il secondo
episodio…”.

In tal guisa, la Corte territoriale aveva valutato la sussistenza

dell’aggravante con ulteriori “arricchimenti” fattuali non presenti nel capo
d’imputazione, ove invece avrebbe dovuto limitare il suo apprezzamento a quanto
prospettato in rubrica, ossia al nascondimento della merce addosso. Così facendo,

sospensione condizionale, oltre consequenziali statuizioni.

aveva violato il diritto di difesa in quanto gli imputati non avevano avuto modo di
controdedurre sugli ulteriori elementi di fatto.
Il secondo motivo eccepisce inosservanza od erronea applicazione della legge
penale con riferimento all’art. 625 n. 2 cod. pen. Si contesta, al riguardo, la
sussistenza dell’aggravante del mezzo fraudolento, con riferimento all’orientamento
giurisprudenziale secondo cui la detta circostanza non sussiste in caso di mero
nascondimento della refurtiva sulla persona, a meno che tale occultamento non

comunque un quid pluris. Per ritenere sussistente la circostanza anzidetta il giudice
di appello aveva fatto riferimento ad un isolato precedente della Suprema Corte,
ove invece appariva più corretta l’interpretazione dell’orientamento maggioritario
che optava per l’insussistenza della stessa aggravante nell’ipotesi anzidetta.
Dovendosi, pertanto, escludere tale aggravante, la fattispecie delittuosa contestata
degradava a furto semplice, notoriamente punibile a querela della persona offesa.
Nel caso di specie, la condizione di procedibilità non esisteva in quanto la persona
offesa non aveva proposto querela, di talché la sentenza impugnata avrebbe dovuto
essere annullata senza rinvio per difetto del presupposto punitivo.
I ricorsi proposti da Lucio Stolfi e Nicola Stolfi sono articolati sulla base di
identiche argomentazioni.

2. Una breve puntualizzazione dei termini della fattispecie in esame costituisce
necessaria premessa all’esame delle censure dei ricorrenti.
Orbene, dalla narrativa che precede emerge che, in primo grado, gli imputati
sono stati ritenuti responsabili per l’addebito di furto consumato in supermercato,
con l’aggravante della destrezza, consistita – così come puntualmente contestato in
rubrica – nel nascondimento della merce (lampadine per autovettura) nella propria
persona, ai fine di eludere il controllo alle casse. La Corte territoriale ka modificato
la prospettiva d’assieme, sia nella dimensione giuridica che in quella fattuale. Ha
ritenuto, in primo luogo, che la fattispecie fosse da qualificare in termini di tentato
furto, posto che la condotta illecita degli imputati non era mai sfuggita al controllo
della sorveglianza. Ha ravvisato, quindi, i presupposti della destrezza, non già nel
mero nascondimento della refurtiva, quanto piuttosto nello sviluppo dinamico
dell’intera fattispecie, che si era svolta in due distinte azioni: in un primo momento,
l’apprensione ed il nascondimento della merce sulla propria persona, previa
estrazione delle lampadine dal relativo involucro ed occultamento delle stesse, per
sottrarsi al controllo antitaccheggio; in un secondo momento, dopo l’intervento
della sorveglianza e l’obbligato pagamento della merce sottratta, una nuova
condotta furtiva con il prelievo di altre lampadine e la pretesa di documentarne
l’acquisto con l’esibizione alla cassa dello scontrino rilasciato in precedenza (recante
la dicitura pagamento forzato, ordinariamente apposto su scontrini di pagamento
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avvenga attraverso la predisposizione di particolari accorgimenti, occorrendo

forzoso di merce di cui era stata notata la sottrazione). Il percorso motivazionale
del giudice di appello si conclude con argomento di chiusura, mediante il richiamo a
giurisprudenza di legittimità secondo cui l’occultamento della refurtiva sulla propria
persona varrebbe ad integrare gli estremi della contestata aggravante.
Siffatto iter giustificativo è, tuttavia, errato. Lo è, in primo luogo, in termini di
error in iudicando, perché omette di considerare che l’orientamento interpretativo
che considera sufficiente il mero occultamento ai fini dell’integrazione

Suprema Corte, che, nel risolvere un contrasto interpretativo sul punto, hanno
ritenuto più corretta l’opposta opinione, ritenendo che

nel reato di furto,

l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere
nel corso dell’azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e
caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la
contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a
difesa dei beni di cui ha la disponibilità. (In applicazione del principio, la Corte ha
escluso la configurabilità dell’aggravante nel caso di occultamento sulla persona o
nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita “self service”) (cfr. Sez. U, n.

40354 del 18/07/2013, Rv. 255974).
Ma l’errore più vistoso risiede nella violazione del principio della contestazione,
con riferimento alla formulazione della contestata aggravante, che, limitata in
rubrica al solo nascondimento della merce, nei termini recepiti dal primo giudice, è
stata indebitamente dilatata, dal giudice di appello, in più ampia dimensione
fattuale. La modalità della destrezza è stata, infatti, ritenuta sulla base della
complessiva valutazione della vicenda e del rilievo che, travalicando i limiti del
mero occultamento, considerava tutte le fasi in cui si era articolata la fattispecie
delittuosa, che ricomprendeva la sottrazione di ulteriore merce in un momento
cronologicamente distinto. Tale estensione non era, certamente, consentita alla
Corte territoriale.

3. Per quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata in parte
qua. Ed infatti, escluso il plus fattuale, illegittimamente ritenuto dal giudice a quo in
difetto di contestazione, la modalità del fatto, oggetto dell’iniziale addebito, così
come ritenuto dal primo giudice, non integra più la circostanza aggravante della
destrezza, alla stregua dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Suprema
Corte.
Esclusa, dunque, l’aggravante, il fatto in contestazione degrada all’ipotesi del
tentato furto semplice, perseguibile a querela di parte. L’esame dell’incartamento
processuale evidenzia che la querela nei confronti degli odierni ricorrenti era stata
ritualmente proposta, di talché si impone l’annullamento della sentenza impugnata

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dell’aggravante della destrezza non è stato condiviso dalle Sezioni Unite di questa

sul punto, perché il giudice del rinvio provveda alla rideterminazione della pena in
rapporto alla qualificazione giuridica del fatto nei termini anzidetti.

P.Q. M .

Annulla la sentenza senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente
all’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod.pen., che elimina; rigetta nel resto il

della pena.

Così deciso il 05/11/2013

ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce per la determinazione

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