Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7374 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7374 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
WAQAS AHMED N. IL 11/11/1983
avverso l’ordinanza n. 40/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
27/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
lette/9~4e le conclusioni del PG Dott. A eoL, fo

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Data Udienza: 14/01/2014

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 27.11.2012 la Corte di Appello di Bologna rigettava
la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da Waqas Ahmed.
La Corte territoriale rilevava che il richiedente era stato sottoposto alla
misura della custodia cautelare in carcere in forza di ordinanza resa dal G.i.p.
presso il Tribunale di Reggio Emilia, dal giorno 11.11.2008 al 25.02.2010, in
riferimento al delitto di omicidio aggravato; e che la Corte di Assise di Appello di
Bologna, con sentenza del 25.02.2010, in riforma della sentenza di condanna del

G.i.p. presso il Tribunale di Reggio Emilia del 16.07.2009, aveva assolto Waqas per
non aver commesso il fatto.
Il Collegio evidenziava che il quadro probatorio a carico di Waqas era
costituito delle dichiarazioni e dalla individuazione fotografica operata da Hayat
Umar, accompagnatore della vittima; e che il richiedente, nel corso di una
conversazione intercettata, aveva concordato con l’interlocutore la linea difensiva
da adottare, apparendo preoccupato di non interferire con la prospettazione
difensiva di altri coindagati. La Corte di Appello considerava che Waqas, nel corso
della richiamata conversazione intercettata – evenienza a sua volta sottolineata dal
giudice della cognizione, nella sentenza assolutoria – aveva posto in essere una
condotta gravemente imprudente, che stante la sua equivocità aveva indotto in
errore l’autorità giudiziaria.
2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Bologna ha
proposto ricorso per cassazione Waqas Ahmed, a mezzo del difensore. Con unico
motivo la parte deduce travisamento del fatto e manifesta illogicità della
motivazione.
L’esponente osserva che la Corte territoriale ha disatteso la richiesta di
riparazione, individuando la colpa grave ostativa all’equo indennizzo, nel tenore
della telefonata oggetto di captazione, nel corso della quale Waqas chiedeva
all’interlocutore quali circostanze riferire alla autorità giudiziaria; e considera che il
Collegio, in particolare, aveva ritenuto che detta conversazione evidenziasse
l’incertezza da parte del Waqas circa la linea difensiva da tenere e la sua
preoccupazione di non recare danno agli altri coindagati.
Il ricorrente ritiene che il ragionamento sviluppato dal giudice della
riparazione risulti viziato sotto molteplici profili. La parte rileva che nel
provvedimento impugnato manca la valutazione relativa alla efficienza causale della
citata conversazione telefonica, rispetto alla applicazione della custodia cautelare.
Ed assume che, a tutto concedere, tale intercettazione può valere ad integrare un
mero elemento di sospetto a carico di Waqas, inidoneo a giustificare l’adozione del
provvedimento restrittivo e quindi ad integrare la nozione di colpa grave ostativa al
riconoscimento dell’indennizzo. Il ricorrente osserva poi che la Corte territoriale ha
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omesso di soffermarsi sul coefficiente psicologico riferibile all’imputato, nel
momento in cui effettuava la predetta conversazione.
3.

Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte rigetti il ricorso. La parte ha osservato che correttamente la Corte
territoriale ha individuato la colpa grave in una condotta altamente equivoca, posta
in essere dal richiedente, in quanto idonea ad essere interpretata come funzionale
alla precostituzione di un falso alibi.
L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per il

Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo che il ricorso sia respinto.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è infondato.
5.1 Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice
di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti
gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione
di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che,
se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).
Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale
(grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del
provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio
consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della
cognizione.
A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si
sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel
porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella
criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.
242760).
5.2 L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente
nell’alveo del suddetto quadro interpretativo tracciato dalla Suprema Corte, in
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4.

ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell’indennizzo,
in tema di riparazione per ingiusta detenzione.
La Corte di Appello di Bologna, infatti, dopo avere considerato che Waqas
era stato assolto, in sede di merito, ha evidenziato che il richiedente nel corso di
una conversazione intercettata all’indomani dell’omicidio, aveva chiesto
all’interlocutore consiglio su quali circostanze riferire alla autorità giudiziaria; ed ha
rilevato che detta conversazione, ove Waqas evidenziava l’incertezza sulla linea

e concordava con terzi soggetti la versione dei fatti da riferire alla polizia giudiziaria
che stava effettuando le indagini, integrava la nozione di colpa grave, ostativa al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. Al riguardo, il giudice della riparazione ha
in particolare osservato – effettuando del tutto correttamente la autonoma
valutazione del comportamento posto in essere dal richiedente, secondo una
valutazione “ex ante”, cioè a dire in riferimento agli elementi conosciuti dall’autorità
giudiziaria procedente al momento di adozione della misura cautelare – che Waqas,
con la richiamata condotta posta in essere con macroscopica imprudenza, aveva
concorso a dare causa alla misura custodiale, giacché il tenore della conversazione
effettivamente intrattenuta dall’esponente era tale da indurre in errore l’autorità
giudiziaria circa il coinvolgimento del prevenuto nel fatto omicidiario. E la
valutazione effettuata dalla Corte di Appello di Bologna, logicamente congruente e
del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse nella sede processuale, risulta
immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore del Ministero resistente delle
spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi euro
1.000,00.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2014.

difensiva da tenere, la sua preoccupazione di non recare danno agli altri coindagati

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