Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 737 del 24/10/2016
Penale Ord. Sez. 7 Num. 737 Anno 2017
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: TUTINELLI VINCENZO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MARINO DOMENICO nato il 27/03/1986 a PALERMO
avverso la sentenza del 26/11/2015 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;
Data Udienza: 24/10/2016
–
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
La CORTE APPELLO di GENOVA, con sentenza in data 26/11/2015,
parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di GENOVA, in
data 03/02/2015, nei confronti di MARINO DOMENICO confermava la condanna
in relazione al reato di cui all’ art. 628 CP escludendo la recidiva
precedentemente applicata dal Tribunale di Genova e rideterminando la pena nei
limiti ritenuti di giustizia.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
responsabilita’.
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento
sanzionatorio, in particolare alla mancata concessione dell’attenuante di cui
all’art. 62 n. 4 cod pen.
Entrambi i motivi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
Il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai
criteri dettati da questa Corte e secondo cui le dichiarazioni della persona offesa
– cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc.
pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più
penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di
qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2,
n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104).
Per altro verso, il motivo di ricorso relativo all’omesso riconoscimento della
circostanza di cui all’art. 62 n. 4 cod pen risulta articolato essenzialmente in fatto
e derivante da una ricostruzione alternativa meramente riferita dall’imputato e
priva di riscontro alcuno nel fascicolo processuale.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che
ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2016
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta