Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7318 del 11/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7318 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Ballerin Morgan, nato a Riva del Garda il 31/7/1974
avverso la sentenza 17/5/2013 della Corte d’appello di Trento sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Roberto Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 17/5/2013, la Corte di appello di Trento,

confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Rovereto, in data
19/1/2012, che aveva condannato Ballerin Morgan alla pena di anni due,
mesi dieci di reclusione ed €. 500,00 di multa per il reato di tentata rapina e
lesioni personali.

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

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Data Udienza: 11/02/2014

in punto di sussistenza degli estremi della condotta punibile e confermava le
statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità
dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame con i quali deduce:
3.1

Travisamento ed erroneo apprezzamento delle risultanze

reati contestati. Al riguardo si duole che la Corte abbia ritenuto attendibili
le sit dei testimoni che presentano numerose contraddizioni e non abbia
tenuto nella dovuta considerazione l’interrogatorio dell’imputato. Assume
che la versione fornita dall’imputato e confermata dalle s.i.t. di alcuni
testimoni offre una dinamica alternativa della vicenda dotata di altrettanta
credibilità della versione fornita dall’accusa.
3.2

Erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt.

521 cod. proc. pen. e 393 cod. pen. In proposito si duole chge la Corte
territoriale abbia dichiarato inammissibile la richiesta di derubricazione del
reato in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni
3.3

Mancanza di motivazione sulla richiesta di concedere

l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. e di escludere l’aggravante di
cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.; eccessività della pena irrogata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità.

2.

Invero il ricorrente, pur avendo formalmente denunciato il vizio di

travisamento delle prove, violazione di legge e difetto di motivazione ha,
tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica del
logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello, fondandola su
una differente lettura delle emergenze processuali in atti con la finalità di
ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in
questa sede. In particolare è inammissibile l’eccezione di travisamento della
prova. E’ noto che in tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito

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processuali, vizio della motivazione e violazione di legge con riferimento ai

delle modifiche dell’art. 606, comma primo, lett. e) ad opera dell’art. 8 della
L. n. 46 del 2006, mentre non è consentito dedurre il “travisamento del
fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei
precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di
“travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito
abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un

che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati
dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi
sussistano” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007 Ud. (dep.
23/10/2007 ) Rv. 238215).

3.

Nel caso di specie le questioni sollevate dal ricorrente non

tratteggiano un risultato di prova che non esiste, ovvero incontestabilmente
diverso da quello reale, ma attengono esclusivamente alla valutazione che i
giudici del merito hanno effettuato dell’affidabilità delle dichiarazioni rese
dai vari testimoni e dalla persona offesa. Pertanto esse sono palesemente
inammissibili in quanto tendono a provocare un intervento di questa Corte
in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni legittimamente
assunte dai giudici del merito.
4.

È il caso di aggiungere che la sentenza impugnata và

necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti,
di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in
maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della
responsabilità dell’imputato per i reati contestati.

5.

E’ inammissibile anche il secondo motivo in ordine alla richiesta

derubricazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 393 cod. pen. Infatti,
qualora il giudice di primo grado avesse erroneamente qualificato il fatto
come tentata rapina anziché esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è
evidente che si sarebbe trattato di una violazione di legge, che avrebbe
dovuto essere dedotta tempestivamente con i motivi d’appello. Non essendo
stata dedotta non può essere proposta con il ricorso per cassazione, ex art.
606, comma 3 cod. proc. pen. E’ appena il caso di rilevare che, nel merito
tale richiesta è inammissibile in quanto manifestamente infondata, in

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risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato

quanto l’imputato non ha nemmeno indicato il preteso diritto azionabile
mediante ricorso al giudice.
6.

Ugualmente inammissibili sono le censure sollevate con il terzo

motivo in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche e di
mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen. in quanto
tali questioni non sono state devolute con l’atto d’appello.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 11 febbraio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presi

7.

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