Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7364 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 7364 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCARSELLI ALDO N. IL 13/09/1940
avverso la sentenza n. 7223/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
17/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 6 i’ t) e2., P 41 tlk tt
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Data Udienza: 14/01/2014

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Monza, con sentenza in data 10 febbraio 2011, resa all’esito
di rito abbreviato, dichiarava Scarselli Aldo colpevole del reato di cui all’art. 590
cod. pen., commesso in danno del lavoratore Savarese Nunzio. Allo Scarselli, nella
sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della società AEM
Distribuzione Gas e Calore S.p.a., si addebita di aver cagionato al predetto
dipendente lesioni personali gravi, per colpa consistita nel non aver considerato, nel

non aver messo a disposizione attrezzature idonee alla lavorazioni in alta quota,
come trabatelli; così che il dipendente Savarese, mentre stava eseguendo la
manutenzione della valvola di sforo della linea A posta ad una altezza di metri 2,80,
perdeva l’equilibrio, cadeva dalla scala, riportando lesioni personali consistite in
lussazione completa tarso-metatarsale piede sinistro, con malattia guarita in 141
giorni.
2.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 17.09.2012,

confermava la sentenza di primo grado. La Corte di merito rilevava che la relazione
predisposta dalla ASL in data 14.08.2008 – relazione effettuata nello spazio di
tempo corrente tra l’archiviazione del procedimento, avvenuta il 29.09.2007 e la
riapertura delle indagini, disposta dal G.i.p. in data 25.09.2008 – era pienamente
utilizzabile. Al riguardo osservava che detta relazione non costituisce autonomo atto
di indagine, trattandosi della mera rielaborazione di precedenti atti investigativi
effettuati prima del provvedimento di archiviazione. Sotto altro aspetto, il Collegio
rilevava che anche la relazione sull’infortunio redatta dai funzionari della AEM ha
natura documentale, preveniente dall’ente datore di lavoro del Savarese e
costituisce atto di inchiesta interno all’azienda. Ciò posto, la Corte territoriale
osservava che correttamente il Tribunale aveva affermato la penale responsabilità
dell’imputato, per colpa consistita nell’omessa valutazione del rischio specifico delle
lavorazioni in quota, in riferimento al documento di valutazione dei rischi relativi
alla Cabina Rovani. Con riguardo alla riferibilità causale dell’evento alla condotta
dell’imputato, il Collegio considerava che il Tribunale aveva correttamente
affermato che il mancato utilizzo dei tiranti nelle lavorazioni eseguite al momento
dell’infortunio, da parte del lavoratore infortunato, non escludeva il nesso causale,
tra la condotta omissiva dell’imputato e l’evento, in base al principio della
equivalenza delle cause.
3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto
ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del difensore.
In primo luogo la parte rileva che la sentenza impugnata, pur riconoscendo
che l’utilizzo di tiranti di sicurezza da parte del lavoratore avrebbe evitato
l’infortunio, non attribuisce esclusiva rilevanza causale al mancato impiego di tali
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documento di valutazione dei rischi, quello connesso alle lavorazioni in quota; e nel

presidi; ciò
ciò in quanto anche la mancata adozione del trabatello rientrerebbe tra le
concause penalmente rilevanti. La parte contesta l’affermazione contenuta nella
sentenza impugnata, laddove i giudici qualificano come non particolarmente
violento l’urto della placca metallica contro il petto del lavoratore. Il ricorrente
osserva poi che la Corte distrettuale ha omesso di considerare che l’uso dei tiranti
di sicurezza, di cui parlano le conclusioni dell’inchiesta della Asl in data 14.08.2008,
costituiva una prassi consolidata presso la AEM. Al riguardo, l’esponente considera

dei rischi risulta perciò causalmente irrilevante.
Tanto premesso, il ricorrente articola dodici distinti motivi di doglianza.
Con il primo motivo la parte reitera l’eccezione di inutilizzabilità della
relazione redatta dalla Asl in data 14.08.2008. La parte osserva che, secondo la
Corte di Appello, detta relazione non era inutilizzabile, poiché si tratterebbe della
mera rielaborazione di precedenti atti investigativi effettuati prima del
provvedimento di archiviazione. Al riguardo, l’esponente considera che la portata
dell’istituto della inutilizzabilità di un atto a contenuto probatorio non dipende dalla
configurabilità o meno di un rapporto di autonomia, o di dipendenza, dell’atto stesso
rispetto ad un altro atto del procedimento. Sottolinea che lo schema legale della
inutilizzabilità riposa sulla trasgressione di un divieto, di talché l’atto a contenuto
probatorio è inutilizzabile quando hi sia stato compiuto in violazione dei divieti stabiliti
dalla legge.
Ciò posto, l’esponente osserva che la relazione di cui si tratta è stata
elaborata dopo l’archiviazione del procedimento e prima della riapertura delle
indagini, quando cioè il pubblico ministero e la polizia giudiziaria avevano perso la
titolarità del potere di compiere attività di indagine preliminare. La parte considera
che la relazione effettuata dalla Asl il 14.08.2008 non si limita a richiamare atti di
indagine preliminare compiuti prima del decreto di archiviazione; ed assume che il
documento abbia una propria autonomia giuridica, che prescinde dai precedenti atti
di indagine. Conclusivamente sul punto, il ricorrente evidenzia che la predetta
relazione costituisce atto di indagine a contenuto valutativo, inutilizzabile, in quanto
compiuto trasgredendo un divieto legale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’inutilizzabilità del documento
AEM Gas in data 8.09.2006. Al riguardo, osserva che la Corte di Appello: ha
qualificato il predetto documento come atto di inchiesta effettuato dall’azienda; ed
ha ritenuto compiutamente identificati gli autori del documento. L’esponente reitera
la doglianza dedotta con l’atto di appello, osservando che la mancanza di
sottoscrizione autografa impedisce di identificare l’autore dell’atto, da qualificarsi
come scrittura privata.

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che l’omessa formalizzazione dell’impiego dei tiranti nel documento di valutazione

Con il terzo motivo l’esponente deduce l’inutilizzabilità ex art. 234 cod. proc.
pen. del citato documento in data 8.09.2006; la parte rileva che la Corte territoriale
ha omesso di esaminare la questione che pure era stata dedotta in sede di appello,
circa l’inutilizzabilità dell’atto, ai fini della prova della veridicità del suo contenuto. Il
deducente evidenzia che la Corte di Appello ha riconosciuto che il documento di cui
si tratta ricostruisce le modalità dell’infortunio in termini conformi a quelli evincibili
dalle dichiarazioni della parte offesa e dalle immagini fotografiche acquisite agli atti.

criticato la decisione del Tribunale

laddove il giudicante, pur avendo riconosciuto
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che Savarese si era apprestato a realizzare una attività in quota, senza l’uso dei
tiranti anticaduta, aveva omesso di individuare tale circostanza come l’unica causa
penalmente rilevante rispetto all’evento lesivo verificatosi. E ritiene che la Corte di
Appello abbia frainteso il contenuto del ricordato motivo di appello.
Con il quinto motivo il ricorrente rileva l’inidoneità del trabattello ad evitare
infortuni del tipo di quello verificatosi. Osserva che la Corte di Appello nega
l’esclusiva valenza causale derivante dall’omesso utilizzo dei tiranti; ed afferma la
rilevanza causale della omessa valutazione del rischio specifico, per il lavori in
quota. L’esponente ritiene che il Collegio, illogicamente, ha affermato cha una
adeguata valutazione dei rischi avrebbe comportato l’impiego del trabattello e non
della scala a sfioro. La parte rileva che già nell’atto di appello aveva evidenziato che
l’utilizzo del trabattello non sarebbe servito ad evitare la verificazione di un
infortunio come quello occorso al Savarese, ove la caduta dalla scala era stata
preceduta dall’impatto della placca metallica contro il petto del lavoratore. Il
ricorrente ribadisce che, nel caso di specie, il lavoratore avrebbe dovuto usare i
tiranti di sicurezza, funzionali ad impedire alla placca, spinta dalla molla, di colpire
l’operatore impegnato alla manutenzione. E rileva che la Corte territoriale ha
omesso di considerare l’efficacia impeditiva della regola cautelare, rispetto al tipo di
evento in concreto verificatosi.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia il vizio motivazionale. Osserva che
la Corte di Appello ha affermato: che l’urto della placca contro il corpo del
lavoratore non fu particolarmente violento; che la perdita di equilibrio e la
conseguente caduta dalla scala paiono attribuibili ad una reazione ed a movimenti
istintivi del lavoratore, colto di sorpresa dallo scatto della placca; e che l’uso del
trabattello avrebbe evitato maggiori e più gravi conseguenze lesive. Al riguardo
l’esponente osserva che l’idoneità dell’urto impresso dalla placca contro il petto del
lavoratore, rispetto alla caduta a terra dell’agente, prescinde dalla forza sprigionata
dall’impatto; e che la teoria del movimento istintivo del lavoratore fatta propria
dalla Corte di merito costituisce una mera congettura.

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Con il quarto motivo l’esponente osserva che, nell’atto di appello, aveva

Con il settimo motivo il ricorrente rileva che la tesi della reazione istintiva ed
imponderabile posta in essere dal lavoratore, a seguito dell’urto con la placca, fatta
propria dalla Corte di Appello, conduce in realtà a rilevare che l’impiego del
trabattello non avrebbe potuto scongiurare la caduta al suolo e che solo l’impiego
dei tiranti avrebbe scongiurato la verificazione dell’evento lesivo.
Con l’ottavo motivo il ricorrente si sofferma sulla ricostruzione della dinamica
del sinistro. Osserva che il Tribunale aveva affermato che la perdita di equilibrio

lavoratore era comunque riuscito a mantenere la stazione eretta. Rileva che
nell’atto di appello si era evidenziato che dal verbale di sopralluogo risulta che la
caduta del lavoratore fu invece ; e considera che la Corte di Appello non
ha preso posizione su tale ragionamento. Il deducente sottolinea che la Corte di
Appello desume, dalla natura non particolarmente violenta dell’urto della placca
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contro il petto del lavoratore, che anche l’impiego del trabattelloovrebbe avuto
efficacia impeditiva dell’evento; e rileva che il Collegio omette di considerare che la
natura della caduta non poteva, in realtà, essere contrastata dall’uso
del trabattello.
Con il nono motivo la parte denuncia la mancanza di motivazione, in
riferimento alle cautele idonee ad impedire l’evento. Osserva che la Corte di Appello
ha affermato che l’uso del trabattello e di altre analoghe cautele avrebbe impedito
la caduta a terra del lavoratore, senza precisare a quali cautele si riferisca in via
analogica.
Con il decimo motivo il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha
richiamato i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in ordine al
concorso di colpa del lavoratore. Osserva che il deducente nell’atto di appello aveva
sostenuto che l’omessa previsione dell’uso del trabattello non costituisse concausa
penalmente rilevante; e ritiene che illogicamente i giudici di merito abbiano
affermato che la condotta del lavoratore non sia qualificabile come abnorme.
Con l’undicesimo motivo il ricorrente rileva che il Tribunale ha pure fatto
riferimento al successivo adeguamento alla normativa antinfortunistica, all’indomani
dell’infortunio. Ritiene che, con tale indicazione, il primo giudice abbia recepito il
contenuto della relazione stilata dalla Asl in data 14.08.2008, ove si rileva che il
datore di lavoro avrebbe anche dovuto prevedere l’impiego dei tiranti di sicurezza.
Ritiene che tale argomentazione evidenzi l’irrilevanza causale dell’impiego dei
trabattelli; e rileva che la Corte di Appello ha omesso di scrutinare tale
ragionamento sviluppato in sede di gravame.
Con il dodicesimo motivo la parte osserva che la Corte di Appello ha omesso
di considerare che per prassi consolidata il personale della AEM utilizzava i tiranti di
sicurezza; ritiene, pertanto, che la mancata formalizzazione dell’uso di tali presidi
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provocata dalla spinta della molla non era stata eccessivamente violenta e che

nel piano di valutazione dei rischi risulti causalmente irrilevante. Ritiene che
l’infortunio sia stato causato dal mancato rispetto di tale prassi, la cui osservanza è
demandata al tecnico operativo preposto in loco.
All’udienza odierna, dopo la requisitoria del Procuratore Generale, il difensore
dell’imputato ha esposto la propria difesa, osservando che lo Scarselli, presidente
del consiglio di amministrazione di una grande impresa, non può essere ritenuto
direttamente garante, in riferimento all’osservanza degli obblighi impeditivi in tema
di sicurezza dei lavoratori impegnati nei cantieri gestiti dalla AEM.

Considerato in diritto
4. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
Occorre premettere che il tema, introdotto per la prima volta dal ricorrente in
sede di discussione orale, relativo alla posizione di garanzia concretamente assunta
dallo Scarselli, rispetto all’infortunio verificatosi, non può essere trattato in questa
sede di legittimità. La Corte regolatrice ha infatti chiarito che il termine di quindici
giorni, per il deposito di motivi nuovi e memorie difensive, previsto dall’art. 611
cod. proc. pen., è da ritenersi applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica
e che la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall’obbligo di prendere in
esame le nuove deduzioni (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2628 del 01/12/1992,
dep. 19/03/1993, Rv. 194321; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17308 del 11/03/2004,
dep. 14/04/2004, Rv. 228646).
Tanto chiarito, si vengono ad esaminare i motivi ai quali il ricorso è affidato.
4.1 II primo motivo di censura impone le considerazioni che seguono.
Non sfugge che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno
chiarito che il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina
l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento
di archiviazione e preclude l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto di reato,
oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del
pubblico ministero (Cass. Sez. U, Sentenza n. 33885 del 24/06/2010,
dep. 20/09/2010, Rv. 247834). E le Sezioni Unite, nella sentenza ora citata, hanno
precisato che la mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini, ex art.
414 cod. proc. pen., determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente
compiuti dopo il provvedimento di archiviazione.
Tanto chiarito, deve rilevarsi che, nel caso di specie, la relazione redatta dalla
ASL in data 14.08.2008 è stata effettivamente predisposta nello spazio di tempo
corrente tra l’archiviazione del procedimento, avvenuta il 29.09.2007 e la riapertura
delle indagini, disposta dal G.i.p. in data 25.09.2008, di talché si tratta di un atto

ex se inutilizzabile, in applicazione dei principi di diritto ora richiamati.
Occorre peraltro considerare, come osservato dalla Corte di Appello di Milano,
che la predetta relazione non costituisce un autonomo atto di indagine, trattandosi

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della mera rielaborazione di precedenti atti investigativi, effettuati prima del
provvedimento di archiviazione; e che la Corte territoriale ha chiarito che gli atti
investigativi, aventi valenza probatoria, che vengono in rilievo rispetto alla
ricostruzione della dinamica dell’infortunio, concernono le sommarie informazioni
rese dalla persona offesa, in data 16.01.2007 ed in data 27.06.2007, il verbale del
sopralluogo effettuato parimenti in data 27.06.2007 e la relativa documentazione
fotografica, atti pienamente utilizzabili nel presente giudizio.

data 14.08.2008, pure effettuato dalla Corte di Appello, risulta privo di ogni
incidenza, rispetto alla struttura giustificativa della decisione; e che la sentenza
impugnata supera la “prova di resistenza”, nel senso che la motivazione sviluppata
dai giudici di merito si fonda, in realtà, sui richiamati atti investigativi, pienamente
utilizzabili perché legittimamente effettuati nel corso delle indagini preliminari (cfr.
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 37694 del 15.07.2008, dep. 03.10.2008, Rv. 241299).
4.2 In tali termini si introduce la disamina congiunta del secondo e del terzo
motivo di ricorso, motivi con i quali il ricorrente denuncia l’inutilizzabilità del
documento redatto dalla AEM Gas, in data 8.09.2006.
Al riguardo, risulta dirimente rilevare che la Corte di Appello ha precisato che
il documento di cui si tratta non contiene alcun elemento ulteriore, rispetto alla
ricostruzione della dinamica del sinistro, da quelli acquisiti in forza degli atti
investigativi ora richiamati, analizzando il primo motivo di ricorso. E che il Collegio
ha chiarito: che la circostanza relativa al fatto che nel documento di valutazione dei
rischi relativo alla cabina Rovani di Sesto San Giovanni non fossero contemplati gli
specifichi rischi connessi alle lavorazioni in quota costituisce elemento di fatto
pacificamente accertato e non contestato; e che, pertanto, la relazione interna
redatta dai funzionari della AEM si risolve in un documento del tutto superfluo ed
ininfluente, ai fini della decisione.
L’ordine di considerazioni che precede induce, pertanto, a rilevare il difetto di
rilevanza di ogni approfondimento della questione relativa alla identificazione degli
autori del predetto documento, come pure circa la dedotta inutilizzabilità dell’atto,
ai fini della prova della veridicità del suo contenuto, giacché si tratta di un atto
privo di conducenza, rispetto al percorso motivazionale sviluppato dai giudici del
gravame. E’ poi appena il caso di evidenziare che la Corte di Appello ha comunque
del tutto conferentemente osservato che il contenuto valutativo della predetta
relazione, rispetto al necessario contenuto del documento di valutazione dei rischi,
impingeva valutazioni avulse dalla nozione di prova e quindi dal giudizio di
inutilizzabilità probatoria; e che l’atto non rientrava comunque tra quelli richiamati
dall’art. 191, cod. proc. pen., per i quali la sanzione di inutilizzabilità è rilevabile
anche in sede di giudizio abbreviato.
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Deve, allora, rilevarsi: che il riferimento alla relazione redatta dalla ASL in

4.3 n quarto motivo di ricorso non ha pregio.
Deve osservarsi che la Corte territoriale ha correttamente interpretato e
scrutinato il motivo di appello che era stato dedotto, in riferimento al fatto che il
primo giudice non avesse qualificato il mancato uso dei tiranti anticaduta da parte
del lavoratore infortunato, durante lo smontaggio dei bulloni, come fattore causale
esclusivo, rispetto alla verificazione dell’evento.
La Corte di Appello ha osservato che il primo giudice aveva correttamente
considerato che qualora lo specifico rischio relativo alle lavorazioni in quota fosse

stato adeguatamente valutato e fosse stato previsto l’uso di un trabattello, anziché
della scala a sfioro, l’evento non si sarebbe verificato; e che il mancato uso dei
tiranti di sicurezza, pure ascrivibile a colpa del lavoratore infortunato, non valeva ad
escludere il rapporto di causalità tra la condotta negligente dell’imputato e l’evento.
Al riguardo, il Collegio ha legittimamente sottolineato che la valutazione
espressa dal Tribunale risultava conforme al consolidato insegnamento
giurisprudenziale, sul concorso di colpa del lavoratore, costituente fattore che non
vale ad interrompere il nesso causale.
Ed invero, la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che nessuna efficacia
causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al
comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato
occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza
di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio
derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato
che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle
condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli
stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Deve perciò rilevarsi che le richiamate
considerazioni, svolte in sede di merito, si collocano appieno nell’alveo
dell’orientamento espresso ripetutamente dalla Corte regolatrice, in riferimento alla
valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore,
rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia. Questa Suprema Corte,
infatti, ha affermato che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di
vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla
possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria
incolumità; e che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei
casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e
sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Nella materia
che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua
stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da
parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli
infortuni sul lavoro. Deve pure osservarsi che la giurisprudenza di legittimità ha più
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À,

volte sottolineato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare
alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano
comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia
antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il
20.03.2000, Rv. 215686); e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il
comportamento del lavoratore – come certamente è avvenuto nel caso di specie rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Cass. Sez. 4,

conclusivamente rilevarsi che le conformi valutazioni effettuate dai giudici di merito,
in ordine alla riferibilità causale dell’evento lesivo all’imputato, a fronte della
accertata omessa valutazione, nel piano di rischio, dei pericoli connessi alla
lavorazione in quota, risulta immune dalle dedotte censure.
4.4 Si procede all’esame congiunto del quinto, sesto e settimo motivo di
doglianza, che si pongono ai limiti della inammissibilità.
Come noto, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio
logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo
della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite
nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze
processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato
soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del
merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep.
10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,
dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la
modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109).
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Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, dep. 9.03.2007, Rv. 236109). Deve pertanto

Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si
risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del
23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in
data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Orbene, delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di
legittimità, deve rilevarsi che il percorso logico argomentativo sviluppato dalla Corte

accertata dinamica della caduta, avrebbe scongiurato il verificarsi dell’evento lesivo,
risulta immune dalle dedotte censure.
La Corte di Appello ha del tutto logicamente osservato che l’urto della placca
contro il corpo del lavoratore non fu particolarmente violento, atteso che detto urto
non aveva cagionato al dipendente alcuna obiettiva lesione nelle parti attinte dalla
placca medesima. Tanto chiarito, la Corte distrettuale ha considerato che la perdita
di equilibrio del Savarese e la caduta dalla scala erano l’effetto della reazione posta
in essere dal lavoratore a fronte dell’impatto con la placca e non già la conseguenza
della forza cinematica sprigionata dal (modesto) urto della medesima placca contro
il corpo del Savarese. E, sulla scorta di tali conducenti rilievi, sviluppati dalla Corte
di Appello nella prospettiva controfattuale, rispetto alla accertata dinamica della
caduta, la Corte di merito ha quindi apprezzato la rilevanza causale da assegnare al
mancato impiego del tra-battello – in vece della scala a sfioro – considerando che
l’utilizzo di tale presidio avrebbe certamente evitato le conseguenze lesive occorse
al Savarese, il quale proprio a causa della caduta dalla scala, aveva riportato la
lussazione metatarsale.
4.5 L’ottavo motivo di ricorso lambisce del pari il profilo della inammissibilità,
per le ragioni che si vengono ad esporre.
Deve rilevarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è
consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove
effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo si perviene considerando
che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a
verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i
limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999,
dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993,
dep. 25/02/1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la
comune interpretazione giurisprudenziale, l’art. 606 cod. proc. pen. non consente
alla Corte di Cassazione una diversa “lettura” dei dati processuali o una diversa
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di Appello, laddove ha osservato che l’impiego del trabattello, in riferimento alla

interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Deve, altresì,
osservarsi che questa interpretazione non risulta superata in ragione delle
modifiche apportate all’art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera
della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in
via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori,
quale conseguenza dei limiti posti all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione.

giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che
nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è
inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di
tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve
stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso
sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso
per cassazione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006,
Rv. 233464).
Applicando i richiamati principi al caso di specie, deve allora osservarsi che
l’apprezzamento del compendio probatorio effettuato dal Tribunale di Monza e
confermato dalla Corte di Appello di Milano, in riferimento alla valutazione della
spinta cinematica con la quale la placca attinse il corpo del lavoratore, di cui si è
sopra detto, non risulta censurabile in questa sede di legittimità. L’esponente,
invero, confuta la valutazione espressa dai giudici di merito, sul punto di interesse,
argomentando sulla base del contenuto del verbale di sopralluogo, laddove la
caduta del lavoratore viene qualificata come “pesante”. Come si vede, la
prospettazione alternativa della dinamica del fatto, offerta dal ricorrente, poggia in
realtà sulla inammissibile estrapolazione e valorizzazione di un singolo elemento di
prova, a fronte di una complessiva e ragionata valutazione dell’intero compendio
probatorio, effettuata in sede di merito. Deve pertanto osservarsi che la valutazione
espressa dalla Corte di Appello – laddove ha considerato che il mancato uso dei
tiranti da parte del lavoratore infortunato non valeva ad escludere la sussistenza del
nesso causale tra l’omessa prescrizione delle dovute cautele antinfortunistiche,
rispetto alle lavorazioni in quota, quale l’impiego di trabattelli, e l’evento verificatosi
– risulta immune dalle dedotte censure.
4.6 Il nono motivo di ricorso è infondato.
L’esponente rileva che la Corte di Appello ha pure fatto riferimento a non
meglio precisate cautele, ulteriori rispetto all’uso del trabattello, che sarebbero
risultate idonee ad impedire la verificazione dell’evento; e rileva che, sul punto, la
sentenza difetta di specificità.

11

Ebbene, deve in questa sede ribadirsi l’insegnamento espresso dalla

Al riguardo si deve ribadire che la Corte di Appello ha ampiamente chiarito le
ragioni per le quali ha ritenuto sussistente il nesso di derivazione causale tra
l’omesso impiego del trabattello e l’evento in concreto verificatosi. Il percorso
argomentativo, di cui sopra si è dato conto, si fonda sul ragionamento
controfattuale, afferente all’omessa prescrizione delle dovute cautele
antinfortunistiche, rispetto alle lavorazioni in quota, con specifico riferimento all’uso
del trabattello, in luogo della scala a sfioro. A fronte di ciò, nessun rilievo assume il
passaggio sottolineato dall’esponente, ove incidentalmente viene fatto riferimento

anche ad “analoghe cautele”, poiché si tratta di un riferimento in realtà estraneo al
portato decisorio della sentenza, che risulta articolato sulla valenza impeditiva da
riconoscersi all’impiego del trabattello, rispetto alle concrete modalità della caduta
occorsa al Savarese.
4.7 In risposta al decimo motivo di ricorso è dato richiamare le
considerazioni sopra svolte nell’esaminare il quarto motivo di ricorso, laddove si è
verificata l’insussistenza del vizio motivazionale, rispetto all’apprezzamento operato
dai giudici di merito, circa la valenza da assegnare al comportamento negligente,
qualificato come non abnorme, posto in essere dal medesimo lavoratore
infortunato, il quale omise di utilizzare i tiranti di sicurezza. Ed è appena il caso di
ribadire che neppure risulta censurabile la valutazione effettuata dalla Corte
distrettuale, con riguardo agli effetti sortiti dal mancato impiego del trabattello e
sulla non esclusione della rilevanza causale della condotta omissiva riferibile
all’imputato, per le ragioni che si sono espresse esaminando il quinto, il sesto ed il
settimo motivo di doglianza.
4.8 L’undicesimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Si è sopra evidenziato, esaminando il primo motivo di censura, che il
riferimento alla relazione redatta dalla Asl in data 14.08.2008, pure effettuato dalla
Corte di Appello, risulta privo di ogni incidenza, rispetto alla struttura giustificativa
della decisione; ciò in quanto la motivazione sviluppata dai giudici di merito si fonda
sugli atti investigativi richiamati dalla predetta relazione e non già sul contenuto
valutativo della stessa. Pertanto, è privo di ogni conducenza il riferimento, operato
dall’esponente, al contenuto della relazione di cui si tratta, rispetto alle prescrizioni
relative all’impiego dei tiranti di sicurezza. E deve poi ribadirsi che i giudici di merito
hanno chiarito che il mancato impiego dei tiranti di sicurezza, da parte del
lavoratore, non aveva assunto valenza causale esclusiva, rispetto alla specifica
dinamica del sinistro. Ciò in quanto la caduta era stata originata da un urto della
placca contro il corpo del lavoratore non particolarmente violento; e posto mente al
fatto che l’impiego del trabattello avrebbe certamente scongiurato il verificarsi
dell’evento lesivo, determinato proprio dalla perdita di equilibrio del lavoratore e
dalla conseguente caduta del medesimo dalla scala a filo. E’ poi appena il caso di
12

A?

osservare, per completezza argomentativa, che nella sentenza di primo grado il
giudicante non fa alcun riferimento al contenuto delle prescrizioni riportate nella
relazione della Asl del 14.08.2008; ed invero, il primo giudice, nel riconoscere le
attenuanti generiche all’imputato, si limita a rilevare che, successivamente
all’infortunio, è stato effettuato l’adeguamento alla normativa antinfortunistica.
Pertanto, deve osservarsi che l’assunto difensivo volto a ritenere che il Tribunale
abbia “implicitamente” recepito le conclusioni formulate dalla Asl, sull’impiego dei

atti di causa.
4.9 Venendo ad esaminare il dodicesimo motivo di ricorso si osserva che il
deducente ritiene che i giudici di merito – e segnatamente il giudice di primo grado
– abbiano affermato che l’impiego dei tiranti di sicurezza costituiva una consolidata
prassi aziendale; ritiene che il mancato inserimento di tale prescrizione nel
documento di valutazione dei rischi risulti, perciò, causalmente irrilevante; ed
afferma che la trasgressione di tale procedura sia riferibile al responsabile tecnico
operativo in cantiere.
Il tema di interesse è stato specificamente affrontato dal Tribunale di Monza;
e, a fronte di cosiddetta doppia conforme, a tale decisione occorre in questa sede
fare riferimento (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10163 in data

10 febbraio 2002,

dep. 12 marzo 2002, Rv. 221116).
Ebbene, il Tribunale ha considerato che la corretta valutazione dei rischi per
le attività in quota avrebbe imposto: la prescrizione di misure e strumenti più idonei
di una scala a filo; e di rendere vincolante la prassi relativa all’uso dei tiranti,
durante lo smontaggio delle placche metalliche. A quest’ultimo riguardo, il
giudicante ha precisato che l’utilizzo del tirante costituiva una misura precauzionale
introdotta per prassi, “lasciata alla libera iniziativa, per la realizzazione, del singolo
lavoratore”.
4.9.1 L’apparato motivazionale ora richiamato induce a rilevare che il
ragionamento sviluppato dal ricorrente non risulta aderente rispetto al portato della
decisione in esame. Ed invero, proprio le valutazioni effettuate dal giudice di primo
grado, sul fatto che l’impiego dei tiranti di sicurezza fosse rimesso alla libera
iniziativa del singolo lavoratore, inducono a rilevare che la prassi antinfortunistica
relativa all’uso dei tiranti non aveva alcuna valenza cogente, nella specifica realtà
aziendale ove era chiamato ad operare il Savarese. Deve conseguentemente
osservarsi che l’omessa valutazione dei pericoli relativi alle lavorazioni in quota, nel
documento di valutazione dei rischi, oltre ad assumere rilevanza rispetto alle
contestate violazioni antinfortunistiche riferibili al presidente del consiglio di
amministrazione della società AEM, nella sua qualità di datore di lavoro, acquisisce
specifica e determinante valenza sostanziale, come antecedente causale, rispetto
13

tiranti di sicurezza, risulta meramente assertivo, non trovando rispondenza negli

all’evento lesivo occorso al dipendente infortunato. Occorre infatti considerare che
al Savarese – il quale, come evidenziato, neppure era tenuto per prassi aziendale,
all’impiego dei tiranti di sicurezza – non erano state messe a disposizione
attrezzature idonee alle lavorazioni in quota, come un trabattello; e che proprio la
caduta dalla scala filo, nel caso concreto utilizzata dal dipendente, dovuta alla
perdita di equilibrio del medesimo lavoratore, aveva determinato la lesione
metatarsale.

spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 14 gennaio 2014.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle

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