Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 737 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 737 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIPRIANO PASQUALE N. IL 17/02/1963
avverso la sentenza n. 6547/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/05/2012

Data Udienza: 26/11/2013

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E.0144a, 4.. 1/, 1.. 10 Sc442 45aCcioiv 6

oteg
che ha concluso per i i >44 d. €44 tu.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 19.12.2007, il G.I.P. presso il Tribunale di Monza condannava
CIPRIANO Pasquale alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 9 L. n.
1423/56, poiché, essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con
obbligo di rincasare non oltre le ore 21, non era stato rintracciato nel proprio domicilio alle ore
1.50 del 10 gennaio 2007.
2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza resa in data 3.5.2012, dichiarava

monzese per carenza di specificità dei motivi.
Rilevavano i Giudici di secondo grado che la difesa, nel censurare la prima decisione, si
era limitata, in punto responsabilità, a contestare in modo generico il mancato riconoscimento
della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p., senza fornire alcun argomento con cui
contrastare l’opposta valutazione del GIP, che aveva disatteso la tesi difensiva evidenziando:

il difetto di prova circa la negazione, da parte della ex-moglie dell’imputato,

dell’accesso in casa dell’imputato per la notte in cui si verificò il controllo di P.S.;

il silenzio del Cipriano a proposito delle strutture cui si sarebbe rivolto, ove

effettivamente costretto ad allontanarsi per superare lo stato di necessità (il freddo eccessivo
che avrebbe sofferto dormendo in auto).
Quanto alla lamentata mancata applicazione delle concesse attenuanti generiche con
carattere di prevalenza, la Corte di Appello osservava che la difesa aveva argomentato con le
stesse ragioni che avrebbero indotto l’imputato all’inosservanza della prescrizione del pernotto
presso il proprio domicilio, omettendo ogni valutazione critica in ordine all’affermata presenza,
da parte del GIP, di circostanze di segno opposto, ovvero della contestata recidiva, di cui si era
tenuto conto nella determinazione della pena.
3. Ricorre per cassazione il difensore del Cipriano denunciando, promiscuamente, i vizi
di contraddittorietà e illogicità della motivazione, nonché di violazione di legge.
La sentenza impugnata presentava un primo elemento di contraddittorietà perché, da
un lato, dava atto della deduzione di due motivi di appello da parte dell’interessato, dall’altro
perveniva a decisione d’inammissibilità del gravame considerandolo carente dei motivi.
Un secondo profilo di contraddittorietà inficiava la sentenza di secondo grado laddove
asseriva che il Cipriano non aveva dimostrato di essere stato impedito dalla ex-moglie
nell’accesso all’appartamento indicato come proprio domicilio la sera della contestata
violazione.
Tale onere, viceversa, doveva considerarsi assolto attraverso la produzione della
sentenza di separazione personale che, tra le altre disposizioni, aveva assegnato la casa
coniugale in uso esclusivo alla moglie dell’imputato, al quale veniva così impedito di ottenere
forzosa disponibilità dell’alloggio per rimanervi a disposizione delle Forze dell’Ordine nelle ore
previste dal provvedimento.
1

inammissibile l’impugnazione proposta nell’interesse del Cipriano avverso la pronuncia del GIP

Considerato in diritto

Il ricorso va dichiarato inammissibile.
1. Occorre premettere che, in tema di impugnazione, i motivi di appello devono essere
specifici allo stesso modo di quanto richiesto per il ricorso in cassazione e quindi, pur nella
libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su
cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l’oggetto del gravame ed evitare,

18/12/2012 P.G. in proc. Lombardo Rv. 254204).
Deve, pertanto, ritenersi generico, con conseguente inammissibilità dell’atto, il motivo
di appello che si limiti ad una generica indicazione dell’articolo di legge asseritamente violato
senza esplicitare chiaramente la censura mossa, e che non illustri le ragioni della pretesa
erronea valutazione delle prove, arrestandosi alla prospettazione di astratte plurime
spiegazioni dei comportamenti ascritti ai soggetti coinvolti dall’accertamento penale (Sez. 6,
Sentenza n. 21873 del 3/3/2011, Puddu, Rv. 250246; Sez. 4, Sentenza n. 40243 del
30/9/2008 Falcioni ed altri, Rv. 241477).
La Corte di Appello di Milano, nel pervenire alla declaratoria d’inammissibilità
dell’impugnazione presentata nell’interesse del CIPRIANO, ha fatto corretta applicazione degli
enunciati principi per le ragioni qui appresso precisate.
2. Manifestamente infondata è la prima censura di contraddittorietà della motivazione,
in quanto non risponde al vero che la Corte di Appello, dopo aver dato atto della deduzione, da
parte dell’interessato, di due distinte doglianze, abbia dichiarato il gravame inammissibile per
“carenza” dei motivi: la declaratoria d’inammissibilità, nella specie, è dipesa non dalla
“carenza” dei motivi, ma dalla “genericità” o “aspecificità” dei motivi stessi, come è
agevolmente dato rilevare dal riferimento, operato dalla suddetta Corte, al difetto dei requisiti
di cui all’art. 581, lett. c), c.p.p. (che prescrive l’enunciazione, nell’atto d’impugnazione, dei

“motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta”),

alla ritenuta genericità della contestazione del mancato

riconoscimento della causa di giustificazione ed alla omessa valutazione critica sull’affermata
presenza, da parte del Giudice di prime cure, della circostanza aggravante della recidiva.
2. E’ pure manifestamente infondata la seconda censura.
In primo luogo, perché, nel contestare la “violazione di legge” ex art. 606 lett. b) c.p.p.,
il ricorrente non indica neppure quale degli articoli della legge penale o di altre leggi sarebbe
stato erroneamente osservato o applicato.
In secondo luogo, perché nessuna contraddittorietà può rilevarsi nel ragionamento dei
Giudici di secondo grado, che hanno esattamente stigmatizzato la genericità, nell’atto di
appello, della contestazione del mancato riconoscimento dello stato di necessità ex art. 54 c.p.,
sottolineando la carenza dei necessari specifici rilievi da appuntare alla parte della decisione in
2

di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie. (Sez. 6, Sentenza n. 1770 del

cui il primo Giudice aveva disatteso la tesi difensiva, con riferimento: al difetto di prova circa il
dissenso della ex moglie dell’imputato a consentire al medesimo di accedere all’abitazione
coniugale (a lei assegnata in sede di separazione) la notte dei fatti (quando gli venne notificato
il decreto applicativo della sorveglianza speciale, il CIPRIANO dichiarò che, previo consenso
della ex moglie, egli talvolta dormiva in quell’abitazione: v. sentenza di primo grado p. 2);
all’omessa indicazione, da parte dell’imputato, delle strutture cui si sarebbe rivolto qualora
fosse effettivamente stato costretto ad allontanarsi (dalla casa della ex moglie o
dall’autovettura utilizzata in subordine per dormire) allo scopo di superare lo stato di necessità.

rilievi, essendosi limitato a riproporre, dietro l’apparente prospettazione di una censura di
inadeguata valutazione probatoria, peraltro del tutto generica, la linea di difesa – sostenuta in
primo grado e confutata dal Giudicante – basata sull’impossibilità di pernottare all’interno della
sua autovettura (posto che la ex moglie gli aveva impedito l’accesso in casa) a causa del
freddo.
Correttamente, dunque, la Corte milanese è pervenuta, con motivazione congrua ed
esente da vizi logico-giuridici, alla declaratoria d’inammissibilità dell’appello proposto dal
CIPRIANO.
Per la manifesta inammissibilità del ricorso, vanno posti a carico del ricorrente il
pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma alla Cassa delle Ammende,
che è congruo fissare in C 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013

Il Presidente

Su tali punti della motivazione di primo grado, l’appellante non aveva articolato specifici

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