Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7315 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7315 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEBILIO LEONARDO N. IL 19/08/1969
avverso la sentenza n. 2496/2012 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 04/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

2 con

Udito, per la parte civile, l ‘Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 13/11/2013

DEBILIO Leonard, imputato del delitto di cui all’art. 628 cp, tramite il
difensore ricorre per Cassazione avverso la sentenza 4.4.2013 con la quale
la Corte d’appello di Catanzaro lo ha condannato alla pena di anni tre mesi
sei di reclusione e 1333 di multa.
La difesa chiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo:
§1.) ex art. 606 P comma lett. E) cpp, vizio della motivazione perchè la
Corte d’Appello non ha indicato le ragioni poste a fondamento della
condanna, fondando la decisione sulle dichiarazioni della persona offesa che
è caduta in contraddizioni che la Corte d’Appello ha valutato in termini
riduttivi, in particolare quelle riferentesi alla descrizione delle fattezze
fisiche dell’imputato, che non sono coincidenti con le sembianze della
fotografia adoperata dalla polizia giudiziaria per le operazioni di
riconoscimento.
La difesa lamenta inoltre la mancanza di un discorso giustificativo relativo
al trattamento sanzionatorio ai fini della individuazione della pena da
irrogare in concreto.
§2.) ex art. 606 P comma lett. B) cpp violazione dell’art. 628 cp. Il
ricorrente sostiene che il fatto ascritto doveva essere qualificato in termini
di violazione dell’art. 624 bis cp, perchè la violenza esercitata sarebbe stata
rivolta alla “cosa” e non alla “persona”.
§3.) ex art. 606 I^ comma lett. B) cpp, violazione dell’art. 62 bis cp. La
difesa sostiene che dovevano essere riconosciute le attenuanti generiche
posto che l’accusa si fonda sulle dichiarazioni poco precise e coerenti rese
dalla persona offesa e le attenuanti generiche non possono essere escluse per
il solo fatto che l’imputato avrebbe dei precedenti penali.
§4.) ex art. 606 I^ comma lett. B) cpp violazione dell’art. 102 cp; la difesa
sostiene che la dichiarazione di delinquenza abituale statuita dalla Corte
d’Appello mancherebbe del requisito della omogeneità dei reati
precedentemente commessi dall’imputato, sotto il profilo dell’identità della
indole.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
I primi tre motivi di ricorso sono eguali, nel contenuto a quelli proposti in
sede di appello, sui quali la Corte ha dato precisa risposta che non è stata
oggetto di una specifica censura riconducibile nel solco dell’art. 606 P
comma cpp. Di qui deriva che le censure mosse sono inammissibili per
genericità ex art. 581 P comma lett. c) cpp.
La Corte d’Appello infatti, ha esaminato l’atto di ricognizione compiuto
dalla persona e ha correttamente valutato la prova acquisita sotto il profilo
della credibilità della persona offesa. Di quest’ultima la Corte d’Appello ha
messo in evidenza la condizione di “indifferenza” in quanto non risulta
essere portatrice di interessi contrapposti a quelli dell’imputato nei cui
confronti non risulta nutrire motivi di rancore. La Corte d’Appello ha inoltre

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorregte al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Casisa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 13.11.2013

verificato una convergenza probatoria tra quanto dichiarato dalla persona
offesa e quanto è emerso da intercettazioni telefoniche che hanno
confermato la prova della penale responsabilità dell’imputato nella
commissione del reato.
Anche con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto la Corte
d’Appello ha espresso specifica valutazione in ordine agli elementi
differenziali fra il delitto previsto dall’art. 624 bis cp e quello di rapina e ha
esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto corretta la qualificazione del
fatto ascritto al DIBILIO in termini di rapina. Si tratta nella specie di un
apprezzamento della dinamica del fatto e del suo successivo inquadramento
in termini di fattispecie penale. La ricostruzione del fatto attiene ad aspetti
di merito sui quali questa Corte non può estendere il proprio sindacato.
Con riferimento al negato riconoscimento delle attenuanti generiche, la
Corte d’Appello ha preso in considerazione la pericolosità sociale
dell’imputato desunta dalla natura del reato e dai precedenti penali. Anche in
questo caso la valutazione, non sindacabile nel merito, è corretta sul piano
giuridico perché ancorata a precisi parametri individuati dall’art. 133 cp.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Dalla lettura della decisione
impugnata emerge che la difesa dell’imputato ha richiesto la revoca della
dichiarazione di delinquente abituale ex art. 102 cp, e sul punto la Corte
d’Appello ha indicato le sentenze pregresse che costituiscono il
presupposto legale per la suddetta dichiarazione, mettendo in evidenza che
le violazioni commesse e per le quali è intervenuta condanna sono tutte
“della stessa indole”.
In questa sede la difesa, in termini del tutto generici, limitandosi ad un
semplice richiamo della decisione Cass. sez III 16.12.2010 n. 11954,
afferma che gli illeciti per i quali lo imputato sarebbe stato giudicato non
sarebbero della stessa indole. La doglianza è formulata in termini del tutto
generici ed apodittici, ed infatti la difesa non indica neppure la natura dei
precedenti penali dell’imputato e non spiega in termini concreti le ragioni
per le quali sarebbe errata la decisione della Corte d’Appello.
Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il
ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della
somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, così equitativamente
determinata la entità ella sanzione amministrativa da ascriversi all’imputato
ex art. 616 cpp, ravvisandosi nella condotta processuale del ricorrente
estremi di responsabilità.

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