Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7384 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 7384 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gabriele Paolini, nato a Milano il 12.10.1974
avverso la sentenza del 13 febbraio 2013 emessa dalla Corte d’appello di
Roma;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale, Alfredo Pompeo Viola, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi gli avvocati Claudia Ferri e Francesco Bauro, sostituto processuale
dell’avvocato Salvatore Pino, difensori delle parti civili costituite, che hanno
concluso per l’inammissibilità del ricorso;

KoRPHoLLe

udito l’avvocato Massimiliano Ermanno Kon~ , difensore dell’imputato,
che ha insistito nel ricorso.

Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha confermato
la sentenza del 3 marzo 2009 con cui il Tribunale aveva ritenuto Gabriele
Paolini responsabile di interruzione di pubblico servizio, condannandolo alla
pena di quattro mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle

La contestazione del reato di cui all’art. 340 c.p. si riferisce a due distinti
episodi in cui l’imputato, secondo i giudici di merito, avrebbe interrotto alcuni
servizi giornalistici televisivi in diretta: in particolare, il 26 giugno 2006
durante un collegamento in diretta con il TG 1 della RAI Paolini si avvicinava
alla giornalista Elisa Ansaldo, che aveva appena cominciato a svolgere il suo
servizio in diretta audio e video sullo scandalo c.d. di “calciopoli”, e facendosi
inquadrare dalla telecamera pronunciava più volte la frase “Ho fatto sesso col
Papa! Paolini ha fatto sesso col Papa” percepibile attraverso il microfono della
giornalista, costretta a restituire la linea e a rinunciare al servizio che sarebbe
dovuto andare in onda; il 21 settembre 2006 Paolini metteva in atto un
analogo comportamento, questa volta durante una diretta televisiva di Italia
1, entrando nell’inquadratura della giornalista Francesca Maria Benvenuti, che

aveva iniziato il servizio per la trasmissione Studio Sport, ed esibendo prima
un cartello con la scritta “Il Papa è uno stronzo” e poi pronunciando la frase “Il
Papa è gay”, costringendo, anche in questa occasione, ad interrompere il
servizio televisivo.
La Corte territoriale, sulla base di tale ricostruzione dei fatti, ha ritenuto
corretta la decisione del primo giudice, in quanto il comportamento di disturbo
dell’imputato, attraverso intromissioni a sorpresa nelle dirette televisive, ha
cagionato l’interruzione dei relativi servizi di pubblica informazione,
integrando il reato contestato.
Anche sotto il profilo soggettivo i giudici di appello hanno considerato
sussistente il reato, mettendo in rilievo che l’imputato, in entrambe le
occasioni, ha agito con perfetta lucidità, dopo essersi informato sui luoghi in
cui sarebbero stati realizzati i servizi televisivi, in un caso predisponendo in
anticipo un cartello da esibire in video, sicché appare evidente l’intenzione di
disturbare e interrompere le trasmissioni operanti a livello nazionale.

2

costituite parti civili.

Infine, la Corte ha escluso l’ipotesi, sostenuta dalla difesa, dell’errore sul
fatto costituente il reato, errore determinato dall’esistenza di precedenti
pronunce assolutorie per fatti analoghi.

2.

L’imputato ha presentato personalmente ricorso per cassazione,

deducendo un unico e articolato motivo relativo alla inosservanza dell’art. 340

sensi dell’art. 5 c.p., dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del
1988. Secondo il ricorrente i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere
l’esistenza dell’ignoranza scusabile della legge penale in considerazione del
fatto che in precedenza, per analoghe condotte, era stato assolto. In
particolare, menziona la sentenza del Tribunale di Parma – sezione distaccata
di Fidenza, del 3 dicembre 2000, che ha ritenuto il suo comportamento
penalmente irrilevante, assolvendolo con la formula “il fatto non sussiste”,
precisando che questa sentenza lo avrebbe indotto in errore circa la liceità del
suo comportamento, errore indotto da una interpretazione giudiziaria che ha
avuto ad oggetto lo stesso fatto e lo stesso reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il motivo proposto è manifestamente infondato.

3.1. Il ricorrente non contesta la materialità della sua condotta, ma
adduce la sussistenza dell’ignoranza scusabile della legge penale ai sensi
dell’art. 5 c.p., sul presupposto di una precedente sentenza del Tribunale di
Parma che, per un analogo episodio, lo aveva assolto.
Invero, sul punto si è già pronunciato il giudice del gravame, escludendo
con motivazione pienamente condivisibile qualsiasi ipotesi di errore di fatto
incolpevole o buona fede, idonea a interferire sull’elemento psicologico del
reato, in quanto la precedente sentenza di assoluzione concerneva una
fattispecie diversa, che non integrava una reale interruzione o turbativa del
servizio pubblico, per cui non era da reputare idonea ad indurre nell’imputato
la certezza della liceità della sua condotta; peraltro, aggiungono i giudici di
appello, proprio la precedente esperienza giudiziaria avrebbe dovuto indurlo a
riflettere prima di reiterare un analogo comportamento. A ciò si può

3

c.p. e alla sussistenza della causa di ignoranza scusabile della legge penale ai

aggiungere che nel frattempo sono intervenute decisioni, ben note
all’imputato, che hanno riconosciuto il rilievo penale di azioni del tipo di quelle
poste in essere dall’imputato, sicché appare difficile riconoscere un
atteggiamento di buona fede nei confronti del Paolini.
Del resto, questa Corte ha costantemente affermato che l’inevitabilità
dell’errore su legge penale e la pretesa buona fede in base alla sentenza n.

di scusabilità, ma deriva da particolari situazioni in cui il predetto errore è
inevitabile, sicché esiste sempre un obbligo, incombente su chi versa in un
determinato contesto, di informarsi con diligenza sulla normativa esistente e
sulla liceità del suo comportamento e, nel caso, di dubbio, di astenersi dal
porre in essere la condotta criminosa.

4. In conclusione, la manifesta infondatezza del motivo proposto
determina l’inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente alti
pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della
cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00;
inoltre, il Paolini deve essere condannato a rimborsare le spese di questo
grado di giudizio in favore delle parti civili costituite, che si liquidano in euro
3.000,00 oltre accessori, i.v.a. e c.p.a.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Condanna altresì il ricorrente a rimborsare a ciascuna delle parti civili le
spese di questo grado, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori, i.v.a. e
c.p.a.
Così deciso il 28 novembre 2013

Il Consig re estensore

Il residente

364/1988 della Corte Costituzionale non costituisce una causa indiscriminata

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