Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 739 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 739 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RINAUDO NICOLO’ N. IL 06/04/1964
PARTE CIVILE
avverso la sentenza n. 2398/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 17/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F444 ,2,4 0, 91h 4,
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che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l ‘Avv
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Data Udienza: 26/11/2013

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 17.10.2012, la Corte di Appello di Palermo confermava
la sentenza del 21.11.2011, con la quale il G.I.P. presso il Tribunale di Trapani aveva
condannato RINAUDO Nicolò alla pena di quattro anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 4
L. n. 110/75, 614 u.c., 56 e 575 in relazione all’art. 577 comma 1 n. 3 e comma 2 c.p.
I Giudici di merito, con valutazioni conformi, avevano affermato la penale responsabilità
dell’imputato in base alle dichiarazioni rese dalla persona offesa Di Vita Emilio e a quelle rese

assistito all’aggressione subìta nel pomeriggio del 4.2.2011 dal Di Vita, ferito al torace e
all’addome dai colpi di coltello sferrati dal RINAUDO Nicolò.
La Corte territoriale confermava la decisione del primo Giudice anche in punto
qualificazione giuridica della condotta di cui al capo c) della rubrica nei termini di tentato
omicidio, in considerazione della zona del corpo attinta e della prognosi riservata attestata dai
sanitari dell’ospedale dove la vittima era stata ricoverata.
2. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello il RINAUDO, per il ministero del
suo difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo deduce “violazione dell’art. 606, co. 1, lett. e) c.p.p.:
mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Omessa rinnovazione dell’istruttoria
mediante il conferimento di incarico ad un collegio peritale”.
In considerazione delle ritenute omissioni valutative dell’indagine peritale condotta in
primo grado e del contrasto tra le conclusioni della stessa, da un lato, e della consulenza
tecnica di parte, dall’altro, nonché con il dato ricavabile dalla cartella clinica del CSM e
considerata l’impossibilità per la Corte territoriale di decidere, allo stato degli atti, in ordine alla
capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, il difensore del RINAUDO
aveva chiesto, nell’atto di appello, la rinnovazione dell’istruttoria, con lo svolgimento di perizia
collegiale avente ad oggetto i medesimi accertamenti effettuati nel primo giudizio.
La Corte palermitana aveva rigettato la richiesta con provvedimento carente di
motivazione, caratterizzato da un generico riferimento ad un’asserita esaustività del materiale
probatorio in atti, che non consentiva di rendere intelligibile il percorso logico seguito dai
Giudici nel confermare la propria adesione al giudizio di prime cure in ordine all’imputabilità del
ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata “violazione dell’art. 606 co. 1 lett. e)
c.p.p.: mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Travisamento del fatto”.
Con tale motivo di impugnazione, il difensore del ricorrente reitera le medesime
argomentazioni svolte in sede di appello (lo si evince, tra l’altro, dai ripetuti riferimenti, nel
corpo del ricorso, al provvedimento del “Giudice di prime cure” anziché alla sentenza di
secondo grado), essenzialmente incentrate sulla illogica valutazione cui i Giudici erano
pervenuti – discendente da una inesatta disamina degli elementi storico fattuali emersi dal
1

dai testi oculari Rinaudo Angela, Carriglio Federico e Giangrasso Massimo, i quali avevano

processo – in ordine alla configurabilità del delitto tentato (di cui sussisteva il solo requisito
dell’idoneità degli atti), in luogo di quella corretta che avrebbe dovuto indurre a ravvisare il
reato di lesioni personali aggravate dal pericolo di vita dell’offeso e dall’uso di armi.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di legittimità, a Sezioni Unite (Sentenza n. 2780 del 24/1/1996, Panigoni ed

rinnovazione del giudizio in appello è istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso
esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo
stato degli atti.
In coerenza con tale affermazione di principio, la giurisprudenza delle Sezioni semplici
ha statuito che, nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può
essere disposta solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti,
e in caso di rigetto della relativa richiesta di parte, il giudizio del giudice di appello, allorquando
sia logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di
giudizio di fatto (Sez. 1, Sentenza n. 6911 del 29/4/1992, Vella, Rv. 190555; Sez. 1,
Sentenza n. 1309 del 22/11/1993, Albergamo ed altri, Rv. 197247; Sez. 3, Sentenza n. 4646
del 25/2/1999, Quartieri L., Rv. 213086; Sez. 6, Sentenza n. 13450 del 28/9/2000, Galdieri ed
altri, Rv. 217628; Sez. 6, Sentenza n. 13048 del 20/6/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217881).
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Palermo – cui non sarebbe stato precluso di
disporre, anche d’ufficio a norma dell’art.603, comma terzo, c.p.p., la rinnovazione
dell’istruzione ritenuta assolutamente necessaria, pur essendosi il processo celebrato nelle
forme del rito abbreviato (Sez. 1, Sentenza n. 20466 del 16/4/2013, Cimpoesu, Rv. 256165) ha rigettato la richiesta, avanzata dalla difesa, di perizia collegiale per accertare lo stato di
incapacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, ritenendo, con
motivazione sintetica, ma logica e congrua, di disporre di materiale probatorio esaustivo ai fini
del decidere, essendosi già espletata, in primo grado, una perizia psichiatrica le conclusioni
della quale, rassegnate dal dott. Tripi, apparivano sorrette da motivazioni ineccepibili e del
tutto condivisibili.
Tali motivazioni, tra l’altro, erano state inglobate per ampi stralci nella sentenza di
primo grado (pagg. 12-15), comprensivi della parte dedicata alla confutazione dell’opinione del
Consulente di parte.
2. La seconda censura è inammissibile per aspecificità.
Il ricorso, infatti, si limita a riprodurre gli stessi motivi sviluppati in sede di appello.
Al riguardo, giova rammentare che nella giurisprudenza di questa Corte è stato
enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di diritto secondo cui è inammissibile il
ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che
2

altri, Rv. 203974), ha stabilito che, anche nel vigente codice di procedura penale, la

ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o
che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, Sentenza n.
18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, Sentenza n. 5191 del 29.3.2000, Rv. 216473;
Sez. 5, Sentenza n. 119333 del 27.1.2005, Rv. 231708).

Ed

invero, se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed

esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di
secondo grado (nel ricorso si fa sempre riferimento al provvedimento del “Giudice di prime

raccordano, con una critica argomentata, a un determinato punto della sentenza impugnata ed
appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena d’inammissibilità,
dall’art. 581, lett. c), c.p.p. (Sez. 2, Sentenza n. 36406 del 27/6/2012, Livrieri, Rv. 253893;
Sez. 1, Ordinanza n. 4521 del 20/1/2005, Orru’, Rv. 230751; Sez. 4, Sentenza n. 5191 del
29/3/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 2, Sentenza n. 11126 del 26/6/1992, Petrosillo ed altro,
Rv. 192556).
Deve aggiungersi che le considerazioni esposte nei motivi di ricorso si risolvono in
generiche censure in punto di fatto, che tendono unicamente a prospettare una diversa ed
alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di
legittimità in relazione ad una pronuncia che deve ritenersi congruamente motivata proprio con
riguardo alle censure predette.
Alla dichiarazione d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, che è equo fissare
in C 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

cure”), le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di “motivo”, perché non si

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