Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7317 del 11/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7317 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Minniti Eugenio, nato a Reggio Calabria il 1/1/1962
avverso la sentenza 22/6/2011 della Corte d’appello di Milano, I sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Roberto Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato, l’avv. Camillo Ravagli, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 22/6/2001, la Corte di appello di Milano,

confermava la sentenza del Tribunale di Milano, in data 8/3/2010, che aveva
condannato Minniti Eugenio alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed
C. 1.000,00 di multa per il reato di ricettazione di uno stock di 244 caldaie
provento di furto.

1

Data Udienza: 11/02/2014

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo, e confermava le statuizioni
del primo giudice, ritenendo

accertata la penale responsabilità

dell’imputato in ordine al reato a lui ascritti, ed equa la pena inflitta

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

deduce l’insufficienza e l’illogicità della motivazione.
Al riguardo si duole che la Corte abbia male interpretato il contenuto di
alcune intercettazioni telefoniche agli atti, eccependo che dal tenore delle
conversazioni esaminate non è possibile dedurre la consapevolezza in testa
al Minniti dell’origine illecita delle caldaie trasportate dall’automezzo di cui
era proprietario. Si duole inoltre, della mancata concessione delle
attenuanti generiche e del trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità.

2.

Invero il ricorrente, pur avendo formalmente denunciato il vizio di

difetto di motivazione ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che
costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal
giudice di appello, fondandola su una differente lettura delle conversazioni
intercettate con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove
stesse; e ciò non è consentito in questa sede.
3.

Del resto e’ principio consolidato che in materia di intercettazioni

telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle
conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del
giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in
conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Cass. Sez.
6, Sentenza n. 11794 del 11/02/2013 Ud. (dep. 12/03/2013 ) Rv. 254439;
Sez. 6, Sentenza n. 15396 del 11/12/2007 Ud. (dep. 11/04/2008 ) Rv.
239636; Sez. 6, Sentenza n. 35680 del 10/06/2005 Cc. (dep. 04/10/2005

difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale

) Rv. 232576; Sez. 4, Sentenza n. 40172 del 16/06/2004 Ud. (dep.
13/10/2004 ) Rv. 229568). Non ricorrendo l’ipotesi del travisamento della
prova (con riferimento alle conversazioni intercettate) che non è stata
neppure dedotta, il significato delle intercettazioni telefoniche è una mera
questione di fatto che non può essere oggetto di nuova valutazione in sede
di legittimità.
4.

È il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va

di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in
maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della
responsabilità dell’imputato per il reato contestato.
5.

Parimenti inammissibile è il motivo concernente le non concesse

attenuanti generiche e la misura della pena giacché la motivazione della
impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del primo giudice,
si sottrae ad ogni sindacato per avere adeguatamente richiamato i
precedenti penali dell’imputato – elementi sicuramente rilevanti ex artt. 133
e 62-bis c.p.p. – nonché per le connotazioni di complessiva coerenza dei
suoi contenuti nell’apprezzamento della gravità dei fatti. Né il ricorrente
indica elementi non considerati in positivo decisivi ai fini di una diversa
valutazione.
6.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 11 febbraio 2014
Il Consigli re estensore

Il Presid

necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti,

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