Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7401 del 26/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7401 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Scardamaglia Elisabetta, nata a Londra (GB) il 12/09/1970
Scardamaglia Edoardo, nato a Londra (GB) il 22/06/1969
awerso la sentenza del 13/12/2011 del Tribunale di Roma R.G. n. 47/2011
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso, le note depositate dall’Aw. Ricci e la
memoria a firma di Emanuele Molinaro;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso, per ciò
che concerne il ricorso della Scardamaglia, per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata, limitatamente alla pronuncia di inammissibilità dell’appello proposto, con
riferimento alle statuizioni civili e rigetto dei restanti motivi; rigetto del ricorso dello
Scardamaglia;
udito, per la parte civile, l’Avv. Lucia Ricci, la quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per l’imputata Scardamaglia, l’Avv. Massimo Biggio, in sostituzione dell’Aw. Enrico
Bracco, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito, per l’imputato Scardamaglia, l’Aw. Gianluca Riitano, il quale ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 13/12/2011 il Tribunale di Roma ha dichiarato non doversi procedere
nei confronti di Elisabetta Scardamaglia, per quanto concerne i capi pl’S a), b), c) e d) di
imputazione, e di Edoardo Scardamaglia, per quanto concerne il reato di cui all’art. 594 cod.
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Data Udienza: 26/09/2013

pen., per intervenuta prescrizione, condannando gli Scardamaglia, in solido tra loro, al
risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili e al pagamento delle spese del
giudizio di appello in favore di queste ultime. Il Tribunale, inoltre, ha dichiarato inammissibile
l’appello proposto da Elisabetta Scardamaglia ed Edoardo Scardamaglia, quali parti civili, in
relazione alle posizioni di Emanuele Molinaro e di Liliana Di Tata, quali imputati dei delitti
indicati ai numeri 1, 2 e 3 della rubrica.
1.1. Alla Scardamaglia è contestato di avere offeso la reputazione di Emanuele Molinaro
(capo a) e di Liliana Di Tata (capo b), di avere minacciato il primo (capo c) e di avere

l’onore della Di Tata.
Il Tribunale, in sintesi, ha rilevato: a) che la sentenza di primo grado, sebbene redatta a
mano, era in concreto leggibile e comprensibile, al punto che gli imputati avevano proposto
appello ed evidenziato specifiche censure; b) che le dichiarazioni del Molinaro e della Di Tata
erano state confermate dai testimoni presenti, i quali tutti avevano riferito che la
Scardamaglia, entrata nella pizzeria gestita dalle persone offese, si era diretta verso il
frigorifero, aveva preso una bevanda e aveva domandato se doveva fare da sola o essere
servita, aggiungendo che si trovava lì, perché era l’unico locale aperto; il Molinaro aveva
replicato che vi erano altre pizzerie aperte nei pressi; la donna aveva tirato la bevanda
dentro il frigorifero e aveva pronunciato la parola “vaffanculo” all’indirizzo del Molinaro,
dirigendosi verso l’uscita; alla replica del Molinaro che ci andasse lei, la donna era tornata
indietro, aveva gettato a terra la cassa e, quindi, si era nuovamente avviata verso l’uscita,
aveva insultato la Di Tata (“mignotta, troia”), che stava rientrando nel locale con un vassoio
e dei bicchieri e l’aveva colpita con la borsa alla testa, facendola cadere e provocandole una
ferita alla mano; la donna era quindi uscita dal locale, urlando che avrebbe chiamato il
fratello, che gli avrebbe fatto sparare e che avrebbe fatto chiudere il locale; mentre il
Molinaro aveva chiamato i carabinieri, la Scardamaglia aveva chiamato qualcuno per
telefono; nel momento in cui la Di Tata si stava dirigendo in auto verso il Pronto Soccorso,
era sopraggiunto altro veicolo, con a bordo Edoardo Scardamaglia, il quale aveva bloccato la
prima autovettura, aveva insultato la Di Tata estronza, mignotta, balena”) e aveva chiesto
cosa avessero fatto alla sorella; erano quindi sopraggiunti i carabinieri, che avevano imposto
allo Scardamaglia di spostare il suo veicolo, in tal modo consentendo alla Di Tata di
raggiungere l’ospedale; c) che le contrarie affermazioni degli imputati erano non verosimili,
in quanto non era dato comprendere perché il Molinaro avrebbe dovuto gratuitamente
insultare una cliente e per quale ragione la Di Tata, che proveniva dall’esterno del locale,
avrebbe dovuto colpire la Scardamaglia; d) che l’aggressione della Di Tata in danno della
Scardannaglia, riferita dal fratello di quest’ultima, non era stata confermata dalla vittima, la
quale aveva spiegato di non sapere chi l’avesse colpita né dove fosse stata colpita, talché
anche il referto medico non era conferente, soprattutto alla luce del fatto che la donna, per
quanto affermato dal fratello, aveva subito poco prima un incidente, che aveva coinvolto le

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cagionato lesioni alla seconda (capo d); allo Scardamaglia è contestato di avere offeso

vertebre del collo; e) che non era applicabile l’esimente di cui all’art. 599 cod. pen., né in
favore della Scardamaglia, giacché era stata quest’ultima ad ingiuriare il Molinaro per prima
e in modo assolutamente gratuito, né in favore del fratello e ciò, sia per l’insussistenza del
fatto ingiusto, sia perché non era rawisabile una ragionevole base dell’erronea opinione
dell’illiceità del fatto altrui.
1.2. Con riferimento al risarcimento del danno, il Tribunale, in ragione della contestuale
assoluzione degli imputati da altri reati, ha proceduto ad una rimodulazione quantitativa del
ristoro, liquidato in euro 1.200,00 in favore del Molinaro, per il danno subito a cagione della

patrimoniale e morale subito a cagione delle lesioni e dell’ingiuria, condannando i due
Scardamaglia al conseguente versamento.
1.3. Il Tribunale ha, inoltre, dichiarato inammissibile l’appello proposto dagli Scardamaglia, i
quali avevano chiesto la condanna del Molinaro e della Di Tata, assolti dal giudice di prime
cure, alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni. In sintesi, il giudice di
secondo grado ha ritenuto che l’appello agli effetti penali non potesse essere proposto dalle
parti civili, giacché la citazione a giudizio dell’imputato non era awenuta nelle forme dell’art.
21, ma dell’art. 20 del d.P.R. n. 274 del 2000, e che il riferimento nei motivi di impugnazione
alla condanna al risarcimento dei danni evidenziava che quest’ultima era stata richiesta solo
come conseguenza della condanna penale. Inoltre, il Tribunale ha sottolineato l’intervenuta
prescrizione dei reati e “l’assenza di una eventuale necessità di tutela delle statuizioni civili a
favore degli Scardamaglia, in ragione della sentenza di assoluzione di primo grado emessa
nei loro confronti dal GDP”.
2. Nell’interesse di Elisabetta Scardamaglia è stato presentato ricorso per cassazione,
affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., in relazione alla
indecifrabilità e alla conseguente nullità della sentenza di primo grado.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, nonché inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 594 e 599 cod. pen.
In particolare, in relazione al capo a), si critica la ritenuta inapplicabilità dell’art. 599 cod.
pen., valorizzando, al contrario, l’evidente nesso di dipendenza tra le ingiurie rivolte dalla
Scardamaglia al Molinaro e quelle indirizzate da quest’ultimo alla prima.
In relazione al capo b), si rileva che i testi Molinaro, Tetti e Tanzi non avevano riferito di
alcuna ingiuria rivolta dalla ricorrente all’indirizzo della Di Tata.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali, nonché inosservanza dell’art. 612
cod. pen., dal momento che il verificarsi delle conseguenze pregiudizievoli prospettate dalla
ricorrente non dipendeva dalla sua volontà.
2.4. Con il quarto motivo, si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, in relazione al capo d), sottolineando che il Tribunale aveva concentrato la sua
attenzione sulle dichiarazioni delle persone offese, per un verso, minimizzando l’inesistenza

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ingiuria e della minaccia, e in euro 2.800,00 in favore della Di Tata, in ragione del danno

di plausibili ragioni della condotta ascritta alla ricorrente e, per altro verso, valorizzando le
dichiarazioni testimoniali di parenti del Molinaro o di dipendenti della pizzeria gestita da
quest’ultimo.
Secondo la Scardamaglia, l’inattendibilità delle persone offese e il carattere ritorsivo della
loro iniziativa emerge dal fatto che la loro denuncia è stata presentata quasi due mesi dopo i
fatti, mentre la querela della ricorrente risaliva a pochi giorni di distanza dalla vicenda.
2.5. Con il quinto motivo, si lamentano vizi motivazionali nonché inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 581, 582, comma secondo, 594 cod. pen., in relazione ai delitti

In particolare, si sottolinea che le lesioni sofferte dalla Scardamaglia (contusione nucale con
distrazione dei muscoli del collo) erano state accertate e documentate nell’immediatezza
presso il Pronto Soccorso e che la ricorrente, a differenza di quanto affermato in sentenza,
aveva precisato di essere stata colpita alla testa dalla Di Tata.
Per quanto concerne le ingiurie pronunciate dal Molinaro, si lamenta l’assenza di ragioni
giustificative della loro ritenuta non punibilità.
Per quanto riguarda, infine, le percosse contestate a carico del Molinaro e della Di Tata, si
critica la assenza di motivazione in ordine alle dichiarazioni della Scardamaglia e alle
correlate censure contenute nell’atto di appello.
Tali doglianze vengono prospettate in relazione all’istanza di condanna del Molinaro e della
Di Tata alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno.
2.6. Con il sesto motivo si lamenta inosservanza dell’art. 38 d. Igs. n. 274 del 2000, per un
verso, invocando l’applicabilità dell’art. 576 cod. proc. pen. e, per altro verso, lamentando
che, comunque, in caso di inammissibilità dell’appello, il Tribunale avrebbe dovuto
trasmettere gli atti alla Corte di cassazione, per il principio di conversione dell’impugnazione.
I rilievi relativi alla intervenuta prescrizione dei reati erano, in questa prospettiva,
inconferenti, giacché la Scardamaglia aspirava al conseguimento del ristoro dei danni
sofferti.
2.7. Con il settimo motivo, si lamentano vizi motivazionali, nonché inosservanza ed erronea
applicazione dell’art. 185 cod. pen., anche con riferimento agli artt. 2056, 2059, 1223, 1226
e 1227 cod. civ., sottolineando l’assenza di argomentazioni relative ai criteri di
quantificazione del risarcimento, tenuto conto: a) che la Di Tata nel corso del processo non
aveva indicato la misura e non aveva fornito alcuna dimostrazione della perdita subita; b)
che non era stato preso in considerazione il criterio del concorso del fatto colposo del
danneggiato; c) che anche la valutazione equitativa del danno sofferto dal Molinaro, al di là
dei rilievi sopra esaminati sull’insussistenza della minaccia, non era assistita da alcuna
correlazione sia pure equitativa con l’ingiuria
3. Nell’interesse di Edoardo Scardamaglia è stato presentato ricorso per cassazione, affidato
ai seguenti motivi.

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contestati al Molinaro e alla Di Tata.

3.1 Con il primo motivo, si lamentano violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. e vizi
motivazionali, in relazione alla indecifrabilità e alla conseguente nullità della sentenza di
primo grado.
3.2. Con il secondo motivo, si lamenta erronea applicazione degli artt. 59 e 599 cod. pen., in
quanto, anche ammettendo l’inesistenza dell’aggressione lamentata dalla sorella Elisabetta,
comunque sarebbe stata applicabile l’esimente putativa, giacché il ricorrente era stato
contattato dalla sorella in lacrime, che riferiva di essere stata aggredita da persone ignote.
Tale profilo non è escluso dalla constatazione, da parte dello Scardamaglia, delle lesioni che

concentrate sulla sorella, sia perché egli non poteva escludere che le lesioni fossero state
provocate dalla reazione di quest’ultima alla violenza subita.
3.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli artt. 538 e 539
cod. proc. pen, con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Il ricorrente sottolinea, per un verso, l’assenza di prova e la conseguenk mancanza di
motivazione, con riferimento ai profili risarcitori e, per altro verso, la sua condanna anche in
favore del Molinaro, nonostante che non gli fosse stata contestata alcuna condotta delittuosa
nei confronti di quest’ultimo.
4. E’ stata depositata memoria nell’interesse della Di Tata e del Molinaro. Quest’ultimo ha
depositato memoria a sua firma.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi è infondato.
Ed, infatti, in primo luogo, la sentenza del giudice di pace, ancorché redatta a mano, è
assolutamente comprensibile.
In secondo luogo, va rilevato che l’orientamento di questa Corte, che ritiene nulla la
sentenza illeggibile, concerne le decisioni di secondo grado, laddove, il caso di illeggibilità
della pronuncia di primo grado va ricondotte all’ipotesi di assenza di motivazione, che
impone al giudice dell’impugnazione, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del
fatto, di redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. 3, n. 9922 del
12/11/2009 – dep. 11/03/2010, Ignatiuk, Rv. 246227).
2. Del pari infondato è il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse della
Scardamaglia.
Con riferimento alle critiche concernenti il capo a), si rileva che è certamente esatto che, in
tema di ingiuria, è illegittima la decisione con cui il Tribunale escluda l’applicazione della
causa di non punibilità di cui all’art. 599, comma primo, cod. pen. (reciprocità delle offese)
sulla base del criterio di priorità dell’offesa, in quanto essa può essere applicata anche a
colui che abbia offeso per primo (Sez. 5, n. 48650 del 21/10/2009, Superi, Rv. 245826).
Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale, con motivazione che non palesa alcuna manifesta
illogicità, ha esercitato il potere discrezionale attribuito al giudice di merito nell’applicazione

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presentava la Di Tata, sia perché è legittimo ritenere che le sue attenzioni si fossero

della citata causa di non punibilità, argomentando anche in relazione al carattere
assolutamente gratuito dell’offesa pronunciata dall’imputata.
Con riferimento alle doglianze che investono il capo b), osserva la Corte che esse sono
inammissibili, in quanto la ricorrente, mentre valorizza il fatto che alcuni testi non hanno
riferito di ingiurie rivolte alla Di Tata, omette di considerare le dichiarazioni di quest’ultima,
poste dal Tribunale a fondamento della decisione.
Al riguardo, va ribadito che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e
nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e

giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in
sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una
rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011,
Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte).
3. Il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse della Scardamaglia è infondato.
La frase pronunciata dalla ricorrente, secondo cui ella avrebbe fatto sparare al Molinaro e ne
avrebbe danneggiato l’attività commerciale impedendo alla clientela di recarsi presso la
pizzeria, lungi dal prefigurare un evento dipendente dalla volontà di terzi, esprime proprio la
volontà dell’agente di chiedere al fratello di intervenire con armi e di dissuadere la clientela
dal frequentare il locale.
La pronuncia citata dalla ricorrente (Sez. 5, n. 7511 del 17/05/2000, Gaetani, Rv. 216536)
riguarda un caso affatto diverso, nel quale ad essere imputato era un awocato che, in
attesa di trattare la causa di opposizione all’esecuzione, nella quale patrocinava gli interessi
di due fratelli, la cui abitazione era stata aggiudicata ad un terzo, aveva detto a quest’ultimo,
“se tu ti prendi la casa, i miei clienti, che hanno un fucile, ti sparano. Quelli non hanno nulla
da perdere e lo sai che sono matti, ti conviene lasciar perdere”. Appare evidente che, nella
specie, il difensore non prospettava alcun intervento proprio in vista della realizzazione del
male ingiusto, a differenza di quanto contestato alla Scardamaglia.
4. Il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse della Scardamaglia è inammissibile, per
le medesime ragioni già espresse nell’esaminare la seconda articolazione del secondo
motivo, dal momento che, in definitiva, la ricorrente non dimostra una manifesta illogicità
delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, ma, attraverso una generica
critica all’attendibilità dei testi e il riferimento al dato, in sé neutro, del momento di
presentazione della querela, aspira ad una rivalutazione del significato attribuito agli
elementi raccolti, inammissibile in sede di legittimità.
Va, inoltre, considerato che la valutazione di credibilità espressa dal giudice di merito non è
legata a considerazioni aprioristiche, ma alla conferma dei fatti tratta proprio dalle
deposizioni testimoniali.
5. Per ragioni di ordine logico, va quindi esaminato il settimo motivo del ricorso proposto
nell’interesse della Scardamaglia, che investe la condanna risarcitoria sofferta.

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non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso

Esso è infondato, in quanto la valutazione del quantum del risarcimento, per quanto attiene
ai profili non patrimoniali, è rimesso alla discrezionale valutazione del giudice di merito, che,
nella specie, non palesando alcuna manifesta illogicità, ha fatto riferimento ai fatti reato,
accertati nella prima parte della motivazione. Quanto ai profili patrimoniali, non v’è alcun
motivo per ritenere che essi siano stati considerati in relazione al danno emergente, così
come lamentato dalla ricorrente; mentre per ciò che attiene alla perdita subita, la mancata
deduzione della misura non impedisce la liquidazione da parte del giudice sulla base delle
risultanze processuali.

nell’interesse della Scardamaglia, dal momento che il suo accoglimento, per le ragioni che
verranno esposte intia, determina la necessità di rivalutare nel merito le questioni legate alla
responsabilità civile del Molinaro e della Di Tata, per i fatti loro contestati, con conseguente
assorbimento delle censure formulate a quest’ultimo riguardo.
Ed, infatti, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, la persona offesa
costituita parte civile può proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, awerso la
sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace, stante la regola generale
dettata dall’art. 576 cod. proc. pen. applicabile, in virtù dell’art. 2 D.Lgs. n. 274 del 2000,
anche nel processo davanti al giudice di pace (Sez. 5, n. 23726 del 31/03/2010, Serpi, Rv.
247509).
Ne discende che, per tali profili, la sentenza va annullata con rinvio al Tribunale di Roma per
nuovo esame, cui viene demandata, quale giudice del rescissorio, anche il regolamento delle
spese.
7. Passando all’esame del secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse dello
Scardamaglia, rileva la Corte che esso è infondato, giacché il Tribunale ha escluso, con
motivazione congrua fondata sugli esiti evidenti dell’episodio che aveva preceduto
l’intervento dell’imputato, che ricorresse un errore ragionevole e logicamente apprezzabile.
L’assenza di qualunque verifica da parte dell’imputato, in assenza di segni che dimostrassero
un’aggressione in danno della sorella, spiega il fondamento della decisione assunta.
8. Fondato è invece il terzo motivo del medesimo ricorso, giacché allo Scardamaglia sono
state contestate condotte in danno della Di Tata e non del Molinaro, talché la condanna
risarcitoria pronunciata anche a favore di quest’ultimo non riposa su alcun fondamento e va
eliminata, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condanna di Scardamaglia
Edoardo al risarcimento dei danni in favore di Molinaro Emanuele, che elimina; annulla,
altresì, la sentenza limitatamente alla declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto da
Scardamaglia Elisabetta quale parte civile, con rinvio al Tribunale di Roma per il relativo
giudizio. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma il 26/09/2013

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6. Logicamente preliminare al quinto motivo è l’esame del sesto motivo del ricorso proposto

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