Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7320 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7320 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FABOZZI ENRICO N. IL 01/03/1950
avverso l’ordinanza n. 5852/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
11/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
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Data Udienza: 10/12/2013

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RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli, sezione riesame, con ordinanza emessa in
data 6 dicembre 2011, aveva confermato l’ordinanza con la quale in
data 3 novembre 2011 il G.I.P. del locale Tribunale aveva applicato ad
ENRICO FABOZZI, in atti generalizzato, la misura cautelare della
custodia in carcere, in relazione ai delitti di cui all’art. 416-bis c.p. (capo

1991 (capo B), ed all’art. 319 c.p. (capo E).
La contestazione assumeva che il FABOZZI, candidato a sindaco, e poi
sindaco, del Comune di Villa Literno, avesse stretto accordi con il gruppo
camorristico egemone nel territorio, il c.d. Clan dei casalesi, attraverso
FERRARO NICOLA e GUIDA LUIGI, ottenendone il sostegno elettorale, in
particolare con riferimento alle elezioni a sindaco del 2003, attraverso
l’acquisizione di voti (imposti da parte di IOVINE MASSIMO, DIANA
FRANCESCO e ZIELLO GAETANO), in cambio della promessa e
dell’offerta di favori, essenzialmente consistenti nell’aggiudicazione di
appalti per opere pubbliche ad imprese compiacenti; si contestava,
inoltre, al FABOZZI, di avere, nella predetta qualità, ricevuto denaro ed
utilità da MALINCONICO GIOVANNI, rappresentante e capogruppo della
ATI MALINCONICO – FAVELLATO – MASTROMINICO, quale prezzo per
l’aggiudicazione dell’ingente appalto di riqualificazione urbana e
ambientale del Comune interessato.
2. A seguito del ricorso dell’indagato, la VI sezione di questa Corte
Suprema (con sentenza n. 26066 del 26 aprile – 4 luglio 2012) aveva
annullato l’ordinanza impugnata, rinviando per nuovo esame al
Tribunale del riesame di Napoli.
2.1. La VI sezione aveva premesso che l’assunto che il reato di cui
all’art. 87 d.P.R. n. 570 del 1960 fosse prescritto non era condivisibile:
<>.
2.3.3.

Infine, per quanto riguarda la vicenda dell’aggiudicazione

dell’appalto di riqualificazione urbana e ambientale del Comune di Villa
Literno, che era al centro della contestazione di

corruzione

ed

assumeva ovviamente rilievo anche ai fini del reato di concorso esterno,

4

gestione rifiuti ed esulava quindi dagli ambiti di operatività propri del

ed in ordine alla quale avevano riferito il predetto TAMMARO DIANA,
EMILIO DI CATERINO e LUIGI TARTARONE, secondo la VI Sezione

«I dati certi che, alla stregua di quanto riportato nell’ordinanza
impugnata, emergono su tale appalto è che lo stesso fu affidato a un’ATI
capeggiata da un’impresa facente capo a tale Malinconico, persona
legata al clan di Iovine Antonio, e che ciò provocò una reazione del clan
antagonista di Bidognetti (con il quale – si noti – il Fabozzi avrebbe

generale comportamento del sindaco, ritenuto negativo nei confronti di
tale clan, gli appese a scopo intimidatorio una testa di maiale fuori
dell’abitazione. Sull’esistenza di vizi specifici nella predisposizione del
bando di gara ovvero nello svolgimento della procedura di
aggiudicazione dell’appalto, l’ordinanza impugnata (nell’assenza di
positive emersioni in sede di giustizia amministrativa, pur al riguardo
adita) non va al di là di mere ipotesi. Quanto allo specifico ruolo avuto
dal Fabozzi nella vicenda, l’unica accusa netta e precisa viene dalle
dichiarazioni di Diana Tammaro, rimaste, però, sul punto, prive di
riscontro. A fronte di tanto, e anche per la evidente denunciata
sproporzione con l’ingente valore dell’appalto (che rende oltremodo
problematica l’individuazione di un reale sinallagma), scarso rilievo
evidentemente assumono, ai fini della ravvisabilità della gravità
indiziaria sia per il reato di corruzione che, correlativamente, per quello
di concorso esterno in associazione camorristica, i limitati interventi fatti
dal Fabozzi sul Malinconico al fine di ottenere ausili economici a
vantaggio del Comune o assunzioni di singole persone».
23.4. In virtù delle considerazioni sin qui riepilogate, l’ordinanza
impugnata era stata annullata, con rinvio al giudice di merito,

«che

procederà a nuovo esame, rendendo motivazione immune dai vizi sopra
evidenziati avi compreso quello relativo al dubbio sulla richiesta della
misura per il reato corruttivo) e da ogni altro vizio»
La statuizione che precede era ritenuta assorbente rispetto ai motivi
di ricorso inerenti alla circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152
del 1991, ed alle esigenze cautelari.

5

stipulato l’illecito patto di collaborazione), che, in considerazione del

3. Il Tribunale di Napoli, sezione riesame, quale giudice di rinvio, con
l’ordinanza indicata in epigrafe ha nuovamente confermato, in
riferimento ai reati di cui ai capi A), B) ed E) delle imputazioni
provvisorie, l’ordinanza genetica emessa dal G.I.P. del Tribunale di
Napoli.
Contro tale provvedimento, ENRICO FABOZZI (con l’ausilio del

difensore, iscritto all’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per
cassazione, premettendo di voler censurare per abnormità il
provvedimento di rifissazione di nuova udienza camerale emesso dal
Tribunale del riesame di Napoli dopo aver riservato la decisione (f. 2 s.
del ricorso), e successivamente deducendo i seguenti motivi, enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – [capi A.B.E.] violazione degli artt. 273 – 238 – 238/bis – 192 234 – 309 c.p.p., con vizio di motivazione (lamentando che all’atto
dell’acquisizione della sentenza non irrevocabile ampiamente
valorizzata, in motivazione, dal Tribunale del riesame ad integrazione
del necessario quadro di gravità indiziaria, le indagini preliminari fossero
già concluse, il che avrebbe dovuto precludere l’acquisizione della
predetta sentenza. Chiede, in subordine, di adire il Giudice delle Leggi
per stabilire la legittimità costituzionale dell’interpretazione accolta dal
Tribunale del riesame di Napoli);
H – [capi A.B.E.] violazione degli artt. 273 – 309 – 178 – 121 – 125
c.p.p., con vizio di motivazione (lamenta la mancata considerazione del
contenuto di proprie memorie depositate in data 19 settembre 2012 ed
11 aprile 2013);
III – violazione degli artt. 273 – 309 – 178 – 121 – 125 c.p.p., con
vizio di motivazione (lamenta plurime carenze motivazionali del
provvedimento impugnato, che avrebbe omesso di considerare le
emergenze favorevoli al FABOZZI e valorizzato una sola fonte indiziaria
sopravvenuta, ovvero una sentenza non definitiva emessa all’esito di un
diverso procedimento; lamenta, inoltre, nel corpo delle argomentazioni
riportate a sostegno del motivo, violazione dell’art. 627 c.p.p., per avere

6

4.

utilizzato elementi sopravvenuti fuori dai limiti segnati dalla pronuncia
rescindente; reitera, infine, la doglianza di omessa considerazione del
contenuto di scritti difensivi su plurimi profili dettagliatamente indicati,
concludendo che, in riferimento a numerosi punti decisivi, sarebbe stata
del tutto omessa la necessaria motivazione);
IV – [capi A.B.E.] violazione degli artt. 273 – 238 – 238-bis – 192 234 – 309 c.p.p. e 110 c.p., con vizio di motivazione (lamenta

ipotizzati dal P.M., ed il radicale vizio di motivazione sul punto, essendo
stata ancora una volta valorizzata la sola chiamata in reità di TAMMARO
DIANA, pur se intrinsecamente inattendibile e non riscontrata, neanche
dalle considerazioni contenute nella sopravvenuta sentenza; né
potrebbero in proposito essere valorizzate le dichiarazioni di GIOVANNI
MALINCONICO, perché piene di discrasie cronologiche e fattuali);
V – [capo A.] violazione degli artt. 273 – 238 – 238-bis – 192 – 234 309 c.p.p. e 110 – 416-bis c.p., con vizio di motivazione (lamenta che
non sarebbero state colmate le lacune dell’impianto motivazionale
dell’originaria decisione del Tribunale del riesame, poste dalla VI sezione
della Corte di cassazione a fondamento della sentenza rescindente,
quanto al contestato concorso esterno nel reato di cui all’art. 416-bis

VI – [capo A.] violazione degli artt. 273 – 238 – 238-bis – 192 – 234 309 c.p.p. e 110-416-bis c.p., con vizio di motivazione (lamenta che non
sarebbero state superate le discrasie rilevate dalla sentenza rescindente
tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che erano state poste a
fondamento dell’annullamento della prima ordinanza del Tribunale del
riesame, ed erano state evidenziate in sede di rinvio in una memoria
difensiva ritualmente depositata – che il ricorrente ri-trascrive in ricorso
– quanto al ritenuto ruolo di spicco del FABOZZI);
VII – [capi B.E.] violazione degli artt. 273 – 238 – 238-bis – 192 234 – 309 c.p.p., e 110-416-bis c.p., con vizio di motivazione
(nonostante il riferimento – all’evidenza errato – agli artt. 110-416-bis
c.p., il ricorrente lamenta in realtà che il provvedimento impugnato si
sarebbe del tutto disinteressato dei reati di cui ai capi B.

7

l’insussistenza del contestato concorso morale del FABOZZI nei reati

ed E., in relazione ai quali non sarebbero, pertanto, state colmate le

A une evidenziate dal provvedimento rescindente);
VIII – [capo B.] violazione degli artt. 125 – 273 c.p.p., e 7 I. n. 203
del 1991 (il ricorrente lamenta in proposito la mera apparenza di
motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 7 cit.);
IX – [capi A.B.E.] violazione degli artt. 275 – 309 – 274 c.p.p., con
vizio di motivazione (lamenta che il provvedimento impugnato – f. 11 s.

aggravato ex art. 7 I. n. 203 del 1991 e nel ritenere l’attualità delle
esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere per il reato di
cui agli artt. 110 – 416-bis c.p.: in proposito, richiamando un recente
precedente giurisprudenziale, evidenzia che il ritenuto concorso esterno
nel reato associativo risalga al 2003, che il soggetto in ipotesi
costituente referente politico del FABOZZI – NICOLA FERRARO – sia
ormai “bruciato” ed in carcere, che il FABOZZI si trovi quindi
attualmente nell’impossibilità di reiterare utilmente le condotte
ascrittegli, e che, d’altro canto, alla stessa stregua della contestazione
provvisoria, il concorso esterno ascrittogli è circoscritto nel tempo, non
tuttora perdurante).

In data 3 dicembre 2013 nell’interesse del ricorrente sono stati
depositati motivi asseritamente nuovi, in realtà contenenti
argomentazioni a specificazione ed integrazione del V motivo nonché del
I, del II e del IV motivo, con conclusioni, punto per punto, che reiterano
quelle già formalizzate in ricorso, culminanti nella conclusiva richiesta di
annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza.

5.

All’odierna udienza camerale, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da
dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
L’ordinanza impugnata va annullata limitatamente ai reati di cui al
capo A) (artt. 110/416-bis c.p.) e di cui al capo B) (artt. 87 d.P.R.

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– erri nel ritenere che il reato di corruzione sia stato contestato come

570/60 e 7 d.l. 151/91), con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo
esame sul punto; il ricorso è nel resto, ovvero relativamente al reato di
cui al capo E) (art. 319 c.p.), infondato e va rigettato.
Restano assorbiti nella predetta statuizione i motivi sulle esigenze
cautelari.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA

CAUTELARI PERSONALI

1. E’ necessario preliminarmente determinare i limiti entro i quali
questa Corte Suprema può esercitare il sindacato di legittimità sulla
motivazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali.

1.1. Secondo l’orientamento che il Collegio condivide e reputa attuale
anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art.
606 c.p.p. (cui l’art. 311 c.p.p. implicitamente rinvia), in tema di misure
cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione,
vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del
riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla
Corte Suprema spetta «il compito di verificare se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione
degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella
peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate>> (Cass.
pen., Sez. un., sentenza n. 11 del 22 marzo 2000, CED Cass. n.
215828; nel medesimo senso, dopo la novella dell’art. 606 c.p.p., Sez.
IV, sentenza n. 22500 del 3 maggio 2007, CED Cass. n. 237012).

Considerato che la richiesta di cui all’art. 309 c.p.p., quale mezzo di
impugnazione sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a
controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti
formali enumerati nell’art. 292 c.p.p. e ai presupposti ai quali

9

MOTIVAZIONE DELLE ORDINANZE APPLICATIVE DI MISURE

subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo (Cass. pen., Sez.
Un., sentenza n. 11 dell’8 luglio 1994, CED Cass. n. 198212), si è
sottolineato che, dal punto di vista strutturale, la motivazione della
decisione del tribunale del riesame deve essere conformata al modello
delineato dall’art. 292 c.p.p., che ricalca il modulo configurato dall’art.
546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto
della pronuncia cautelare, che non è fondata su prove ma su indizi e

probabilità di colpevolezza (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 del 21
aprile 1995, CED Cass. n. 202002).

1.2. Si

è, più recentemente, osservato, sempre in tema di

impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche
norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma
non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei
fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 46124
dell’8 ottobre 2008, CED Cass. n. 241997; Sez. VI, sentenza n. 11194
dell’8 marzo 2012, CED Cass. n. 252178).

L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle
esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cassazione
soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o
nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi
di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento impugnato; il
controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei
fatti. Sarebbero, pertanto, inammissibili le censure che, pur
formalmente investendo la motivazione, si risolvano nella prospettazione
di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di
merito, dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli
elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice.

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tende all’accertamento non di responsabilità ma di una qualificata

1.3. Deve aggiungersi che sarebbe inammissibile anche il ricorso
avverso il provvedimento del Tribunale del riesame che deduca per la
prima volta vizi di motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel
provvedimento genetico della misura coercitiva che non avevano
costituito oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale, non
risultandone traccia né dal testo dell’ordinanza impugnata, né da

addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza camerale
(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 2927 del 22 aprile 1997, CED Cass. n.
207759; Sez. I, sentenza n. 1786 del 5 dicembre 2003 – 21 gennaio
2004, CED Cass. n. 227110; Sez. II, sentenza n. 42408 del 21
settembre 2012, CED Cass. n. 254037), a nulla rilevando, in senso
contrario, il fatto che il riesame sia un mezzo di impugnazione
totalmente devolutivo, poiché «in mancanza di specifiche deduzioni

difensive il Tribunale in sede di riesame legittimamente può limitarsi,
(…), a concordare “pienamente con la ricostruzione della sussistenza del
quadro indiziario risultante dalla richiesta del PM e dall’ordinanza del
GIP”, riassumendo, poi, i punti essenziali di tale quadro indiziario>>.

1.4. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

IL RICORSO
2. Va, in primo luogo, esaminata la censura di abnormità del
provvedimento di rifissazione di nuova udienza camerale emesso dal
Tribunale del riesame di Napoli dopo aver riservato la decisione (f. 2 s.
del ricorso).

2.1. Questa Corte Suprema (Sez. un., sentenza n. 26 del 24

.4

novembre 1999 – 26 gennaio 2000, CED Cass. n. 215094) ha già
chiarito che è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la
singolarità e la stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero
ordinamento processuale, ma anche quello che, pur costituendo in

11

eventuali motivi o memorie scritte, né dalla verbalizzazione delle ragioni

astratto manifestazione di un legittimo potere, si esplichi al di fuori dei
casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.
L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo
strutturale (allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del
sistema organico della legge processuale), quanto il profilo funzionale
(quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi

2.2. Ciò premesso, deve rilevarsi che, nel caso di specie, la fissazione
di nuova udienza camerale dopo che il collegio aveva riservato la
decisione è provvedimento che:
– ha mera natura ordinatoria;
– rientra senz’altro nell’ambito dei poteri discrezionali del giudicante;
– non ha creato alcuna stasi processuale;
– non appare essere stato emesso irragionevolmente.
Il predetto provvedimento non sarebbe, quindi, autonomamente
impugnabile, perché non costituisce atto abnorme.
Esso è anzi scaturito da una iniziativa della difesa la quale (fuori
udienza) aveva depositato, con l’evidente intento di trarne elementi
favorevoli alle proprie tesi, la sentenza emessa nelle more dalla V
Sezione di questa Corte Suprema, la cui eventuale rilevanza ai fini della
decisione postulava, di necessità, l’instaurazione del contraddittorio con
il P.M., cui non poteva – in ipotesi – essere negato il diritto di controargomentare sulla possibile rilevanza di un atto prodotto dopo la
conclusione dell’udienza camerale celebrata in contraddittorio.
A ben vedere, quindi, avendo la stessa difesa dato causa, con una
propria iniziativa extra ordinem, all’atto oggi impugnato per abnormità,
non può ritenersi che essa sia legittimata alla doglianza in esame.

2.3. In virtù dell’insieme dei predetti rilievi, il ricorso è, in parte qua,
inammissibile.

12

del processo e l’impossibilità di proseguirlo).

3. Il primo motivo è in parte manifestamente infondato, in parte non
consentito, in parte generico.

3.1. Può ritenersi senz’altro pacifico l’orientamento di questa Corte
Suprema (cfr. Sez. I, sentenze n. 4807 del 23 novembre 1992 – 11
gennaio 1993, CED Cass. n. 192660, e n. 17269 del 2 marzo 2001, CED
Cass. n. 218819, nonché, più recentemente, Sez. VI, sentenza n. 88 del

gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, comma 1, c.p.p. per
l’applicazione ed il mantenimento di misure cautelari personali possono
essere validamente desunti anche da sentenze non ancora irrevocabili,
senza che ciò comporti violazione né dell’art. 238-bis c.p.p. (il quale, nel
prevedere che possano essere acquisite e valutate come prova le
sentenze divenute irrevocabili, si riferisce al giudizio di colpevolezza, non
alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari), né dell’art. 238,
comma

2 bis,

c.p.p. (il quale, nel subordinare l’acquisizione di

dichiarazioni rese in altri procedimenti alla condizione che il difensore
abbia partecipato alla loro assunzione, a sua volta si riferisce al solo
giudizio sulla responsabilità)
E nessuna disposizione consente di attribuire decisivo rilievo al fatto
(evocato dal ricorrente) che l’acquisizione ed utilizzazione, pur sempre

ad cautelam, di una sentenza non irrevocabile abbia luogo nel corso
delle indagini preliminari oppure dopo l’esercizio dell’azione penale,
dovendo il discrimine riguardare unicamente il profilo funzionale (ovvero
l’utilizzazione ad integrazione del quadro di gravità indiziaria prodromico
all’emissione di una misura cautelare, non anche – all’esito del giudizio ai fini dell’affermazione di responsabilità penale oltre ogni ragionevole
dubbio).

3.2.

Va, inoltre, evidenziato – quanto al lamentato vizio di

motivazione sulle ragioni della ritenuta utilizzazione – che non è
denunciabile il vizio di motivazione con riferimento a questioni di diritto.

13

6 novembre 2008 – 7 gennaio 2009, CED Cass. n. 242376) per il quale i

3.2.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa
Corte Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del 21 – 27 gennaio 2009,
CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass.
n. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV,
sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442),
il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo
quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove

od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non
può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale
soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali
argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale
erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della
soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza
n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).

Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto:

«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile
con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito,
allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D’altro
canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere soltanto dall’errata
soluzione delle suddette questioni, non dall’indicazione di ragioni errate
a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta.

Nel caso in esame, la questione di diritto evocata in ricorso è stata
decisa correttamente dal primo giudice.

3.3. Infine, la proposta questione di legittimità costituzionale è stata
argomentata in termini del tutto generici ed assertivi, persino in difetto
dell’indicazione dei parametri in ipotesi violati.

4. Il secondo motivo è generico.

14

queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente

4.1.

Nel vigente sistema processuale, che va necessariamente

delineato alla luce dei principi sanciti dagli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione e dagli artt. 1, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, come rispettivamente interpretati dalla Corte costituzionale e
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, sussiste il diritto
dell’indagato/imputato all’utilizzazione ed alla valutazione della prova;
sussiste, cioè, il diritto dell’indagato/imputato di difendersi provando,

ed istanze a partire dalla fase delle indagini preliminari, ed in ogni stato
e grado del procedimento (ex art. 121 c.p.p.).
Tale diritto è tutelato, all’interno del procedimento, in maniera
specifica dal suo diritto di impugnazione.
All’obbligo di motivazione delle ordinanze e delle sentenze fa, infatti,
riscontro il potere di impugnazione, che – sia pur limitato dai principi che
lo regolano – è così vasto e penetrante da consentire di individuare, al di
là dell’affermazione dell’esistenza di un dovere funzionale del giudice
teso all’accertamento della verità (e non già solo a provare il contenuto
dell’accusa), l’esercizio di un diritto soggettivo dell’imputato all’esercizio
effettivo di tale dovere; diritto che, in sede di legittimità, può, secondo i
casi, essere fatto valere sub specie di vizio della motivazione (in
argomento, cfr. Sez. I, sentenza n. 14121 del 10 febbraio 1986, CED
Cass. n. 174630).
Si è, più recentemente, affermato, che

l’omessa

valutazione di

memorie difensive, pur non potendo essere fatta valere in sede di

gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, può,
comunque, influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della
motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui

ambito siano state espresse le ragioni difensive, e legittimare – in sede
di legittimità – il ricorso per vizio di motivazione (Sez. I, sentenza n.
37531 del 7 ottobre 2010, CED Cass. n. 248551; Sez. VI, sentenza n.
18453 del 28 febbraio 2012, CED Cass. n. 252713).

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che si estrinseca anche attraverso la sua facoltà di presentare memorie

4.2. A tal fine è, peraltro, necessario, come ordinariamente imposto
dall’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p., che il ricorrente non si limiti a
lamentare l’omessa motivazione sul contenuto di una propria memoria,
ma indichi, con la necessaria specificità, in qual modo l’omessa
considerazione delle argomentazioni svolte in memoria abbia inficiato la
complessiva tenuta dell’iter argomentativo seguito dal provvedimento

4.3. Al contrario, nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a
lamentare l’omessa considerazione del contenuto di due sue memorie,
senza indicarne, con la dovuta specificità, il contenuto e la asserita
rilevanza, ovvero senza indicare le ragioni per le quali la lamentata
omissione risultava decisiva, compromettendo la complessiva congruità
e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione
impugnata.

5. I motivi (dal III al VII) inerenti alla ritenuta sussistenza del
necessario quadro indiziario in ordine ai reati di cui ai capi A. B. ed E.
possono essere esaminati congiuntamente.

I POTERI DECISORI DEL GIUDICE DI RINVIO ED IL
SUCCESSIVO GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ.
6. Un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che, a
seguito di annullamento del provvedimento impugnato per vizio di
motivazione, il giudice di rinvio, benché sia obbligato a giustificare il suo
convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente
enunciato nella sentenza rescindente, decide con i medesimi poteri che
aveva il giudice il cui provvedimento è stato annullato; gli unici limiti
consistono nel divieto di ripetere i vizi già censurati in sede di giudizio
rescindente e di conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni
di diritto, e nell’obbligo di non fondare la decisione sulle argomentazioni
già ritenute incomplete o illogiche.
Inoltre, il giudice del rinvio non è tenuto ad esaminare solo i punti
specificati, isolandoli dal residuo materiale probatorio, ma mantiene,
nell’ambito dei capi colpiti dall’annullamento, piena autonomia di giudizio

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impugnato.

nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione e valutazione dei dati,
nonché il potere di desumere, anche aliunde – e dunque eventualmente
sulla base di elementi trascurati dal primo giudice – il proprio libero
convincimento, colmando, in tal modo, i vuoti motivazionali segnalati ed
eliminando le incongruenze rilevate (cfr., nei medesimi sensi, Sez. VI,
sentenza n. 42028 del 4 novembre 2010, CED Cass. n. 248738; Sez. IV,
sentenza n. 43720 del 14 ottobre 2003, CED Cass. n. 226418; Sez. V,

sentenza n. 9476 dell’8 ottobre 1997, CED Cass. n. 208783; Sez. I,
sentenza n. 1397 del 10 dicembre 1997, dep. 5 febbraio 1998, CED
Cass. n. 209692).
A seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio
è, pertanto, vincolato dal divieto di reiterare, a fondamento delle nuova
decisione, gli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di
cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni
diverse da quelle censurate in sede di legittimità, ovvero integrando e
completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della
pronuncia annullata.
Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di
ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di
apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza
essere condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al
giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani
su cui operano le rispettive valutazioni e non essendo compito della
Corte di cassazione di sovrapporre il proprio convincimento a quello del
giudice di merito in ordine a tali aspetti.
Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua
attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la
contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di
rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poiché egli
conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale
giudice di merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei
dati processuali, nell’ambito del capo della sentenza colpito da
annullamento (nel medesimo senso, Sez. IV, sentenza n. 30422 del 21

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sentenza n. 4761 del 18 gennaio 1999, CED Cass., n. 213118; Sez. VI,

giugno 2005, CED Cass. n. 232019; Sez. VI, sentenza n. 16659 del 21
gennaio 2009, CED Cass. n. 243514).

7. Questa Corte Suprema ha già chiarito che anche nel procedimento
de libertate il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il
giudice il cui provvedimento è stato annullato, e può, pertanto, acquisire
nuovi elementi prodotti dalle parti e fondare la propria decisione su di

214467; Sez. II, sentenza n. 33626 del 5 luglio 2004, CED Cass. n.
229961; Sez. VI, sentenza n. 41376 del 25 ottobre 2011, CED Cass. n.
251064).
In virtù di quanto stabilito dall’art. 627, comma 2, c.p.p. (a norma dle
quale <

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