Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7340 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7340 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINELLI GIOVANNI N. IL 30/05/1961
avverso la sentenza n. 97/2011 TRIB.SEZ.DIST. di ATRI, del
17/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1–, R0.32.,Ek
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

tr( De— C-Ce9-9-1/4-b

Data Udienza: 04/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Teramo – Sezione Distaccata di Atri, con sentenza del
17.12.2012 ha affermato la responsabilità penale di Giovanni MANCINELLI, che
ha condannato alla pena dell’ammenda, in ordine al reato di cui all’art. 8, comma
1 legge 977\1967 come sostituito dall’art. 9 d.lgs. 345\1999 perché, quale

difetto del prescritto accertamento sanitario attestante l’idoneità all’attività
lavorativa (in Silvi, il 19.6.2009).
Avverso tale pronuncia il predetto, tramite il proprio difensore di fiducia, ha
proposto appello, convertito in ricorso per cassazione.

2. Premessa una ricostruzione della vicenda, deduce, con un primo motivo di
impugnazione, che il giudice del merito sarebbe incorso in errore utilizzando, ai
fini della decisione, il verbale ispettivo redatto dal funzionario che aveva
proceduto al controllo, contenente le dichiarazioni rese in quel contesto dalla
minore indicata come sua dipendente, dal momento che detto verbale non
poteva in alcun modo essere equiparato a quello di assunzione di sommarie
informazioni da parte della polizia giudiziaria, consistendo in un modulo
precompilato, in calce al quale la minore si era limitata ad apporre la firma.
Aggiunge, inoltre, che le dichiarazioni confluite nel verbale risultavano
comunque smentite dalle dichiarazioni rese al dibattimento dalla minore
medesima e da altri testimoni, inopinatamente ritenuti inattendibili dal giudice
del merito, il quale aveva invece valorizzato quelle rese dal personale ispettivo.

3. Con un secondo motivo deduce la nullità dell’avviso di conclusione delle
indagini e del decreto di citazione a giudizio, rilevando che il capo di imputazione
conterrebbe un errato riferimento normativo che non gli avrebbe consentito di
svolgere opportunamente le proprie difese.
Rileva, inoltre, che la pena inflitta risulta determinata sulla base di parametri
non individuabili, in quanto l’art.14 del d.lgs. 345\99 non contiene alcun richiamo
all’art. 9 del medesimo decreto, oggetto della contestazione.

4. Con un terzo motivo censura il mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere riconosciute in ragione della
sua incensuratezza.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento dell’impugnazione.

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esercente di uno stabilimento balneare, ammetteva al lavoro un’adolescente in

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è inammissibile.
Occorre preliminarmente osservare che l’atto di impugnazione risulta

domicilio presso lo studio di quel difensore e dell’Avv. Cristiano BASILE.
Entrambi i difensori non risultano iscritti nell’albo speciale della Corte di
Cassazione.
Come è noto, alla regola secondo cui il ricorso per cassazione è
inammissibile qualora i motivi siano sottoscritti da avvocato non iscritto nello
speciale albo dei professionisti abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni
superiori non è prevista alcuna deroga, neppure nel caso di appello convertito in
ricorso, poiché altrimenti verrebbero elusi, in favore di chi abbia erroneamente
qualificato il ricorso, obblighi sanzionati per chi abbia proposto l’esatto mezzo di
impugnazione (Sez. V n. 23697, 29 maggio 2003; Sez. III n. 2233, 10 ottobre
1998 ed altre prec. conf.).
Nel caso di specie, tuttavia, l’appello reca in calce l’atto di nomina dei
suddetti avvocati sottoscritto personalmente dall’imputato, cosicché, sulla base
di quanto già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte proprio in relazione ad
una fattispecie relativa ad atto di impugnazione impropriamente definito appello,
perché proposto contro un provvedimento inappellabile, qualificato come ricorso
per cassazione, l’impugnazione può ritenersi presentata personalmente
dall’imputato, in quanto l’atto di nomina in esso contenuto ha un implicito, ma
evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi di ricorso, che
quindi devono giuridicamente ritenersi fatti propri dall’imputato, il quale se ne
assume la paternità (v. SS.UU. n. 47803, 23 dicembre 2008. Conf. Sez. III n.
28961, 18 luglio 2012).

6.

Deve però ricordarsi anche che l’istituto della conversione della

impugnazione previsto dall’art.568, comma 5, cod. proc. pen., ispirato al principio
di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del
procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo
le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio
di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l’atto convertito deve avere
i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe

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presentato e sottoscritto dall’Avv. Dario GILENO e l’imputato risulta aver eletto

dovuto essere proposta (Sez. I n. 2846, 9 luglio 1999. V. anche ex pl. Sez. III n.
26905, 16 giugno 2004; Sez. IV n. 5291, 10 febbraio 2004).
Da ciò consegue che non possono prendersi in considerazione, in questa
sede di legittimità, le questioni concernenti la ricostruzione dei fatti prospettata
nell’atto di impugnazione, né può procedersi ad una loro diversa lettura o
all’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di valutazione.
Ciò posto, deve rilevarsi la manifesta infondatezza dei motivi prospettati.

indipendentemente dal contenuto e dall’utilizzabilità o meno del verbale ispettivo
oggetto di censura – non conosciuto da questa Corte, che non ha accesso agli atti
e documenti acquisiti nel corso dell’istruzione dibattimentale, né riprodotto in
alcun modo dall’impugnante – il giudice del merito ha ritenuto dimostrato lo
svolgimento dell’attività lavorativa da parte dell’adolescente in base alle
dichiarazioni rese nel corso della deposizione testimoniale dall’ispettore dell’INPS
che aveva proceduto alla verifica, il quale aveva riferito di aver personalmente
constato che la giovane era intenta al lavoro all’interno del bar dello
stabilimento, successivamente raccogliendo le sue dichiarazioni.
Quanto constatato, aggiunge il giudice del merito, veniva inserito in un
verbale di primo accesso, contenente anche la contestazione dell’assunzione
della minore, di anni 16, senza la preventiva visita medica attestante l’idoneità
all’attività lavorativa e le prescrizioni da adempiere per poter accedere alla
definizione dell’illecito riscontrato mediante oblazione, prescrizioni alle quali il
contravventore puntualmente ottemperava, senza tuttavia effettuare nei termini
il pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, cosicché veniva dato
seguito al procedimento penale.
Nel valutare tali circostanze, il Tribunale riteneva non plausibile ed
artatamente predisposta la tesi difensiva secondo la quale la giovane si trovava
nel bar per caso.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di motivazione del tutto adeguata e scevra
da cadute logiche o manifeste contraddizioni che consente un’agevole
comprensione del percorso logico seguito dal giudicante permettendo al
provvedimento impugnato di superare agevolmente, sul punto, il vaglio di
legittimità.

8. Anche la infondatezza del secondo motivo di impugnazione risulta di
macroscopica evidenza.
Va detto, a tale proposito, che in linea generale, come già puntualizzato
dalla giurisprudenza di questa Corte, anche la mancata indicazione nel capo di

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7. Va infatti rilevato, con riferimento al primo motivo di impugnazione, che,

imputazione degli articoli di legge violati è irrilevante quando il fatto addebitato
sia puntualmente e dettagliatamente esposto, in modo tale che non possa
insorgere alcun equivoco sul pieno esercizio del diritto di difesa (Sez. VI n. 45289,
5 dicembre 2011; Sez. V n. 44707, 7 dicembre 2005, citata anche nel
provvedimento impugnato; Sez. I n. 18027, 19 aprile 2004; Sez. IV n. 39617, 22
novembre 2002; Sez. VI n. 3138, 14 settembre 2000 e numerose altre prec.
conf.).
Nella fattispecie, come si rileva dal tenore dell’impugnazione, la disposizione

decreto legislativo, frutto evidente di banale errore di trascrizione, essendo stato
indicato, l’art. 9 del d.lgs. 435\99 in luogo del d.lgs. 345\99, invertendo l’ordine
delle prime due cifre.
Tale errore, di immediata percezione, risultava peraltro irrilevante per la
presenza, nell’imputazione medesima, della puntuale descrizione della condotta
contestata.
[‘inoltre appena il caso di aggiungere che l’oggetto della contestazione era
comunque ben noto all’imputato, al quale era stato consegnata, al momento
dell’accertamento, copia del verbale ispettivo redatto dal personale dell’INPS che
aveva proceduto al controllo dell’esercizio commerciale, cosicché non è
ipotizzabile alcuna lesione del diritto di difesa.

9. Altrettanto agevole, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, è
l’individuazione della disposizione in base alla quale il giudice del merito ha
determinato la sanzione poi applicata.
Il d.lgs. 345\99, negli articoli 9 e 14, che lo stesso ricorrente richiama, ha
sostituito, rispettivamente, gli articoli 8 e 26 della legge 17 ottobre 1967, n. 977.
L’art. 8 stabilisce, al comma 1, l’obbligo della visita medica necessaria per
accertare l’idoneità al lavoro dei bambini e gli adolescenti, mentre l’art. 26
prevede, al comma 2, per l’inosservanza, tra le altre, anche delle disposizioni di
cui all’art. 8, comma 1, la sanzione dell’arresto o dell’ammenda.
Dunque anche in questo caso nessun equivoco poteva verificarsi
nell’individuazione delle disposizioni applicabili nella fattispecie.

10. Anche il terzo motivo di impugnazione risulta manifestamente infondato.
Risulta dalla sentenza impugnata, segnatamente laddove sono riprodotte le
conclusioni delle parti, che la difesa dell’imputato non aveva richiesto al giudice
del merito il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo
concluso per l’assoluzione, senza alcuna ulteriore richiesta, neppure subordinata.
La concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di

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di legge violata era presente, ma con un erroneo riferimento al numero del

positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla
mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché non vi
era alcun obbligo di espressa motivazione da parte del Tribunale.
Va infine rilevato che la dedotta incensuratezza dell’imputato non poteva
essere posta a fondamento della concessione delle attenuanti, come ipotizzato
nell’impugnazione, in ragione di quanto espressamente previsto dall’ultimo
comma dell’art. 62-bis cod. pen.

declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in data 4.2.2014

11. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla

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