Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7381 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7381 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUSCICCHIO GIUSEPPE N. IL 27/09/1980
avverso l’ordinanza n. 532/2013 TRIB. LIBERTA’ di TARANTO, del
29/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
~sentite le conclusioni del PG Dott.

Aldo Policastro, che ha chiesto l’annullamento con rinvio;

Pdit i difensor Avq

Data Udienza: 06/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13/09/2013 era stata applicata la misura degli arresti
domiciliari nei confronti di Buscicchio Giuseppe in relazione al delitto di cui
all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
2. In data 29/10/2013 il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice di
appello

ex

art.310 cod.proc.pen., ha rigettato l’impugnazione proposta

nell’interesse di Buscicchio Giuseppe, confermando l’ordinanza emessa dal
Giudice per le indagini preliminari il 4/10/2013, con la quale era stata rigettata

allo svolgimento di attività lavorativa.
3. Ricorre per cassazione Giuseppe Buscicchio, deducendo con unico motivo,
vizio motivazionale ed erronea applicazione della legge penale in quanto il
Tribunale ha negato lo stato di assoluta indigenza sul presupposto che l’indagato
lavori presso l’Ilva S.p.A. dal 16/03/2005, illogicamente desumendo da tale
elemento la presunzione dell’esistenza di risparmi, ed in quanto ha desunto che
l’indagato non provvede da solo ai propri bisogni primari dalla circostanza che
egli convive con i propri genitori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’art.284, comma 3, cod.proc.pen., secondo il quale il giudice può
autorizzare l’imputato ad assentarsi dal luogo di arresto per il tempo
strettamente necessario per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita
ovvero per esercitare una attività lavorativa, subordina l’esercizio di tale potere
discrezionale dell’autorità procedente al presupposto che l’imputato non possa
altrimenti provvedere a dette esigenze ovvero versi in situazione di assoluta
indigenza.

2.

Si osserva, in primo luogo, che questa Corte ha chiarito che

l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo ove si scontano gli arresti domiciliari,
prevista dall’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., risolvendosi in una modalità di
carattere permanente che incide in misura apprezzabile sul regime cautelare,
deve qualificarsi come “ordinanza in materia di misure cautelari”; e che,
conseguentemente, avverso detto provvedimento è ammesso l’appello e quindi il
ricorso in cassazione, ai sensi degli artt. 310 e 311 cod. proc. pen.
(Sez. U, n. 24 del 03/12/1996, dep. 21/01/1997, P.M. in proc. Lombardi
Rv. 206465; Sez.6, n.4418 del 18/11/1994, dep. 25/01/1995, Rv. 200858). Il
Collegio aderisce all’orientamento ora richiamato, rispondente ad una lettura
delle disposizioni del codice di rito costituzionalmente orientata, conducente a
ritenere esperibili avverso i provvedimenti comunque incidenti sulla libertà
personale i mezzi impugnatori previsti in materia di misure cautelari personali,
2

l’istanza di autorizzazione ad allontanarsi dall’abitazione per il tempo necessario

nel libro IV, del codice di procedura penale (Sez.4, n.18202 del 28/03/2013,
Brittannico, Rv.255987).

3. Giova, poi, evidenziare che la Corte ha recentemente ribadito che la
valutazione del giudice per la concessione dell’autorizzazione a svolgere attività
lavorativa, ex art. 284, comma 3, cod. proc. pen. deve essere improntata a
criteri di particolare rigore, di cui deve essere dato conto nella motivazione del

4. E’ ormai pacifico l’insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo il
quale alla Corte di Cassazione non compete scegliere la ricostruzione probatoria
ritenuta più adeguata al contenuto degli elementi di prova acquisiti, tra le
diverse prospettate, ma solo verificare che quella adottata dal giudice del merito
sia sorretta da motivazione ne’ inesistente ne’ apparente, caratterizzata da un
percorso argomentativo che non sia manifestamente illogico o contraddittorio,
intrinsecamente – nell’ambito della stessa motivazione – ovvero con un elemento
di prova ignorato o, pur inesistente, dato per presente, quando tale elemento
sia, per sè, idoneo a destrutturare l’intera ricostruzione. Si tratta, quindi, di limiti
estremamente rigidi, che necessitano di un approccio nel ricorso particolarmente
attento ad indicare specificamente i punti, decisivi, ignorati, ovvero quelli
manifestamente illogici (con spiegazione delle ragioni logiche che fondano il
vizio), ovvero quelli (nella motivazione) tra loro in insuperabile contraddittorietà
logica (Sez. 6, n. 31390 del 08/07/2011, D’Amato, Rv. 250686).

5. L’ordinanza impugnata ha confermato il provvedimento del Giudice per le
indagini preliminari ritenendo che non vi fosse prova idonea e sufficiente dello
stato di assoluta indigenza, che l’appellante avesse allegato un mero stato di
difficoltà economica, che non avesse dimostrato il paventato rischio di
licenziamento, che non avesse dimostrato l’omesso pagamento delle rate di un
finanziamento in precedenza contratto. Il giudice del merito cautelare ha desunto
l’insussistenza dello stato di assoluta indigenza dalla circostanza che il Buscicchio
lavorasse alle dipendenze dell’Ilva s.p.a. dal 16/03/2005, percependo una
retribuzione di euro 765,29, escludendo che la sospensione della retribuzione dal
13/09/2013 potesse aver causato detto stato di assoluta indigenza.
5.1. Il Tribunale ha anche desunto dalla circostanza che l’appellante
coabitasse con i propri genitori l’insussistenza dell’altro presupposto
dell’impossibilità di provvedere altrimenti ai propri bisogni primari, risultando con
evidenza inconferente il richiamo contenuto nel ricorso alla giurisprudenza di
questa Corte, secondo la quale nell’interpretare la norma in esame non si può
3

relativo provvedimento (Sez. 3, n.34235 del 15/07/2010, Gatto, Rv.248228).

tenere conto delle condizioni del nucleo familiare. Tale orientamento
interpretativo non nega in assoluto la possibilità di argomentare il diniego
dell’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari dalle
condizioni del nucleo familiare, escludendo la rilevanza di tale elemento fattuale
solo qualora si tratti di valutare la situazione di indigenza della persona
sottoposta alla misura cautelare, non essendo prese in considerazione dalla
legge le condizioni economiche dei familiari.
5.2. Giova, poi, sottolineare l’ulteriore ragione giustificativa del diniego,

correttamente considerata elemento necessario per valutare la compatibilità
della durata della prestazione lavorativa con le esigenze cautelari. Il giudizio
demandato al Tribunale non può, infatti, prescindere dalla valutazione della
compatibilità dell’attività lavorativa proposta con le esigenze cautelari poste alla
base della misura, la quale costituisce pur sempre una forma di custodia
cautelare (articolo 284, comma 5, cod.proc.pen.). Come emerge dalla
qualificazione dei presupposti autorizzativi in termini di “indispensabilità” e di
“assolutezza”, il giudizio deve essere improntato, come detto, a criteri di
particolare rigore e, a tal fine, non può certamente prescindere dalla valutazione
anche della compatibilità di tale attività con le esigenze cautelari (Sez. 1, n. 103
del 1/12/2006, dep. 8/01/2007, Cherchi, Rv.235341).

6. In questa prospettiva ermeneutica si è posto qui il Tribunale de libertate,
rilevandosi la correttezza del percorso motivazionale seguito e l’insussistenza di
vizi, anche sotto il profilo della dedotta violazione di legge, suscettibili di censura
con riguardo al profilo dell’impossibilità, per il ricorrente, di provvedere ai suoi
bisogni primari ed all’insufficienza degli elementi forniti per valutare la
compatibilità della durata della prestazione lavorativa con le esigenze cautelari,
mentre la motivazione è errata in diritto e, ai sensi dell’art. 619, comma 1,
cod.proc.pen., deve essere emendata per semplice soppressione della parte
errata, laddove nega che si possa desumere lo stato di assoluta indigenza dalla
sospensione della già modesta retribuzione causata dall’applicazione della misura
cautelare. Peraltro, tale punto della motivazione non svolge alcun ruolo decisivo
in ordine alla giustificazione del provvedimento adottato, posto che quando il
giudice ha fondato la decisione su più di una delle ragioni previste dall’art.284
cod.proc.pen. ciascuna di esse ha rilievo autonomo e alternativo. In tale ipotesi
l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza su un punto non
condurrebbe ad un effetto liberatorio a causa della permanenza dell’altra (Se
U, n. 9973 del 24/06/1998, Kremi, Rv. 211072; Sez. 1, n. 9707 del 10/08/1995,

4

indicata dal Tribunale nell’assenza di prova del dichiarato orario lavorativo,

Caprioli, Rv. 202302; Sez. 4, n. 1761 del 17/12/1992, Serranò ed altro, Rv.
193063).

7. Conclusivamente il ricorso risulta infondato e deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso il 6/02/2014

processuali.

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