Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7393 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7393 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
De Michele Anna, nata a Canistro il 27/11/1962

avverso la sentenza emessa il 13/02/2012 dalla Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.

Data Udienza: 15/05/2013

Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile Coco Anna Rita l’Avv. Alberto Maria Papadia, che ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità – ovvero il rigetto – del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 13/02/2012, dichiarava la
responsabilità agli effetti civili di Anna De Michele in relazione al reato di lesioni
personali in ipotesi commesso il 01/06/2005 in danno di Annarita Coco, reato dal

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quale la De Michele era stata assolta in primo grado dal Tribunale di Avezzano. I
fatti si riferivano a ferite che la Coco aveva riportato a seguito del morso di un
cane appartenente all’imputata, e che – secondo l’assunto accusatorio – era
stato da costei spinto ad aggredire la controparte in occasione di un diverbio per
banali questioni di circolazione stradale.
I giudici di appello accoglievano l’impugnazione proposta dalla Coco,
costituitasi parte civile (dichiarando al contempo inammissibile l’appello avanzato
dal P.M.), rilevando che le dichiarazioni della denunciante erano suffragate da

riferito che, nel corso di una discussione sorta perché la De Michele occupava con
il proprio cane la sede stradale, non consentendo il transito dell’auto su cui le
due sorelle viaggiavano, l’imputata aveva premuto il tasto che consentiva di
allentare il guinzaglio dell’animale, tanto che il cane (privo di museruola) si era
avventato contro Annarita Coco, mordendola dopo che costei, nell’atto di
indietreggiare, aveva perso l’equilibrio cadendo a terra. Ulteriore riprova era
offerta da un teste indotto dalla difesa della stessa imputata, il quale aveva
ricordato che la donna ferita si era subito lamentata di essere stata morsa,
esortando la De Michele a tenere il cane al guinzaglio.
Per converso, ed al contrario di quanto ritenuto dal giudice di prime cure, di
ben scarso significato dovevano intendersi le dichiarazioni del sanitario che
aveva curato il referto delle anzidette lesioni (pur avendo a suo tempo attestato
che queste derivavano appunto dal morso di un cane, nella successiva
deposizione il teste aveva precisato che la causa poteva anche essere un’altra,
essendosi egli limitato a indicare nell’atto quel che aveva dichiarato la Coco):
secondo la Corte territoriale, le valutazioni cliniche effettuate dovevano
ragionevolmente riferirsi anche ad una diagnosi compiuta dal medico, ed in ogni
caso anche la sola compatibilità risultava del tutto coerente con il contributo
degli altri testimoni.
Infine, più certificati medici dimostravano che dall’episodio fosse derivato
quanto meno l’aggravamento di una sindrome ansioso-depressiva della Coco, sì
da determinare una sua incapacità di attendere a ordinarie occupazioni per un
tempo superiore a 40 giorni.

2. Avverso la pronuncia di secondo grado propone ricorso – che affida a tre
motivi – il difensore della De Michele.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta violazione degli artt. 190, 190-bis,
191, 468, 495 e 603 cod. proc. pen.
Viene evidenziato, in particolare, che nel corso del giudizio di primo grado la
parte civile aveva sollecitato il Tribunale ad acquisire ex art. 507 del codice di

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quelle, di identico tenore, della di lei sorella, presente ai fatti; entrambe avevano

rito una relazione di consulenza tecnica medico-legale di parte e i verbali delle
testimonianze rese in altro processo da due soggetti (uno dei quali era il fratello
della Coco), istanza che era stata rigettata; per effetto della sola allegazione di
quegli atti all’appello, invece, la Corte abruzzese ne aveva disposto di fatto
l’acquisizione ai sensi del ricordato art. 603, come precisato in sentenza. Tutto
ciò senza un provvedimento formale, in violazione del contraddittorio e
comunque non osservando le norme dettate in tema di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale.

difensore della De Michele deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art.
582 cod. pen., in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di lesioni
volontarie, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata.
Nell’interesse della ricorrente si rappresenta la oggettiva inverosimiglianza
delle dichiarazioni delle sorelle Coco, soprattutto alla luce degli elementi di
dubbio offerti da due medici escussi quali testimoni (il sanitario del Pronto
Soccorso e un medico di base) sulle caratteristiche della lesione presente sul
corpo della persona offesa: la Corte, a quel punto, avrebbe dovuto semmai
disporre una perizia, non potendo escludersi che la parte civile si fosse ferita solo
a causa della caduta, per poi fornire una versione di comodo.

3. In data 29/04/2013 è stata presentata una memoria difensiva
nell’interesse della parte civile, con la quale si sostiene la inammissibilità e
comunque la infondatezza delle doglianze della ricorrente.
Quanto alla presunta inosservanza della legge processuale, la difesa
dell’imputata non avrebbe infatti segnalato quali punti delle argomentazioni
adottate dalla Corte di appello sarebbero stati condizionati dall’acquisizione della
relazione del consulente di parte o dai verbali dei suddetti testimoni, sino a dover
ritenere che l’affermazione di penale responsabilità della De Michele sarebbe
derivata in tutto o in parte dalle prove de quibus.

Al contrario, offrendo una

articolata disamina dei passi rilevanti della motivazione della sentenza oggetto di
ricorso, il difensore della parte civile rileva che la decisione adottata appare
«innegabilmente supportata sulla scorta della corretta valutazione delle sole
prove acquisite nel corso del primo grado di giudizio», essendo menzionate dai
giudici di appello soltanto le fotografie allegate alla predetta relazione, e come
semplici elementi “in più” rispetto al già definito compendio probatorio.
In ordine al secondo e terzo motivo di ricorso, la parte civile obietta trattarsi
di doglianze inammissibili, prospettando l’imputata una ricostruzione alternativa
a quella fatta propria dalla Corte territoriale, ed in via assolutamente ipotetica.

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2.2 Con il secondo e terzo motivo di ricorso, trattati congiuntamente, il

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 In vero, le previsioni di cui all’art. 603 cod. proc. pen., nel caso di
specie, non sono state correttamente applicate dalla Corte aquilana, laddove si è
in concreto ritenuto che la semplice allegazione all’atto di appello dei verbali e

sufficiente per disporre una conforme rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale:
il che non è, neppure tenendo conto della giurisprudenza di legittimità invocata
dalla difesa di parte civile, secondo cui in talune ipotesi non sarebbe
indispensabile l’adozione di una formale ordinanza. La pronuncia richiamata
nella memoria sopra evidenziata – Cass., Sez. V, n. 36422 del 17/05/2011,
Bellone, Rv 250933) – afferma infatti che l’incombente non si richiede quando si
discuta di prove documentali (e tali non sono quelle che rilevano nella
fattispecie), oltre a ribadire che comunque deve ricorrere il presupposto della
rilevanza e decisività delle prove medesime.
Tuttavia, non può convenirsi con la valutazione espressa dalla difesa della
ricorrente nella parte in cui si segnala che le prove in questione, «pur dovendo
ritenersi irrituali ed inammissibili, sembrano aver avuto un ruolo determinante
nella formulazione della decisione di colpevolezza emessa»: la Corte di appello,
in via di premessa (v. pag. 3), evidenzia che la responsabilità dell’imputata
dovrebbe affermarsi «sia sulla base degli elementi probatori raccolti in primo
grado, sia sulla base delle ulteriori fonti di prova allegate all’atto di appello ed
acquisite agli atti ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.», ma le successive
argomentazioni rivelano che la decisione viene assunta senza fare riferimenti di
sorta a dette prove ulteriori, salvo uno e del tutto trascurabile. A pag. 6, dopo
una analitica rivisitazione degli elementi desumibili dalle dichiarazioni della
persona offesa, della sorella di costei, del teste Antonio Stati, e – per confutarne
la decisività rispetto al tenore del certificato del Pronto Soccorso a suo tempo
emesso – del Dott. Piccirilli, i giudici di secondo grado dedicano soltanto quattro
righe alla consulenza di parte allegata all’appello della Coco, precisando che da
quella relazione, “una volta di più”, risultava dimostrato che la lesione riportata
dalla parte civile derivava dal morso di un cane.
Conclusione, questa, già tranquillamente raggiunta dalla Corte territoriale
per effetto della nuova valutazione delle prove acquisite in primo grado, rispetto
alla quale il richiamo della consulenza in parola deve intendersi pacificamente ad
abundantiam.

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della relazione già oggetto di istanza di acquisizione dinanzi al Tribunale fosse

1.2 Il secondo ed il terzo motivo di ricorso si palesano invece generici, oltre
che afferenti profili di merito. In sostanza, la ricorrente lamenta che non
avrebbe dovuto riconoscersi attendibilità alle dichiarazioni della parte civile o
della sorella di quest’ultima, ma muovendo dall’indimostrato presupposto di un
loro mendacio si limita a prospettare una ricostruzione alternativa in via di mera
ipotesi («non può escludersi che..») e senza alcuna indicazione di maggiore
plausibilità; peraltro, il ricorso non si fa carico di confutare la valenza del
riscontro – evidenziato invece dai giudici di appello – offerto agli assunti delle

rinvengono profili di inosservanza od erronea applicazione della legge sostanziale
nella parte in cui la sentenza impugnata ricostruisce in termini di dolo eventuale
la riferibilità psicologica del fatto alla De Michele, ben potendo un soggetto allentando deliberatamente il guinzaglio di un cane, nel corso di una discussione
con taluno che si abbia dinanzi – prefigurarsi ed accettare quale conseguenza
della condotta che l’animale abbia a mordere la persona fronteggiata.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna della De Michele al pagamento
delle spese processuali.
Si impone altresì la condanna dell’imputata alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità, che il collegio
ritiene equo liquidare nella misura di cui al dispositivo, avuto riguardo all’attività
professionale compiuta dal difensore della parte civile medesima.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che liquida in
complessivi € 2.800,00, oltre accessori secondo legge.

Così deciso il 15/05/2013.

due sorelle dalla testimonianza di un soggetto certamente indifferente. Né si

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