Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7365 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7365 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Palladino Raffaele n. il 20.7.1954
avverso la sentenza n. 10337/2012 pronunciata dalla Corte d’appello
di Napoli il 15.1.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 31.1.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Romano, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, l’avv.to A. Gravante, del foro di Sant’Antimo,
che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 31/01/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 15.1.2013, la corte d’appello di
Napoli ha integralmente confermato la sentenza in data 20.9.2011
con la quale il tribunale di Napoli, sezione distaccata di Frattamaggiore, ha condannato Raffaele Palladino alla pena di due mesi
di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte
civile costituita, in relazione al reato di lesioni colpose dallo stesso
commesso, ai danni di Rosaria Mele, in Frattamaggiore, il
6.4.2005.
In particolare, all’imputato, in qualità di medico del pronto
soccorso del presidio ospedaliero San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, era stato contestato di aver aggravato, a carico della persona offesa, Rosaria Mele, le conseguenze di una lussazione dallo
stesso colpevolmente non diagnosticata a carico dell’articolazione
della mano sinistra, in violazione delle norme cautelari, di diligenza, di prudenza e di perizia riguardanti l’esercizio della professione
medica.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato censurando la
pronuncia della corte territoriale per vizio di motivazione, avendo
la corte napoletana confermato la responsabilità dell’imputato riconosciuta dal giudice di primo grado sulla base delle contraddittorie e incerte dichiarazioni rese dalla persona offesa, neppure coerentemente riscontrate da ulteriori e diversi elementi di prova idonei a confermarne l’attendibilità.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della contraddittorietà oltre al travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la motivazione della sentenza impugnata, sì da indurre il ragionevole
dubbio circa l’effettivo raggiungimento della certezza in ordine alla
responsabilità penale dell’imputato, nella specie unicamente attestata dalle inattendibili e interessate dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai parziali, contraddittori e incompleti accertamenti
eseguiti dal consulente medico-legale del pubblico ministero.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la corte
territoriale ha corroborato il giudizio di attendibilità delle dichia-

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razioni accusatorie rese dalla persona offesa attraverso le inequivoche risultanze della documentazione sanitaria specificamente
richiamata in motivazione (con particolare riguardo al referto del
presidio ospedaliero San Giovanni di Dio – Pronto Soccorso in data
7.3.2005 e alla relativa cartella clinica, nonché alla relazione di
consulenza medico-legale acquisita dopo l’escussione dibattimentale del consulente tecnico), nonché mediante il richiamo alle dichiarazioni rese dal medesimo consulente, dott. Zanchini.
Attraverso i ridetti elementi di riscontro è emerso come il
danno da lussazione originariamente subito dalla persona offesa
fosse stato, non solo provocato dall’incidente da
quest’ultima subito in data 7.3.2005, ma altresì gravemente e colpevolmente trascurato dall’odierno imputato all’epoca dell’originaria visita di pronto soccorso dallo stesso eseguita
nell’immediatezza, come in particolare attestato dall’assenza di soluzione di continuità dei forti dolori sofferti dalla vittima, Rosaria
Mele, fino all’esecuzione del successivo intervento chirurgico dalla
stessa subito.
Nel caso di specie, l’imputato, non solo trascurò di diagnosticare la lussazione verificatasi a carico di un dito della mano sinistra della Mele, ma non provvide neppure alla prescrizione di una
radiografia o a indirizzare la paziente verso una consulenza ortopedica (particolarmente indicata in considerazione della sede della
lesione); con la conseguenza che la tardiva diagnosi della lussazione ebbe a determinare il successivo intervento chirurgico senza
dubbio più invasivo e cruento a carico della paziente, con tempi di
guarigione più lunghi e postumi non ancora risolti.
La stessa corte territoriale ha inoltre sottolineato come le
prospettate alternative causali delle lesioni, ipoteticamente congetturate dall’imputato, non avessero trovato alcuna forma
di riscontro probatorio tale da renderle minimamente verosimili,
sì da escludere alcuna ferita alla certezza processuale raggiunta dai
giudici del merito sulla base di un’abbondante caratterizzazione
probatoria del fatto concreto, e quindi, oltre ogni ragionevole dubbio, sul piano del più elevato livello di credibilità razionale.
La valutazione degli elementi probatori operata dai giudici
del merito – così come la sistemazione della complessiva trama argomentativa delineata nella motivazione della sentenza impugnata

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3. – Il riscontro della manifesta infondatezza del ricorso
proposto dal Palladino, nell’attestarne la radicale inammissibilità,
ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p., impedisce il rilievo
dell’eventuale ricorso di cause di estinzione del reato, ai sensi
dell’art. 129 c.p.p..
Sul punto, vale richiamare quanto dedotto dalle Sezioni
Unite di questa Corte sin dalla pronuncia n. 32 del 22 novembre
2000 (Rv. 217266), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per
cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p..
4. – Alla dichiarazioni d’inammissibilità del ricorso segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché al rimborso, in favore della parte civile, delle spese del
giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio
sostenute dalla parte civile, Rosaria Mele, liquidate in complessivi
euro 1.600,00, oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31.1.2014.

– devono ritenersi complete ed esaurienti, immuni da vizi d’indole
logica o giuridica, come tali integralmente idonee a sottrarsi alle
mere censure in fatto inammissibilmente sollevate in questa sede
di legittimità dall’odierno ricorrente.

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