Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7411 del 16/10/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 7411 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:
De Rosa Vincenzina, nata ad Ariano Irpino, il 7/6/1979;
Spinelli Sabina, nata a San Giovanni in Persiceto, il 13/10/1984;
Spinelli Nadia, nata ad Ancona, il 22/12/1978;
Spinelli Giulia, nata a Chieti, il 23/8/1967;

avverso la sentenza del 17/2/2012 della Corte di appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udita per le imputate l’avv. Silvia Pennucci, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 16/10/2013

1.Con sentenza del 17 febbraio 2012 la Corte d’appello di Ancona confermava la
condanna alle pene di giustizia di De Rosa Vincenzina, Spinelli Sabina, Spinelli Nadia e
Spinelli Giulia per i reati di furto in abitazione aggravato e ricettazione continuata
rispettivamente loro contestati.
2. Avverso la sentenza ricorrono tutte le imputate.
2.1 Con un primo motivo, comune a tutti e quattro i ricorsi, viene riproposta
l’eccezione di nullità del dibattimento di primo grado conseguente all’omessa notifica

avanti al quale le medesime erano state originariamente citate, rilevando il proprio
difetto di attribuzione, ha trasmesso gli atti ex art. 33 septies c.p.p. al giudice
competente, indicando contestualmente la data per la celebrazione dell’udienza dinanzi
al medesimo. Trattandosi sostanzialmente di una nuova vocatio in ius, secondo le
ricorrenti tale provvedimento doveva essere loro personalmente notificato, non
rilevando in senso contrario che il loro difensore fosse presente alla lettura
dell’ordinanza – come invece ritenuto dalla Corte territoriale a sua volta investita della
medesima questione – giacchè la dichiarazione della loro contumacia, in quanto
effettuata dal giudice ritenutosi incompetente, non poteva considerarsi valida.
2.2 Con gli altri motivi di ricorso la De Rosa e la Spinelli Nadia deducono innanzi tutto
carenze motivazionali della sentenza in merito all’attendibilità delle individuazioni delle
imputate operate dalle vittime dei furti che sono loro rispettivamente contestati,
nonché l’illegittima utilizzazione probatoria delle ricognizioni fotografiche effettuate
dalle stesse persone offese nel corso delle indagini preliminari in violazione dell’art.
361 c.p.p., mentre la sola Spinelli eccepisce altresì le modalità con cui sono state
eseguite le menzionate ricognizioni e la mancata considerazione delle sentenze
assolutorie pronunziate negli altri procedimenti originariamente riuniti a quello di cui si
tratta. Sotto altro profilo la De Rosa lamenta invece l’errata sussunzione da parte della
Corte territoriale dei fatti in contestazione nella fattispecie del furto anziché in quella
della truffa (reato peraltro improcedibile per difetto di querela), nonostante dalla
deposizione di Valeri Igina risulti che la stessa, tratta in inganno dal camuffamento
della donna penetrata nel suo appartamento, ebbe a consegnargli i beni oggetto della
presunta sottrazione. Infine la stessa ricorrente denuncia ulteriori carenze della
motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla dosimetria della pena, con
particolare riferimento alla determinazione dell’aumento calcolato per la continuazione.
2.3 I ricorsi di Spinelli Sabina e Spinelli Giulia, sostanzialmente sovrapponibili,
deducono invece insufficienze e illogicità nella motivazione della sentenza in merito
alla ritenuta attendibilità delle ricognizioni da parte dei presunti proprietari dei beni
oggetto delle ricettazioni rispettivamente addebitate alle due imputate, nonostante il
riconoscimento degli oggetti fosse stato in alcuni casi pacificamente incerto o

alle imputate dell’ordinanza con cui il Tribunale di Ancona in composizione collegiale,

addirittura contraddittorio in quanto la proprietà del bene era stata contestualmente
rivendicata da due dei “ricognitori”, nonché l’ingiustificata ed apodittica svalutazione
delle prove fornite dalla difesa per documentare la legittimità dell’acquisto dei suddetti
beni. Le ricorrenti denunciano poi ulteriori carenze motivazionali in merito alla
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, della cui dimostrazione non vi sarebbe
traccia in sentenza, soprattutto con riguardo alla prova della consapevolezza delle

3. Il 2 ottobre 2013 sono pervenuti motivi nuovi redatti nell’interesse di Spinelli Nadia
con i quali la parte ricorrente insiste sull’omessa valutazione dell’assoluzione riportata
dall’imputata in altro procedimento originato dalla stessa indagine da cui è scaturito
l’odierno processo, assoluzione determinata dai dubbi suscitati dall’affidabilità di
ricognizioni fotografiche dagli esiti analoghi a quelli delle ricognizioni su cui si è
fondata la sentenza impugnata. Sotto altro profilo la ricorrente censura altresì la
mancata concessione delle attenuanti generiche ed il difetto di motivazione da parte
della Corte territoriale sul punto, evidenziando in proposito la risalenza e lievità dei
fatti in contestazione e come la Spinelli non sia gravata da precedenti specifici e come
negli ultimi anni abbia sempre svolto regolare attività lavorativa, tutti elementi che
avrebbero dovuto essere valutati alla luce del pronunziamento del giudice delle leggi
sulla illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 62 bis c.p. nella parte in
cui prevedeva il divieto assoluto di tenere conto del comportamento susseguente al
reato ai fini della concessione delle menzionate attenuanti (Corte Cost. n. 183/2011).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.L’eccezione processuale sollevata con il primo motivo di tutti i ricorsi è infondata e
deve essere rigettata.
1.1 Va infatti ricordato che il terzo comma dell’art. 33 septies c.p.p., nel rinviare al
quarto comma del successivo art. 420 ter dello stesso codice, impone al giudice,
quando rilevi il proprio difetto di attribuzione per la violazione delle norme sulla
composizione collegiale o monocratica del Tribunale, di trasmettere gli atti a quello
ritenuto competente, ma altresì di fissare la nuova udienza dinanzi a quest’ultimo,
conferendo alla lettura della relativa ordinanza valore sostitutivo della citazione
dell’imputato presente o che tale deve considerarsi, quale deve reputarsi quello
legittimamente dichiarato contumace in quanto rappresentato a tutti g6iffetti dal
proprio difensore a mente del secondo comma dell’art. 420 quater c.p.p. (Sez. 6, n.
20047 del 11 febbraio 2008, Saldi’, Rv. 240059; Sez. 6, n. 33500 del 18 giugno 2009,
Campanile, Rv. 244696).

imputate sulla provenienza delittuosa degli oggetti rinvenuti in suo possesso.

1.2 Correttamente, pertanto, il Tribunale non provvide a notificare l’ordinanza ex art.
33 septies c.p.p. alle odierne imputate, in quanto le stesse erano state dichiarate
contumaci ed il loro difensore aveva assistito alla lettura dell’ordinanza all’udienza del
25 settembre 2005.
1.3 Le ricorrenti, peraltro, contestano la validità della dichiarazione di contumacia, in
quanto effettuata dal giudice incompetente, richiamando sul punto una pronunzia di
questa Corte per cui sarebbe affetta da nullità di ordine generale, ai sensi degli artt.

composizione collegiale in luogo di quello monocratico, competente a decidere (Sez. 5,
n. 38248 del 21 aprile 2004, Serapide ed altri, Rv. 230133).
1.4 Peraltro anche solo dalla lettura della stessa massima estratta dalla menzionata
sentenza si rileva come il principio evocato dalle ricorrenti sia stato affermato in
relazione ad una fattispecie in cui, al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni
sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale introdotte dal d. Igs. n.
51/1998 (e cioè il 2 gennaio 2000), già era stata fissata udienza dibattimentale
dinanzi al giudice collegiale e nel quale, dunque, trovava applicazione la speciale
norma transitoria contenuta nel secondo comma dell’art. 222 del suddetto decreto.
Condivisibilmente, dunque, la Corte nell’occasione ha affermato che, nel fissare
l’udienza di trattazione dinanzi al giudice monocratico, non potesse procedersi alla
verifica della costituzione delle parti, essendo tale compito demandato al giudice
competente per materia e ciò in quanto la disposizione da ultima richiamata,
eccependo all’ordinaria disciplina contenuta nel menzionato art. 33 septies c.p.p.,
conferiva al presidente del Tribunale l’incombente, attribuendogli implicitamente il
potere di fissare la nuova udienza e individuare il giudice incaricato della trattazione
con proprio decreto assunto anche fuori udienza e prima della sua celebrazione. In tal
senso era dunque improponibile ritenere – anche qualora lo stesso decreto fosse stato
adottato in udienza – che il presidente potesse procedere alla verifica della regolare
costituzione delle parti ed assumere i conseguenti provvedimenti in merito alla
contumacia dell’imputato.
1.5 L’odierna fattispecie è, invece, quella in cui il procedimento viene erroneamente
attribuito al Tribunale in composizione collegiale dopo l’entrata in vigore del d. Igs. n.
51/1998 e che trova la sua disciplina esclusivamente nell’art. 33 septies c.p.p. e non
già nel citato art. 222 del decreto. Ma la norma del codice di rito espressamente
prevede che l’ordinanza di trasmissione al giudice monocratico venga adottata “nel
dibattimento” e cioè dopo il suo inizio, il che presuppone che il Tribunale abbia
precedentemente provveduto ai sensi dell’art. 484 c.p.p. alla verifica della regolare
costituzione delle parti, eventualmente dichiarando la contumacia dell’imputato non
comparso e che non risulti impedito. Conclusione questa asseverata altresì dall’art. 33
quinquies c.p.p., che preclude la deducibilità dell’inosservanza delle norme sulla

179 e 178 c.p.p., l’ordinanza dichiarativa della contumacia pronunciata dal tribunale in

composizione del giudice – nel caso manchi l’udienza preliminare – oltre il termine
fissato per le questioni preliminari dal primo comma dell’art. 491 c.p.p. e cioè dopo
che sia stato compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti.
Ed infatti nel caso di specie il difetto di attribuzione è stato eccepito dalle difese
all’udienza del 5 giugno 2008 nel corso dello svolgimento delle questioni preliminari,
per l’appunto dopo la verifica della costituzione delle parti e della legittima
dichiarazione della contumacia delle imputate. Anche sotto questo profilo, dunque,

della Corte territoriale di rigettare l’eccezione sollevata dalle ricorrenti con i motivi
d’appello.
2. Nel resto i ricorsi di Spinelli Nadia e De Rosa Vincenzina risultano infondati o
inammissibili salvo quanto si dirà nel prosieguo.
2.1 In punto di diritto va infatti ricordato che il giudice di merito può trarre il proprio
convincimento anche da ricognizioni non formali (quale, appunto, l’individuazione
fotografica), utilizzabili in virtù dei principi di non tassatività dei mezzi di prova e del
libero convincimento del giudice, atteso che la valenza dimostrativa della prova sta
non nell’atto in sé, bensì nella testimonianza che dà conto dell’operazione ricognitiva
(Sez. 4 n. 25658 del 27 giugno 2011, Sula Taulant, non massimata; Sez. 2 n. 33567
del 13 maggio 2009, Perrone, non massimata). In tali ipotesi, seppure i verbali di
individuazione non possono sicuramente acquisirsi al dibattimento, neanche per il
tramite delle contestazioni a norma dell’art. 500 c.p.p., è indubbio che l’esame
testimoniale ben può svolgersi anche sulle modalità della pregressa individuazione al
fine di procedere ad una valutazione globale di chi rende la dichiarazione (Sez. 2 n.
16204 del 11 marzo 2004, Kerkoti Perparim, rv 228777). E ciò in quanto
l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione
riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta)( una specie del più generale
concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità
formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla
stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 6 n. 6582/08 del 5 dicembre
2007, Major, rv 239416). Inoltre deve rammentarsi che le dichiarazioni “descrittive”
rese dal “ricognitore” – siano esse quelle eventualmente rese prima di procedere ad
una informale individuazione fotografica ovvero quelle propedeutiche ad una formale
ricognizione imposte dall’art. 213 c.p.p. – costituiscono un elemento per il vaglio
dell’attendibilità soggettiva ed oggettiva del riconoscimento da parte del giudice, il cui
apprezzamento, dunque, non è sindacabile in sede di legittimità, qualora sostenuta da
congrua e logica motivazione, in quanto costituisce una tipica valutazione di merito.
2.2 Deve a questo punto rilevarsi in fatto che la Corte territoriale, facendo corretta e
puntuale applicazione dei principi sopra richiamati, ha motivatamente sostenuto la
sua valutazione sull’attendibilità delle deposizioni delle persone offese anche con

deve ritenersi corretta la procedura seguita dal Tribunale e incensurabile la decisione

riguardo al riconoscimento delle due imputate quali autrici dei furti alle stesse
contestate. Ed in definitiva le doglianze delle due ricorrenti (del tutto sovrapponibili
sul punto) si risolvono nella prospettazione di una lettura soggettivamente orientata
del materiale probatorio, alternativa a quella fatta propria dal giudice di merito, nel
tentativo di sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai

giudici diversi abbiano espresso valutazioni diverse in merito ai riconoscimenti delle
imputate. A parte il fatto che le ricorrenti hanno evocato in maniera affatto generica
la circostanza, è appena il caso di rilevare come tali riconoscimenti riguardano fatti
diversi e difffrenti “ricognitori” e tanto basta per escluderne la rilevanza. Infine quanto
al fatto che i giudici d’appello avrebbero ritenuto il giudizio di “evidentissima
somiglianza” formulato dai testimoni sufficiente ai fini dell’identificazione delle
imputate nelle autrici dei furti rispettivamente contestati alle medesime, deve ribadirsi
innanzi tutto che la prova non è costituita dal verbale di individuazione fotografica,
bensì dalle dichiarazioni rese dagli stessi testimoni nel dibattimento e comunque che
la formula sulla quale si sono concentrate le censure delle ricorrenti è stata valutata in
maniera tutt’altro che manifestamente illogica come tranquillizzante ai fini descritti.
2.3 Quanto ai motivi nuovi proposti nell’interesse di Spinelli Nadia questi devono
ritenersi inammissibili. Innanzi tutto deve rilevarsi che ai sensi dell’art. 585 comma 4
c.p.p. – la cui osservanza è espressamente prevista a pena di inammissibilità dall’art.
591 comma 1, lett. c) c.p.p. – i motivi nuovi devono essere depositati nella cancelleria
del giudice dell’impugnazione e non possono quindi essere spediti, come avvenuto
invece nel caso di specie e come previsto dall’art. 583 c.p.p., disposizione che è
esplicitamente ed esclusivamente riferita all’impugnazione principale. Non di meno, a
parte quanto già osservato in precedenza con riguardo a quelle doglianze che
ribadiscono il contenuto del ricorso, deve osservarsi che la ricorrente non aveva
proposto con il ricorso principale alcun motivo sul diniego delle attenuanti generiche,
tema che pertanto non può essere introdotto per la prima volta con lo strumento
utilizzato.
2.4 Generica è poi la doglianza della De Rosa in merito alla presunta erroneità della
qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo e) (furto commesso ai danni di Valeri
Igina), trattandosi di rilievo già rigettato dalla Corte territoriale con motivazione che la
ricorrente non ha sostanzialmente confutato, limitandosi invece a ribadire l’assertiva
affermazione per cui la refurtiva non sarebbe stata sottratta dall’imputata, ma
spontaneamente consegnata alla medesima dalla persona offesa. Ricostruzione
questa per l’appunto contestata in sentenza e che il ricorso ripropone senza peraltro

sensi della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. Né rileva l’eventualità che in altre occasioni

indicare quali sarebbero gli elementi di prova eventualmente travisati in tal senso dal
giudice dell’appello.
2.5 Coglie invece nel segno il ricorso della stessa De Rosa quando conclusivamente
denuncia il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla lamentata
incongruità dell’aumento di pena imputato dal giudice di prime cure alla
continuazione. Effettivamente sul punto la Corte territoriale ha omesso di motivare
nella misura resa necessaria dalla specificità del motivo d’appello formulato sul punto

statuizioni sanzionatorie adottate dal Tribunale. In proposito – limitatamente a tale
aspetto – la sentenza deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame alla
Corte d’appello di Perugia.

3. La sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla medesima
Corte d’appello anche in relazione alla posizione di Spinelli Giulia e Spinelli Sabina.
Risultano invero fondate le censure mosse da entrambe le ricorrenti in ordine alla
risposta fornita dalla Corte territoriale alle obiezioni mosse con i rispettivi atti
d’appello circa l’effettiva configurabilità delle ricettazioni per cui è processo.
3.1 I giudici d’appello, infatti, pur dando conto di tali obiezioni e delle prove assunte
nel dibattimento di primo grado a sostegno delle medesime, hanno evitato di
confrontarsi compiutamente con le stesse, limitandosi a dimostrare la solidità ed
univocità del compendio probatorio relativo ad alcuni degli episodi contestati. Ma in tal
modo hanno sostanzialmente omesso di pronunziarsi sugli altri, per i quali hanno pure
confermato la condanna pronunziata nel primo grado di giudizio.
3.2 Né può ritenersi soddisfacente l’unica argomentazione svolta sul punto in
sentenza e secondo cui la prova della ricettazione di tutti gli oggetti contestati
discenderebbe dal fatto che andrebbe esclusa la consapevole falsità delle ricognizioni
di quei beni sulla cui attendibilità erano stati sollevati dubbi e dalla contestuale
affidabilità delle altre ricognizioni. Argomentazione la cui manifesta illogicità è stata
correttamente eccepita dalle ricorrenti, atteso che la rilevata assenza di intenti
calunniosi in capo al “ricognitore” non esclude certo la possibilità di un suo errore, ma
soprattutto non risponde al quesito relativo all’effettività e rilevanza delle incertezze
dimostrate nell’effettuare il riconoscimento del bene e denunciate con i motivi
d’appello. Evidente poi il salto logico effettuato dalla Corte territoriale nel collegare la
prova della responsabilità per la ricettazione degli oggetti “controversi” alla ritenuta
affidabilità del riconoscimento di oggetti diversi da parte di altri soggetti.
3.3 Non di meno deve evidenziarsi che con i motivi d’appello era stato altresì eccepito
come le imputate avessero fornito la prova di aver acquistato in modo legittimo e in
buona fede i beni oggetto delle presunte ricettazioni. Doglianza alla quale la Corte
territoriale ha replicato ancora una volta in maniera insoddisfacente sotto il profilo

dalla ricorrente, limitandosi ad una generica e complessiva valutazione adesiva delle

della completezza e della tenuta logica della motivazione e cioè affermando che
l’eventuale acquisto dei preziosi sottratti al Monte dei Pegni non inficerebbe la validità
delle ricognizioni dei medesimi.
3.4 Come detto, la sentenza deve essere dunque annullata con rinvio con riguardo
alla posizione delle due imputate summenzionate. Va peraltro precisato che il giudice
del rinvio rimane libero di ritenere la sussistenza di tutti i reati di ricettazione
rispettivamente contestati alle medesime, purchè sostenga tale conclusione con

Qualora dovesse peraltro ritenere carente la prova della sussistenza di solo alcuni dei
reati menzionati, lo stesso giudice provvederà alle eventuali determinazioni che si
rivelassero necessarie in punto di commisurazione della pena.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Spinelli Sabina e Spinelli Giulia, in
relazione ai reati rispettivamente contestati, e nei confronti di De Rosa Vincenzina,
limitatamente alla determinazione dell’aumento di pena per la continuazione, e rinvia
alla Corte d’appello di Perugia per nuovo esame sui punti in questione. Rigetta nel
resto il ricorso di De Rosa Vincenzina. Rigetta il ricorso di Spinelli Nadia, che condanna
al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/10/2013

adeguata motivazione che tenga conto delle obiezioni sollevate con i motivi d’appello.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA