Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7380 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7380 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: SIRENA PIETRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAHIF SALIH N. IL 01/11/1985
avverso l’ordinanza n. 1445/2013 TRIB. LIBERTA’ di VERONA, del
15/11/2013
Trcskok~resentita la relazione fatta dal Cor>siggere Dott. PIETRO ANTONIO
SIRENA;
l’ette/sentite le conclusioni del PG Dott. -Recto -PG,2-y-aa.AT/1,..
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Data Udienza: 06/02/2014

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Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 29 ottobre 2013, il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Verona applicò a RAHIF SALII-I, indagato per il delitto di cui
all’articolo 73, comma 1, del d.P.R. numero 309 del 1990, la misura cautelare
della custodia in carcere.
Avverso tale provvedimento il RAHIF propose istanza di riesame, ma il Tribunale
di Venezia, con ordinanza del 15 novembre 2013, la respinse.
2. Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato, deducendo:

inosservanza o erronea applicazione della legge penale
Secondo il ricorrente, la motivazione del Tribunale del riesame di Venezia
risulterebbe “inidonea a superare un quadro circostanziale del tutto equivoco”: e
in vero, leggendo l’ordinanza impugnata, ad avviso del difensore, si
comprenderebbe “chiaramente come gli elementi sui quali il Giudice per le
indagini preliminari ha fondato la misura della custodia cautelare in carcere a
carico di RAHIF SALIN, siano mutuati tutti da altro fatto reato, peraltro non
contestato” all’indagato e che non comparirebbe “neanche in forma embrionale,
nel capo di imputazione”, avendo il GIP fatto riferimento “ad emergenze
investigative riferibili a un sequestro di sostanza stupefacente avvenuto in
Mazzano (BS)”, nell’abitazione dell’indagato.
Sempre ad avviso del difensore, il Tribunale di Venezia avrebbe errato a non
dichiarare l’incompetenza territoriale del GIP, atteso che il rinvenimento della
sostanza stupefacente in Mazzano avrebbe determinato la competenza
dell’autorità giudiziaria di Brescia.
Inoltre, non sussisterebbe – secondo la tesi difensiva – il pericolo di reiterazione
di condotte della stessa specie indicato dai giudici del riesame, dal momento che
costoro avrebbero “ravvisato l’esistenza del tutto congetturale di una rete di
contatti che legherebbe l’indagato al mondo della criminalità organizzata, senza
tenere in considerazione che gli elementi di fatto a supporto dell’imputazione

a) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e b)

provvisoria facciano in realtà emergere che l’indagato ha commesso una
condotta isolata piuttosto che il quadro caleidoscopico rappresentato dal
giudicante”.
Infine, ad avviso del ricorrente, sarebbero erronee sia la considerazione dei
giudici del riesame, secondo cui la circostanza che il RAHIF aveva predisposto un
nascondiglio nella sua autovettura, al fine di occultare la sostanza stupefacente, 95C3L L'”4″
dimostrerebbe la sua pericolosità; sia l’ulteriore affermazione che dal sequestro
di altra droga avvenuto in Mazzano si potrebbero trarre ulteriori elementi atti a
confermare la pericolosità dell’indagato.
Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
In punto di fatto è pacifico e non è neppure contestato dal RAHIF che questi
ebbe illecitamente a trasportare nella sua autovettura sostanza stupefacente del
tipo hashish del peso complessivo di 980,67 grammi, contenuta in un
parallelepipedo avvolto con nastro adesivo marrone, a sua volta occultato, in un
vano ricavato tra la portiera anteriore destra e il relativo pannello, all’interno
della sua autovettura.
4. Perciò, il ricorrente ha dedotto innanzi al Tribunale di Verona non tanto

per territorio di quella autorità giudiziaria, assumendo che l’ordinanza del GIP
aveva fatto riferimento anche ad altri fatti della stessa specie, verificatisi in
Brescia.
E però, i giudici del riesame hanno correttamente risposto a tale deduzione
difensiva, affermando che il suddetto richiamo del GIP ad altro più grave reato in
materia di sostanza stupefacente era circoscritto – in assenza di uno specifico
capo di imputazione per quella vicenda – “alla sola legittima e anzi doverosa
considerazione di tali ulteriori fatti ai fini del vaglio sulla sussistenza, pregnanza
e intensità delle ravvisate esigenze cautelari”.
Dunque, in presenza di un capo di imputazione concernente solo l’episodio del
sequestro della sostanza stupefacente verificatosi in Verona, il 26 ottobre 2013,
è evidente che non può ravvisarsi nella concreta fattispecie alcuna incompetenza
territoriale dell’autorità giudiziaria procedente.
5. Quanto alla doglianza concernente la sussistenza delle esigenze cautelari
affermata dai giudici del riesame, giova premettere che il controllo di legittimità
relativo ai provvedimenti de libertate concerne l’esame del contenuto dell’atto
impugnato al fine di verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass. pen.,
Sez. IV, sentenza n. 2146 del 25/5/95, dep. 16.06.1995, Rv. 201840; e, da
ultimo, Cass. pen., Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011, dep. 04/01/2012,
Rv. 251760).
Alla Corte di cassazione, in vero, spetta il compito di verificare la congruenza
logica della motivazione resa dal giudice di merito rispetto alla valutazione degli
elementi indiziari ed in ordine alla proporzionalità ed adeguatezza dei presidi di
contenimento.
Con specifico riferimento ai parametri ora richiamati, che vengono in rilievo nel
caso che occupa, preme poi osservare che la Corte regolatrice ha recentemente
ribadito che il giudice della cautela deve costantemente verificare che ogni
misura risulti adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel

l’insussistenza dei gravi indizi in ordine al reato contestato, ma la incompetenza

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caso concreto, secondo il paradigma della gradualità del sacrificio imposto al
soggetto sottoposto a restrizione; e che la misura cautelare sia altresì
proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa
essere irrogata (Cass. pen., Sez. Un., Sentenza n. 16085 del 31/03/2011,
dep. 22/04/2011, Rv. 249323).
Muovendo da tali principi è dato soffermarsi sui motivi di doglianza dedotti dal
ricorrente, evidenziandosi che l’ordinanza gravata risulta sorretta da un
conferente percorso logico argomentativo, per quanto concerne la valutazione

rilievo nel caso di specie.
E in vero, il Tribunale di Venezia ha basato le valutazioni relative al concreto
pericolo di attività recidivante ed alla scelta del presidio di contenimento,
sull’analisi delle accertate modalità della condotta posta in essere dal prevenuto.
In particolare, il Collegio ha considerato la gravità della condotta criminosa,
risultante anzitutto “dalla oculatezza lato sensu professionale caratterizzante la
realizzazione ad hoc nell’auto intestata all’indagato dell’incavo-nascondiglio ove
occultare il chilogrammo scarso di hashish”, per cui è processo; ed ha posto
altresì in rilievo “l’assenza di una qualsivoglia presa di distanza, anche parziale,
del RAHIF dall’ambiente del traffico degli stupefacenti, dimostrata dal precedente
specifico di polizia relativo al rinvenimento nell’abitazione della suddetta persona
dell’ingente quantità di sostanza stupefacente, di cui si è in precedenza trattato.
E tali elementi sono stati correttamente giudicati dai giudici del riesame come
indicativi del fatto che il RAHIF è un abituale spacciatore di sostanze stupefacenti
e che solo la custodia in carcere è idonea a impedire che l’indagato continui a
trafficare con la droga.
Ebbene, dette considerazioni risultano logicamente coerenti e del tutto conformi
ai criteri di inferenza che presiedono all’apprezzamento della esigenza cautelare
del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, sulla base delle accertate
modalità della condotta.
E’ poi appena il caso di considerare che l’assenza di precedenti condanne
riportate dal prevenuto non vizia altrimenti il provvedimento impugnato, in
ragione del complessivo percorso argomentativo sviluppato dal Tribunale, di cui
ora si è dato conto.

6. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il
ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento
delle spese del procedimento.
Devesi inoltre disporre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito

relativa alla scelta della misura cautelare rispetto alle esigenze che vengono in

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dall’articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
direttore dell’istituto penitenziariocompetente perché provveda a quanto
stabilito dall’articolo 94, comma 1 ter, disposizioni attuazione del codice di
procedura penale.

Il Presidente estensore
(Pietro Antonio Sirena)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

Così deliberato in camera di consiglio, il 6 febbraio 2014.

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