Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7375 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7375 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROCCAMO CLAUDIO N. IL 01/03/1966
avverso l’ordinanza n. 86/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 07/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
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Data Udienza: 14/01/2014

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 7 dicembre 2012 la Corte di Appello di Reggio
Calabria rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da
Roccamo Claudio, condannando il richiedente alla rifusione delle spese in favore
della Amministrazione resistente, liquidate in C 3.000,00, oltre accessori di legge.
La Corte territoriale rilevava che Roccamo era stato sottoposto alla misura
cautelare della custodia in carcere in data 13.02.2008, in forza di ordinanza resa

relativa ad una associazione a delinquere di stampo mafioso; che la misura era
stata revocata in data 8.05.2008 e che il G.i.p. presso il Tribunale di Reggio
Calabria, al quale gli atti erano stati trasmessi per competenza, aveva quindi
disposto l’archiviazione del procedimento in data 19.10.2009.
La Corte distrettuale osservava che il richiedente lamentava, in particolare,
le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla carcerazione, rispetto alla attività
imprenditoriale della società Fratelli Roccamo s.a.s. Nel censire la predetta
richiesta, il giudice della riparazione rilevava che l’istanza non era meritevole di
accoglimento, atteso che il richiedente aveva concorso a determinare l’emissione ed
il mantenimento della misura coercitiva a suo carico; ciò in quanto Roccamo, pur
non potendo essere considerato un associato, si era comportato come soggetto
contiguo ad ambienti mafiosi.
2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria
ha proposto ricorso per cassazione Roccamo Claudio, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo l’esponente deduce il vizio motivazionale. La parte
osserva che la Corte di Appello omette di individuare la condizione ostativa al
riconoscimento dell’indennizzo e che il Collegio si limita ad evocare la
cointeressenza societaria dell’istante alle attività della famiglia Roccamo,
ipotizzando a carico di costoro un generico e suggestivo ruolo di finanziatori di terzi
soggetti. Il ricorrente evidenzia che il pubblico ministero ebbe a richiedere
l’archiviazione del procedimento e rileva che il giudice della riparazione non ha
indicato gli elementi riferibili al prevenuto, che avrebbero avuto un ruolo
condizionante rispetto alla adozione della misura cautelare.
La parte rileva che difetta la frequentazione da parte del Roccamo di gruppi
criminali; e considera che il mero interesse in affari leciti non può assumere la veste
di concausa ostativa all’indennizzo. Osserva che ai fini della valutazione di
comportamenti colposi ostativi alla riparazione non viene in rilievo il diritto al
silenzio esercitato dal richiedente; e sottolinea che, contraddittoriamente, la stessa
Corte territoriale ha riconosciuto l’equo indennizzo in favore di altri coimputati, la
cui posizione processuale risulta speculare rispetto a quella del Roccamo.
L’esponente sottolinea che la Corte di Appello, illogicamente, ha valorizzato le
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dal G.i.p. presso il Tribunale di Perugia, in relazione all’imputazione provvisoria

attività di intimidazione che i fratelli Roccamo hanno subito da parte di terzi,
peraltro in epoca risalente rispetto ai fatti che vengono oggi in rilievo, attività
indicative della posizione di vittima del Roccamo e non certo di associato al
sodalizio criminale.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della condanna al pagamento
delle spese in favore della Avvocatura Generale. Osserva che la domanda non
presentava profili di inammissibilità e che la natura della richiesta avrebbe dovuto

l’ammontare dell’importo risulta esorbitante e che l’ordinanza non contiene
adeguato supporto motivazionale anche rispetto alla quantificazione delle spese.
3.

Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte annulli l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di
Reggio Calabria.
4.

L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per il

Ministero dell’Economia e delle Finanza, chiedendo che il ricorso sia respinto.
Considerato in diritto
5. Il ricorso in esame risulta infondato, per le ragioni che si vengono ad
esporre.
5.1 II primo motivo di censura non ha pregio.
Giova considerare che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a
darvi causa con dolo o colpa grave – questione che viene specificamente in rilievo
nel presente procedimento – deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti
gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione
di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che,
se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).
Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale
(grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del
provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio
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indurre la Corte di merito a disporre la compensazione delle spese. Rileva che

consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della
cognizione.
A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si
sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel
porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella
criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.
242760).

Calabria si colloca nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato,
tracciato dalla Suprema Corte, in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi
al riconoscimento dell’equo indennizzo, in tema di riparazione per ingiusta
detenzione.
Il Collegio ha considerato in primo luogo che il Tribunale del Riesame, nel
confermare il provvedimento cautelare genetico, aveva considerato che
l’organizzazione criminosa in questione aveva raggiunto lo stato più avanzato della
infiltrazione e degli intrecci tra politica e mafia; ed ha evidenziato che in tale cornice
si inseriva la condotta posta in essere dal richiedente, nella qualità di imprenditore
operante in Calabria, coinvolto negli affari condotti da Benincasa, da Cicioni e da
altri soggetti. Quindi, la Corte di Appello ha rilevato: che i Roccamo, quali
imprenditori locali, avevano assicurato al sodalizio criminoso i necessari
finanziamenti per la realizzazione dei programmati interventi edilizi; che le imprese
facenti capo ai Roccamo erano state fatte oggetto di attività di intimidazione; e che
doveva ritenersi che costoro avessero chiesto protezione a Vadalà Antonino, atteso
che gli episodi intimidatori erano di poi cessati. Sullo specifico punto, il Collegio ha
richiamato la conversazione del 27.03.2007, intercorsa tra Roccamo Claudio e
Martelli, in cui emergono le minacce ricevute dai fratelli Roccamo, le richieste di
aiuto rivolte ad Angelo e le scuse ottenute infine dai Roccamo, a seguito della
protezione ricevuta. Ed il Collegio ha pure osservato – come già rilevato dal
Tribunale del riesame – che il coinvolgimento di Roccamo Claudio discendeva dal
fatto che costui aveva messo a disposizione del sodalizio criminoso la propria
affidabilità finanziaria.
Tanto chiarito, il giudice della riparazione ha considerato che l’istanza non
era meritevole di accoglimento, atteso che il richiedente aveva concorso a
determinare l’emissione ed il mantenimento della misura coercitiva a suo carico; ciò
in quanto Roccamo, pur non potendo essere considerato un associato, si era
comportato come soggetto contiguo ad ambienti mafiosi. A tale specifico riguardo,
la Corte di Appello ha valorizzato il fatto che Roccamo Claudio avesse intessuto
rapporti con Martelli, il quale agiva secondo metodi intimidatori e che risultava
indicato come pregiudicato locale dagli inquirenti; ed ha altresì rilevato che proprio
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5.2 Orbene, la valutazione effettuata dalla Corte di Appello di Reggio

il predetto comportamento posto in essere dal Roccamo, da qualificare come
gravemente colposo, aveva avuto valenza sinergica, rispetto all’emissione della
misura cautelare a carico del richiedente.
In tali termini, il giudice della riparazione ha legittimamente effettuato
l’autonomo apprezzamento della complessiva condotta posta in essere dal
richiedente, secondo una valutazione “ex ante”, cioè a dire in riferimento agli
elementi conosciuti dall’autorità giudiziaria procedente al momento di adozione e

conclusivamente a ritenere che sussistevano elementi ostativi al riconoscimento
dell’equo indennizzo, giacché il descritto comportamento, da qualificarsi come
gravemente colposo, aveva dato causa all’adozione del provvedimento restrittivo
della libertà personale nei confronti di Roccamo Claudio.
5.3 Per quanto ora rilevato, il provvedimento impugnato risulta immune da
censure rilevabili in sede di legittimità. Il sindacato del giudice della legittimità, sul
provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione, è infatti limitato alla
correttezza del procedimento logico giuridico attraverso cui il giudice di merito è
pervenuto alla decisione; mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la
valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo (Cass.
Sez. 4, Sentenza n. 7296 del 17/11/2011, dep. 23/02/2012, Rv. 251928).
Pertanto, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata in questa sede,
essendo logicamente congruente e del tutto coerente rispetto alle circostanze di
fatto emerse nel corso del procedimento, all’epoca della adozione della misura
custodiale, circostanze che sono state valutate dalla Corte territoriale in conformità
ai principi di diritto affermati dalla Corte regolatrice in tema di riparazione per
l’ingiusta detenzione, sopra evidenziati.
5.4 Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di Appello ha rigettato la richiesta di riparazione proposta da
Roccamo Claudio e ha posto a carico del richiedente le spese sostenute dalla
Avvocatura Generale, costituitasi in giudizio per il Ministero resistente; dette spese
sono state quantificate in € 3.000,00, in ragione dell’ammontare dell’indennizzo
oggetto della richiesta (€ 516.000,00).
Orbene, deve osservarsi che l’intervenuta condanna del ricorrente al
pagamento delle spese sostenute dall’Avvocatura risulta pienamente legittima,
secondo il principio della soccombenza. La Corte regolatrice, infatti, ha da tempo
chiarito che nel procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione, per le
connotazioni civilistiche che afferiscono a tale istituto, le spese vanno regolate
secondo i criteri indicati dagli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 46265 del 14/10/2005, dep. 20/12/2005, Rv. 232911).

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mantenimento della misura cautelare; e la Corte distrettuale è giunta

Si osserva, inoltre, che neppure sussiste la dedotta carenza motivazionale, in
riferimento alla entità della somma liquidata, atteso che la Corte di Appello ha
espressamente giustificato la quantificazione delle spese di causa sostenute
dall’Avvocatura Generale, facendo riferimento alla entità della somma richiesta,
elemento da ritenersi indicativo della complessità della controversia.
6. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore del

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi
euro 1.000,00.
Così deciso in Roma in data 14 gennaio 2014.

Ministero resistente, liquidate come a dispositivo.

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