Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7399 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7399 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Malerba Fiordina, nata a Brindisi il 26/06/1966

avverso la sentenza emessa il 19/10/2011 dalla Corte di appello di Lecce

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile Fanelli Oronza l’Avv. Stefano Di Fiore, il quale ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso dell’imputata

RITENUTO IN FATTO

Fiordina Malerba, assistita dal proprio difensore, ricorre avverso la sentenza
emessa il 19/10/2011 dalla Corte di appello di Lecce, recante la conferma della
condanna della medesima per il delitto di diffamazione, in ipotesi commesso il

Data Udienza: 15/05/2013

21/11/2005 in danno dell’agente di Polizia Municipale Oronza Fanelli: secondo la
rubrica la Malerba, nell’ambito dell’atto di contestazione di un verbale relativo a
presunte infrazioni al codice della strada cui la Fanelli aveva dato corso a suo
carico, aveva offeso la reputazione del pubblico ufficiale procedente
rappresentando che la stessa verbalizzante si era intrattenuta per trenta minuti
all’interno di un negozio di ottica, nonostante fosse in servizio.
La ricorrente evidenzia che nella fattispecie avrebbe dovuto trovare
applicazione il disposto di cui all’art. 598 cod. pen., dal momento che la Malerba

pace, con il quale mirava ad ottenere l’annullamento della sanzione
amministrativa a lei irrogata; deduce altresì carenza, contraddittorietà ed
illogicità della motivazione della sentenza impugnata, non essendo stato in alcun
modo affrontato il problema della sussistenza del dolo in capo alla prevenuta,
che – ignorante di questioni giuridiche, e dispostasi a proporre ricorso perché un
altro vigile le aveva rappresentato tale possibilità – non aveva comunque mai
avuto l’intenzione di offendere la Fanelli.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
In primo luogo, va rilevato che la ravvisabilità dell’esimente ex art. 598 cod.
pen. costituiva tema del tutto estraneo ai motivi di appello a suo tempo
sviluppati nell’interesse della Malerba, laddove era stata rappresentata in via del
tutto generica la doverosità di una pronuncia assolutoria con la più ampia
formula, ed in subordine del contenimento della sanzione inflitta, previa
concessione di attenuanti generiche (peraltro, già riconosciute dal giudice di
prime cure).
In ogni caso, prospettare l’operatività dell’esimente de qua nel caso di specie
costituisce doglianza manifestamente infondata, atteso che detta scriminante
«presuppone che le espressioni offensive concernano, in modo diretto ed
immediato, l’oggetto della controversia, rilevino ai fini delle argomentazioni
poste a sostegno della tesi prospettata e siano adoperate in scritti o discorsi
dinanzi all’autorità giudiziaria» (Cass., Sez. VI, n. 14201 del 06/02/2009,
Dodaro, Rv 243832): la ricorrente espose senz’altro i fatti lesivi della reputazione
della Fanelli nel corpo di un atto destinato al competente Giudice di pace,
soddisfacendo l’ultimo dei requisiti indicati, ma si trattava

ictu ()culi di

considerazioni del tutto svincolate dal merito dell’addebito che ella mirava a
contestare, e che nulla avevano a che vedere con le sue finalità difensive.

2

utilizzò le espressioni in ipotesi diffamatorie in un ricorso presentato al Giudice di

Infatti, stante il divieto di sosta certamente a lei ascrivibile, la Malerba intendeva
rappresentare di non aver visto alcun vigile cui chiedere il permesso di fermarsi
in quel luogo perché – in ipotesi – la Fanelli si trovava presso un altro negozio:
ma un agente di polizia municipale non può certo autorizzare chicchessia a
sostare dove vige un divieto, né la condotta avrebbe potuto intendersi tollerata o
legittima qualora la sosta, come l’imputata intendeva dimostrare, fosse durata
soltanto cinque minuti.

pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà della ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
Si impone altresì la condanna dell’imputata alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità, che il collegio
ritiene equo liquidare nella misura di cui al dispositivo, avuto riguardo all’attività
professionale compiuta dal difensore della parte civile medesima.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che
liquida complessivamente in C 2.800,00, oltre accessori secondo legge.

Così deciso il 15/05/2013.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna della Malerba al

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