Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7291 del 22/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7291 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Vertinelli Palmo, nato a Cutro (CR), il 19/06/1961,

avverso il decreto del Tribunale di Appello di Reggio Emilia emesso in data 13/04/2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Paola Filippi, pervenute in data
7/07/2015, con cui si chiede la conversione del ricorso come opposizione ex art. 666 cod. proc.
pen., con trasmissione degli atti al Tribunale di Reggio Emilia.

RITENUTO IN FATTO

Con il provvedimento impugnato veniva rigettata l’istanza di revoca del decreto di sequestro
emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 12/01/2015 su istanza del pubblico ministero
presso il citato Tribunale, ritenendo insussistente la preclusione ravvisata dalla difesa
all’adozione di due provvedimenti nei confronti del medesimo soggetto, ed aventi ad oggetto i
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Data Udienza: 22/12/2015

medesimi beni, ferma restando la valutazione della sussistenza dei presupposti dei
provvedimenti stessi all’esito del contraddittorio.

Vertinelli Palmo, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Gaetano Pecorella, ricorre avverso
l’ordinanza in premessa indicata in quanto atto abnorme, evidenziando che in data 04/11/2014
il pubblico ministero preso il Tribunale di Reggio Emilia aveva avanzato proposta di
applicazione di misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del ricorrente, in quanto
indiziato di appartenenza all’associazione mafiosa facente capo a Nicolino Grande Aracri, come

assolto, e dall’ordinanza di custodia cautelare adottata nell’ambito di detto procedimento,
formulando quindi, anche se genericamente, la richiesta ai sensi degli artt. 4 e segg. d.lgs.
159/2011; il Tribunale adottava il decreto in data 12/01/2015 ritenendo la contiguità del
ricorrente agli ambienti malavitosi calabresi, condividendo, quindi, le argomentazioni
concernenti la sussistenza di indizi di appartenenza ad associazione mafiosa e, tuttavia, in
maniera contraddittoria, il sequestro veniva disposto solo per la generica ed abituale dedizione
del ricorrente a traffici delittuosi, ai sensi dell’art. 4, comma1 lett. c) e lett. a), d.lgs.
159/2011; il Tribunale era addivenuto a detto chiarimento a seguito di istanza di revoca del
decreto avanzata sia dalla difesa che dalla D.D.A. di Bologna che, in data 28/01/2015, aveva
presentato analoga richiesta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale,
avanzando contestualmente istanza di revoca del decreto di sequestro del 12/01/2015, in
quanto emessa su proposta di soggetto non legittimato, ciò in quanto la richiesta si basava su
indizi di appartenenza del ricorrente ad associazione mafiosa; il Tribunale di Reggio Emilia
emetteva, quindi, un secondo decreto in data 16/02/2015, con cui confermava il precedente
decreto e disponeva il sequestro degli ulteriori beni come richiesto dalla D.D.A. di Bologna;
detto decreto veniva poi annullato dal Tribunale del Riesame. In data 15/04/2015 veniva poi
fissata udienza relativa ad entrambi i procedimenti di prevenzione, separatamente iscritti, e la
difesa sollecitava nuovamente la revoca del primo decreto di sequestro, chiedendo alla Procura
distrettuale di Bologna di sollevare conflitto positivo di competenza innanzi alla Cassazione,
ottenendo un duplice provvedimento di rigetto, avendo il Tribunale ritenuto legittima la
coesistenza di due provvedimento di sequestro nei confronti del medesimo soggetto ed in
relazione agli stessi beni, essendo diversi i presupposti – pericolosità generica in un caso e
pericolosità qualificata nel secondo – rendendo motivazione del tutto contraddittoria con il
contenuto del primo decreto; all’udienza del 15/04/2015, inoltre, i due procedimenti venivano
separatamente celebrati, con richiesta da parte dei due diversi rappresentanti della pubblica
accusa di chiarimenti. Resterebbe, quindi, violato il principio del ne bis in idem sostanziale, con
preclusione per il Tribunale di Reggio Emilia di provvedere in relazione alla proposta avanzata
dalla D.D.A. di Bologna (Sezioni Unite, sentenza n. 34655 del 28.06.2005).

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desumibile dall’indagine “Scacco matto”, dalla cui accusa peraltro il ricorrente era stato

3. Il P.G. in data 7/07/2015 ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto la
conversione del ricorso in incidente di esecuzione con trasmissione degli atti al Tribunale di
Reggio Emilia, ciò in quanto nel sistema di impugnazione previsto dal d. Igs. 159/2011, che ha
riprodotto la precedente normativa, i provvedimenti di sequestro e dì rigetto della revoca
avanzati nel corso della procedura di prevenzione nei confronti del proposto sono
inoppugnabili, per cui l’unico rimedio proponibile è l’opposizione sotto forma di incidente di

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ritiene la Corte che, pur a fronte di un percorso processuale sicuramente non lineare, come
evidenziato dalla difesa nella ricostruzione della vicenda operata in ricorso, il principio della
tassatività dei mezzi di impugnazione, pacificamente applicabile anche in materia di misure di
prevenzione (Sez. 1, sentenza n. 4001 del 09/0/2014, Rv. 258048), impone di convertire il
ricorso in incidente di esecuzione.
Come noto, costituisce ius receptum il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è
prevista alcuna impugnazione contro il provvedimento del Tribunale che, in materia di misure
di prevenzione, statuisca in tema di sequestro.
Detto principio risulta affermato sin dalla vigenza dell’art. 2 bis, della legge 31 maggio 1965, n.
575, come introdotto dall’art. 14 della legge 13 settembre 1982, n. 646 successive
modificazioni (Sez. 1, sentenza n. 2383 del 19/05/1993, Rv. 195509; Sez. 2, sentenza n. 1254
del 14/02/1997, Rv. 207318; Sez. 1, sentenza n. 41690 del 15/10/2003, Rv.. 226478; Sez. 1,
sentenza n. 34048 del 27/09/2006, Rv. 234802).
In particolare va richiamata Sez. 1, sentenza n. 6372 del 13/11/1997, Rv. 209553, secondo
cui “Avverso il decreto di sequestro disposto dal Tribunale in sede di prevenzione, ai sensi della
legge 31 maggio 1965 n. 575 (disposizioni contro la mafia) non è prevista alcuna forma di
impugnazione, di guisa che, in virtù del principio della tassatività dei mezzi di impugnazione di
cui all’art. 568 comma primo cod. proc. pen., applicabile al procedimento di prevenzione, il
ricorso per cassazione avverso lo stesso è inammissibile, rimanendo, peraltro, all’interessato il
solo rimedio di promuovere un incidente di esecuzione avverso il provvedimento che rifiuta di
revocare il disposto sequestro”, confermata, tra le altre, da Sezione 1, sentenza n. 34048 del
27/09/2006, Rv. 234802, secondo cui “I provvedimenti cautelari di natura patrimoniale,
adottati nel corso di un procedimento di prevenzione a carico di soggetti indiziati di
appartenere ad associazione di tipo mafioso, possono essere contestati, anche dai terzi
intestatari dei beni oggetto dei provvedimenti, mediante opposizione innanzi allo stesso giudice
nelle forme dell’incidente di esecuzione”, nonché da Sez. 1, sentenza n. 17827 del
10/04/2008, Rv. 239855, secondo cui “Contro il provvedimento inoppugnabile di sequestro di
beni che venga disposto nel corso di un procedimento di prevenzione nei confronti di indiziati
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esecuzione.

di appartenenza ad associazione mafiosa è ammessa solo l’opposizione innanzi allo stesso
giudice nelle forme dell’incidente di esecuzione.”
Ancor più di recente lo stesso concetto è stato ribadito da Sez. 5, sentenza n. 41153 del
27/10/2010, Rv. 248893, che ha affermato: “In tema di sequestro di beni nella disponibilità di
indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso (art. 2 ter, comma terzo, legge n. 575
del 1965), l’unico rimedio contro il relativo decreto è l’opposizione, da proporre con la forma
dell’incidente di esecuzione, nella quale va convertito il ricorso per cassazione (art. 568 cod.
proc. pen.), non essendone prevista l’autonoma e immediata impugnazione.”; nonché da Sez.

inoppugnabile di sequestro di beni – disposto nel corso di un procedimento di prevenzione nei
confronti di indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa – è ammessa solo l’opposizione,
innanzi allo stesso giudice, nelle forme dell’incidente di esecuzione.”, ed infine, ancor più di
recente, da Sez. 2, sentenza n. 4400 del 13/01/2015, Rv. 262373, che ha affermato che “In
tema di misure di prevenzione, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del
2011 (cosiddetto ‘codice antimafia’) avverso í provvedimenti di sequestro e di reiezione
dell’istanza di revoca del sequestro – disposti nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza
ad associazione mafiosa – è ammessa solo l’opposizione, innanzi allo stesso giudice, nelle
forme dell’incidente di esecuzione.”
Ne deriva, quindi, che il ricorso proposto va qualificato come opposizione ai sensi dell’art. 666
cod. proc. pen., con trasmissione degli atti al Tribunale di Reggio Emilia per quanto di
competenza, non potendosi ravvisare in alcun modo l’atto abnorme richiamato dalla difesa,
atteso che la possibilità di proporre incidente di esecuzione, contro il cui esito, eventualmente,
proporre poi ricorso per cassazione, impedisce di ravvisare quella situazione si stasi
processuale indispensabile per poter configurare un atto abnorme.

P. Q. M.

Qualificato il ricorso come opposizione ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., dispone la
trasmissione degli atti al Tribunale di Reggio Emilia.
Così deciso in Roma, il 22/12/2015

Il Consigliere estensore

Il Pesiden

2, sentenza n. 3624 del 18/01/2011, Rv. 249271, secondo cui “Avverso il provvedimento

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