Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 734 del 24/10/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 734 Anno 2017
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CATALANO ANDREA nato il 23/10/1963 a ENNA

avverso la sentenza del 09/12/2015 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;

Data Udienza: 24/10/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
La CORTE APPELLO di PALERMO, con sentenza in data 09/12/2015,
confermava la condanna di CATALANO ANDREA per il reato di cui all’ art. 648 CP
alla pena di anni uno di reclusione ed C 200.00 di multa pronunciata dal
TRIBUNALE di PALERMO, in data 22/09/2014.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità a titolo di ricettazione.

sanzionatorio ed in particolare alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
Entrambi i motivi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
La Corte fonda la condanna tenuto conto dell’accertata, e mai
convincentemente giustificata, disponibilità del titolo di provenienza furtiva in
oggetto (all’evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione).
In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata – quanto alla
qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento di questa
Corte (per tutte, Sez. II, n. 29198 del 25/05/2010, Fontanella, rv. 248265), per
il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova
dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o
non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede; d’altro canto (Sez. H, n. 45256 del 22/11/2007,
Lapertosa, Rv. 238515), ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale
quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o
ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza
di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi
contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. Né si richiede
all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di
fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose
medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione
di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le
parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati
da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento
(in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, Rv. 236914).
Si è anche, più specificamente, chiarito (da ultimo, Sez. II, n. 22120 del
07/02/2013, Mercuri, Rv. 255929), che chi riceva od acquisti un assegno
bancario al di fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione è
necessariamente consapevole della sua provenienza illecita.

– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento

La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata
da motivazione incentrata sulla assoluta mancanza di elementi valutabili a favore
dell’imputato ed esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in
cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche
considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario
che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia

superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n.3609 del 18/1/2011,
Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la
pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad
una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia
frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrarlo, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie non ricorre. Nel caso di specie – inoltre – la pena si attesta su valori prossimi ai
minimi edittali e ben al di sotto dei valori medi. Invero, una specifica e
dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in
relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la
pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo
altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: ‘pena congrua’, ‘pena equa’ o ‘congruo
aumento’, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a
delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che
ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2016

riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o

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