Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7335 del 22/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 7335 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOLLICA CELESTINO GAETANO, N. IL 23/06/1956
avverso l’ordinanza n. 386/2011 TRIBUNALE SORVEGLIANZA di
MESSINA del 24/01/2012;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Giovanni
D’Angelo, che ha chiesto rigettasi il ricorso e condannarsi la parte
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Data Udienza: 22/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24 gennaio 2012 il Tribunale di sorveglianza di Messina
ha rigettato l’istanza di differimento della esecuzione della pena per grave
infermità, proposta da Mollica Celestino Gaetano, in atto detenuto presso la Casa
Circondariale di Messina, in relazione alla pena di anni diciassette di reclusione
inflitta con sentenza del 10 febbraio 2009 della Corte d’assise d’appello di
Catania, irrevocabile il 28 ottobre 2009, per i reati di omicidio aggravato, porto e

Il Tribunale, a ragione della decisione, dopo aver richiamato la pronuncia di
condanna dell’istante, i suoi precedenti penali e di polizia, il contenuto della
relazione sanitaria dell’Istituto penitenziario del 14 gennaio 2012, la nota
informativa della Questura di Catania del 15 dicembre 2011, e la relazione
comportamentale della Casa Circondariale di Messina del 23 dicembre 2011,
rilevava la insussistenza dei presupposti per il differimento della esecuzione della
pena, perché i problemi sanitari del condannato, che non versava in imminente
pericolo di vita, risultavano allo stato efficacemente trattati in ambito
penitenziario, né il medesimo era affetto da malattia tanto grave da escluderne
la pericolosità sociale e la capacità di avvertire l’effetto rieducativo del
trattamento sanzionatorio.
Secondo il Tribunale, alla luce delle osservazioni difensive in merito alla
mancata formulazione allo stato di una diagnosi certa della patologia del
condannato e alla impossibilità di individuare gli interventi o le terapie da
effettuarsi, la Casa Circondariale di Messina doveva attivarsi per effettuare tutti
gli accertamenti necessari, ove necessario anche fuori Messina (in tal senso
investendosi il DAP per quanto di eventuale competenza), per individuare con
certezza la patologia.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione, per mezzo del suo
difensore, Mollica Celestino Gaetano, che ne chiede l’annullamento sulla base di
unico motivo con il quale deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc pen., in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., per mancanza di motivazione
in ordine alle possibilità di cure da parte di esso ricorrente in ambiente carcerario
e in ordine al pericolo di commissione di reati.
Secondo il ricorrente, l’affermata sua possibilità di fruire delle cure
apprestate dall’istituto penitenziario o dei ricoveri in luogo esterno di cura è in
netto contrasto con le risultanze della relazione medica, che ha rappresentato
che i sanitari non sono riusciti a fare una diagnosi certa circa la sua patologia.
Tale circostanza esclude che il Tribunale abbia valutato il reale quadro clinico e i

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detenzione illegali di armi e ricettazione.

reali irreversibili rischi per la salute e la qualità della vita, e comporta la sua
esposizione a gravissimi danni alla salute, oltre a porsi assolutamente in
contrasto con qualsiasi senso di umanità.
Il pericolo di commissione di delitti da parte sua, ad avviso del ricorrente, è,
Inoltre, escluso dalla ordinanza del 7 dicembre 2010 della Corte d’assise
d’appello di Catania che lo ha scarcerato in relazione ai delitti di duplice omicidio
aggravati, per i quali era stata emessa ordinanza di custodia cautelare a suo
carico, non ravvisando alcuna esigenza cautelare, e in particolare il pericolo di

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, motivatamente concludendo per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2.

Questa Corte ha più volte affermato che, mentre la detenzione

domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità
la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo
della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147 n. 2
cod. pen., mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il
diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo
che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in
pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque,
da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di
detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri
luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 45758
del 14/11/2007, dep. 06/12/2007, De Witt, Rv. 238140; Sez. 1, n. 28555 del
18/06/2008, dep. 10/07/2008, Graziano, Rv. 240602; Sez. 1, n. 27313 del
24/06/2008, dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877; Sez. 1, n. 22373 del
08/05/2009, dep. 28/05/2009, Aquino, Rv. 244132).
Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio della esecuzione della pena per
grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del
condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le
possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione.
Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di
un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di
una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da

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reiterazione dei reati.

essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della
impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato,
deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale.
Se, invece, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato
sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si
attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e residui un
margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del
condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo

facoltativo della pena per tutte le ipotesi previste dall’art. 147 cod. pen, la
detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen., che

espressamente prescinde dalla durata della pena da espiare (tra le altre, Sez. 1,
n. 399 del dell0/01/2000, dep. 20/04/2000, Belleggia, Rv. 215935; Sez. 1, n.
4750 del 14/01/2011, dep. 09/92/2011, Tinelli, Rv. 249794).

3. Di tali condivisibili principi è stata fatta, nel caso di specie, esatta
interpretazione e corretta applicazione.
3.1. Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che le condizioni di salute del Mollica
non erano incompatibili con il regime carcerario, facendo riferimento ai dati
disponibili, tra loro logicamente correlati e fondati sulle risultanze della relazione
sanitaria del 14 gennaio 2012, aggiornata rispetto alla data della decisione (24
gennaio 2012), e proveniente dalla Casa Circondariale ove il predetto era
detenuto.
Nel suo percorso argomentativo il Tribunale, che ha riportato riferimenti
testuali al contenuto degli atti richiamati, ha ragionevolmente valorizzato le
univoche emergenze fattuali secondo le quali, in presenza delle malattie da cui è
affetto, il detenuto è stato sottoposto a visite specialistiche, ha eseguito sedute
riabilitative, ha ricevuto consulenza neurochirurgica e consulenza urologica e ha
effettuato esami indotti dalle stesse, e ha rimarcato il giudizio conclusivo della
relazione sanitaria in merito al quadro stazionario attuale delle condizioni del
detenuto e all’applicazione allo stesso della “sorveglianza sanitaria comune a
tutta la popolazione qui ristretta”.
Con apprezzamento congruo ai dati fattuali richiamati l’ordinanza ha, quindi,
ritenuto che l’istante né versava in imminente pericolo di vita, né la sua malattia,
trattata efficacemente in ambito penitenziario, anche attraverso gli strumenti
offerti dall’art. 11 Ord. Pen., era incompatibile con il regime carcerario e con
l’effetto rieducativo del trattamento penitenziario, e inidonea a escludere la sua
pericolosità sociale attestata da plurimi elementi (tratti dalla nota informativa

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controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento

della Questura di Catania, dalla relazione comportamentale della Casa
Circondariale, dai precedenti penali).
3.2. Secondo il Tribunale – che neppure ha prescisso dal rappresentare che
l’esito dell’esame neurologico, secondo i sanitari, non aveva consentito di
accertare se il detenuto fosse affetto da sclerosi laterale amiotrofica o da
mielopatia cerebrale, entrambe possibili, e che gli stessi sanitari avevano
consigliato ulteriori valutazioni specialistiche, approfondimenti diagnostici ed
esami strumentali – la mancanza di una diagnosi certa e di una possibile

non incideva sui presupposti della misura, essendo al riguardo sufficiente
l’attivazione della Direzione della Casa Circondariale, con il contestuale
coinvolgimento del DAP, per effettuare gli accertamenti volti alla certa
individuazione della patologia in risposta alla deduzione difensiva.
3.3. Si tratta di valutazioni ragionevoli e logicamente articolate, che,
coerenti con il rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza di tutti i cittadini
dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, di non contrarietà del
trattamento penitenziario al senso di umanità e del diritto alla salute come diritto
fondamentale dell’individuo, non solo sono in linea con la necessaria esecuzione
delle pene legittimamente inflitte nei confronti di coloro che le hanno riportate,
derogabile solo in presenza di situazioni eccezionali, ma tengono conto della ratio
dell’istituto invocato, che non preclude l’esecuzione della pena in presenza di
stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per
effetto del ritorno in libertà, legittimandone il rinvio quando, tra l’altro, il
condannato possa giovarsi in stato di libertà di cure e trattamenti indispensabili,
non praticabili in stato di detenzione, come invece è avvenuto nella specie.

4. Tali argomentazioni, esenti da vizi logici e giuridici, resistono alle censure
del ricorrente che, nel ribadire l’incertezza del suo quadro patologico e
nell’affermare il contrasto della sua condizione sanitaria con il diritto alla salute e
con il senso di umanità, esprimono un diffuso dissenso di merito rispetto alla
svolta lettura delle emergenze processuali, senza correlarsi con la verifica
specifica delle risultanze della relazione sanitaria svolta con l’ordinanza, con la
correlata valutazione dell’adeguatezza del trattamento sanitario apprestato in
rapporto alle patologie riscontrate, e con l’approfondimento del quadro
patologico, già segnalato nella relazione sanitaria, demandato dal Tribunale agli
organi competenti, e senza prospettare una effettiva incompatibilità delle
condizioni di salute al momento della decisione.
Né, a fronte della ragionevole diffusa analisi da parte del Tribunale della
pericolosità sociale del condannato in rapporto all’istituto del differimento della

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individuazione degli interventi e delle terapie occorrenti, dedotta dalla difesa,

pena in espiazione e alla ratio della sua previsione, conferisce fondatezza alle
censure il riferimento generico del ricorrente a non recenti valutazioni, svolte in
sede di merito ai fini cautelari, in merito al pericolo di reiterazione dei reati da
parte sua.
5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna Il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2012
Il Consigliere estensore

Il Presidente

proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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