Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7394 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7394 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Bulgarelli Marco, nato a Milano il 09/05/1954

avverso la sentenza emessa il 15/02/2012 dalla Corte di appello di Milano

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata, limitatamente alla contestazione di bancarotta documentale
ed al conseguente assetto sanzionatorio, con rigetto nel resto

RITENUTO IN FATTO

1. Il 15/02/2012, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza
pronunciata dal G.u.p. del Tribunale della stessa città in data 04/05/2007 nei
confronti di Marco Bulgarelli; l’imputato, all’esito di giudizio abbreviato, era st to

Data Udienza: 15/05/2013

condannato ad anni 2 e mesi 4 di reclusione – oltre a pene accessorie di legge,
ed al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita – per delitti ex art.
223, commi primo e secondo (quest’ultimo, con riguardo alla fattispecie di
bancarotta documentale) legge fall., correlati alla gestione della Bulgarelli
Industria s.p.a. Detta società risultava dichiarata fallita nel 2004, e l’imputato
ne era stato prima presidente del consiglio di amministrazione e quindi
I iquidatore.
La Corte territoriale, disattendendo i motivi di gravame presentati

tecnica disposta nel corso delle indagini preliminari – la società fallita aveva
registrato a partire dal 1999 una crisi di liquidità, cui si era fatto fronte con un
eccessivo ricorso al credito bancario che era stato reso possibile da attestazioni
false nei bilanci e nelle altre scritture contabili, onde far apparire una situazione
difforme dal vero soprattutto in punto di volume d’affari e di entità dei ricavi; in
sostanza, il dissesto era stato così mascherato per alcuni anni, nel corso dei quali
la contabilità era stata tenuta in modo tale da non consentirne alcuna
valutazione di attendibilità.
Doveva perciò ritenersi, quanto alla prima ipotesi criminosa addebitata, che
le ripetute falsità nelle comunicazioni sociali costituissero «comportamenti
certamente idonei a recare danno alla società, nella misura in cui si tratta di
condotte che incrementano il livello dell’esposizione debitoria e producono
ulteriori perdite» (con la conseguenza di doverle intendere non solo strumentali
ad occultare un dissesto in atto, ma anche causative del dissesto medesimo): in
punto di superamento delle soglie di rilevanza penale previste dall’art. 2621 cod.
civ., la Corte di appello dava atto che i consulenti del P.M. avevano raggiunto
«pertinenti e argomentate conclusioni», cui la difesa aveva obiettato doglianze
meramente generiche. Circa la contestazione di bancarotta documentale, non
poteva sostenersi che questa derivasse dagli stessi elementi in fatto sottesi
all’accusa precedentemente illustrata, visto che già il tenore della rubrica
contemplava anomalie contabili ulteriori e diverse: inoltre, l’ipotesi delittuosa in
esame doveva intendersi configurabile sia in caso di oggettiva impossibilità di
ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del soggetto fallito, sia
in presenza di accertamenti sulle scritture di tale difficoltà da imporre indagini
complesse, come accaduto nella fattispecie concreta.
I giudici di secondo grado ritenevano conseguentemente provato anche il
dolo dell’imputato, essendone sufficiente la connotazione di dolo generico,
escludendo altresì che gli addebiti potessero meritare una derubricazione in
termini di bancarotta semplice.

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nell’interesse dell’appellante, osservava che – anche all’esito di una consulenza

2. Propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, il difensore
dell’imputato.
2.1 Il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 2621
cod. civ., nonché carenza di motivazione della sentenza impugnata, osservando
che la presunta falsità dei bilanci a fondamento della contestazione di bancarotta
impropria ex art. 223, comma primo, legge fall., sarebbe stata apoditticamente
affermata dai giudici di merito, che in termini altrettanto non argomentati (in
particolare, attraverso il mero richiamo alle conclusioni dei consulenti del P.M.)

rilevanza. Non rispondente al vero sarebbe peraltro l’inciso con cui la Corte
territoriale ritiene sostanzialmente non contestati dalla difesa gli elementi
evidenziati dai suddetti consulenti di parte avversa, dal momento che le relazioni
curate nell’interesse del Bulgarelli avevano sotto vari profili confutato quegli
elaborati: confutazioni fatte proprie dallo stesso giudice di prime cure, che
appunto in base a quelle obiezioni era giunto alla parziale assoluzione
dell’imputato su specifici addebiti.
2.2 Con il secondo motivo, il difensore deduce inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 216 e 223 legge fall., con riguardo alla ritenuta
responsabilità penale del prevenuto per bancarotta documentale: condivisa
l’interpretazione che vuole ravvisabile il reato de quo anche in ipotesi nelle quali
la ricostruzione del movimento degli affari si renda possibile solo all’esito di
accertamenti molto complessi, il ricorrente segnala che tale esegesi presuppone
comunque che la difficoltà degli accertamenti dipenda dal necessario intervento
di terzi, che forniscano i documenti asseritamente sottratti, distrutti o falsificati
dal fallito, non quando la documentazione ci sia, e sia semplicemente di
disagevole lettura. Nel caso in esame, i libri contabili della Bulgarelli s.p.a. erano
regolarmente esistenti e rimasero disponibili per la procedura, e le presunte
falsificazioni a sostegno della prima contestazione esauriscono i propri effetti – in
punto di disvalore penale – con riguardo al solo reato ex artt. 223 legge fall. e
2621 cod. civ., senza che se ne possa tenere conto anche ai fini della bancarotta
documentale.
2.3 Con il terzo motivo, ancora in ordine alla bancarotta documentale sub
B), il ricorrente si duole altresì della ritenuta sussistenza del dolo in capo al
Bulgarelli, prospettando un ulteriore profilo di inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 216 e 223 legge fall., e correlate carenze motivazionali:
sostiene in particolare che il dolo generico evocato dalla Corte territoriale
rimarrebbe comunque meramente affermato, e – laddove dimostrato – sarebbe
sufficiente solo a ritenere configurabile il meno grave reato di bancarotta
semplice. Inoltre, i giudici di appello ricaverebbero la prova di quel dolo dalle

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avrebbero anche dato per scontato il superamento delle soglie di penale

condotte che risultavano contestate all’imputato nei capi successivi, senza tenere
conto che per quelle ipotesi (dove si descrivevano condotte distrattive) vi era
stata sentenza di assoluzione già in primo grado.
2.4 Infine, il difensore del Bulgarelli lamenta mancanza di motivazione della
sentenza impugnata su uno dei motivi di appello a suo tempo presentati, in
particolare con riferimento alla sussistenza dell’aggravante ex art. 219 legge
fall., cui implicitamente il G.u.p. aveva fatto riferimento pure in difetto di una
espressa contestazione: la Corte territoriale, pure enunciando il profilo di

alcuno spazio, a dispetto della decisività della questione in punto di trattamento
sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 II primo motivo si rivela obiettivamente generico, visto che nella
sentenza impugnata si dà atto di quali siano le tesi difensive in ordine alle
irregolarità contabili di cui si assume la rilevanza ex art. 2621 cod. civ.: si
sarebbe trattato, secondo la difesa, di condotte meramente strumentali a
«mascherare la situazione di crisi e rendere possibile la prosecuzione della
gestione», senza intenti di frode. E’ stato tuttavia abbondantemente obiettato,
fino dalla pronuncia di primo grado, che allo stato di crisi dell’azienda si era
pensato di far fronte mediante «un irragionevole accesso al credito bancario […],
che ha contribuito ad aggravare a dismisura lo stato di dissesto, a seguito del
quale è stato dichiarato il fallimento. Un accesso al credito bancario giustificato
da una situazione di bilancio artatamente falsificata e teleologicamente orientata
a ingenerare negli organi di erogazione del credito una solvibilità inesistente». I
giudici di appello ribadiscono che «la manipolazione dei dati contabili al fine di
ottenere maggior credito, e scontando imposte su ricavi non conseguiti,
costituiscono comportamenti certamente idonei a recare danno alla società, nella
misura in cui si tratta di condotte che incrementano il livello dell’esposizione
debitoria e producono ulteriori perdite».
Osservazioni, in vero, ineccepibili. Né il richiamo alle argomentazioni dei
consulenti tecnici del P.M. in punto di falsificazione delle scritture risulta in
qualche modo acritico od immotivato, dato che il ricorso smodato al credito
bancario – per quanto diversamente spiegato dalla difesa – costituisce
circostanza pacifica, e dovendosi rilevare che i giudici di merito, quanto meno a
titolo esemplificativo, evidenziano la particolare significatività di u conto

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doglianza nel sintetizzare i motivi di gravame, non vi avrebbe poi dedicato

peculiare (quello intestato “fatture da emettere”), descrivendone l’obiettiva
natura di artificio contabile.
Prive di specificità sono poi le censure difensive afferenti la mancata prova
del superamento delle soglie di penale rilevanza: il richiamo, da parte dei giudici
di merito, alle indicazioni offerte dai consulenti del P.M. non è infatti superato da
alcuna contestazione in grado di smentire quei risultati, salvo precisare che il
contributo dei consulenti della difesa sarebbe stato comunque significativo per
escludere altra parte degli addebiti.

ribadita pronuncia di questa Corte «nel delitto di bancarotta fraudolenta
documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione
sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro
conoscenza documentata e giuridicamente utile; ne consegue che il predetto
delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento
degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili
sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi
fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare
diligenza» (Cass., Sez. V, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv 218383). In
quella occasione, vero è che assunse decisività la circostanza del necessario
ricorso a documenti esterni, al fine di ricostruire l’attività dell’azienda: ma tale
requisito non può intendersi avere portata generale, come reputa invece il
ricorrente, atteso che nelle successive occasioni in cui gli stessi principi sono
stati affermati (v., sempre di questa sezione, le sentenze nn. 24333 del
18/05/2005, Mattia, e 21588 del 19/04/2010, Suardi) le peculiari difficoltà
incontrate in vista dell’accertamento de quo appaiono avere rilevanza ex se.
E’ poi certamente insostenibile la tesi difensiva secondo cui delle accertate
falsità nei libri contabili non avrebbe dovuto tenersi conto anche ai fini della
bancarotta documentale: a riguardo, basta considerare il tenore della rubrica al
capo b), per rendersi conto che in vista della prova dell’impossibilità di
ricostruzione del movimento degli affari aziendali sono segnalate anomalie
contabili diverse ed ulteriori rispetto a quelle rilevanti sub a).
1.3 In ordine al dolo, la sentenza di primo grado aveva adeguatamente
sottolineato le complessive «modalità e finalità fraudolente della condotta», e
nella pronuncia oggetto di ricorso – oltre a ricordarsi la sufficienza, ai fini della
ravvisabilità della bancarotta documentale, del dolo generico (sul punto, v.
Cass., Sez. V, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri) – si rimarca ancora l’evidente
connotazione illecita di ogni operazione “dilatoria”, in un quadro complessivo
orientato a ritardare il fallimento aggravando progressivamente le perdite in
misura esponenziale: perciò, ricavando dalle due pronunce un compendio

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1.2 Quanto al secondo motivo, deve ricordarsi che secondo una più volte

motivazionale unitario, emerge senz’altro l’illustrazione dell’elemento soggettivo
del reato contestato (e l’impossibilità di una derubricazione dell’addebito nella
meno grave fattispecie di bancarotta semplice).
Per consolidata giurisprudenza, infatti, «quando non vi è difformità di
decisione, le motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado possono
integrarsi a vicenda in modo da formare un tutto organico ed inscindibile. Il
giudice di appello, pertanto, non ha l’obbligo di procedere ad un riesame degli
argomenti del primo giudice che ritenga convincenti ed esatti purché dimostri,

averle ritenute prive di fondamento» (Cass., Sez. IV, n. 1198 del 24/11/1992,
Pelli, Rv 193013); è stato altresì affermato che «in tema di sentenza penale di
appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di
secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza
dell’indagine svolta in primo grado, nonché della corrispondente motivazione,
seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni
della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda,
confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso
fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione» (Cass., Sez. III,
n. 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv 197497; v. anche Sez. II, n. 11220 del
13/11/1997, Ambrosino).
1.4 L’unicità del compendio motivazionale assume rilevanza decisiva anche a
proposito dell’ultimo motivo di ricorso, in relazione al quale è di palese evidenza
che l’aggravante da intendersi implicitamente contestata non poteva che essere
quella derivante dalla pluralità delle condotte (visto che, appunto, di più fatti di
bancarotta il Bulgarelli era chiamato a rispondere). Il giudice di prime cure,
infatti, aveva abbondantemente motivato – v. pagina 10 della sentenza del
G.u.p. – in ordine alla doverosità di un giudizio di equivalenza, e risultava del
tutto inconferente la doglianza difensiva secondi cui, solo per esservi stata
parziale assoluzione quanto ad alcuni addebiti, il bilanciamento avrebbe dovuto
essere maggiormente favorevole all’imputato: vero è che la Corte territoriale non
risulta essersi soffermata su quel motivo di gravame, ma per consolidata e
pluriennale giurisprudenza il giudice di secondo grado non ha l’obbligo di
esaminare un motivo di appello manifestamente infondato (v. ex plurimis, Cass.,
Sez. III, n. 8851 del 25/05/1982, Garraffo).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Bulgarelli al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

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anche succintamente, di aver tenuto presenti le doglianze dell’appellante e di

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 15/05/2013.

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