Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7291 del 12/12/2013


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Penale Ord. Sez. 1 Num. 7291 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: VECCHIO MASSIMO

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sul ricorso proposto da:
MARTINO FRANCESCO N. IL 05/07/1959
DEL VILLANO ROMOLO N. IL 07/04/1961
avverso l’ordinanza n. 1822/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
26/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;
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Data Udienza: 12/12/2013

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Corte suprema di cassazione — Sezione Prima Penale
Ricorso n. 36.552/2013 R.G. — Udienza del 12 dicembre 2013

– il Pubblico Ministero in persona del dott. Francesco Mauro
Iacoviello, sostituto procuratore generale della Repubblica
presso questa Corte suprema di cassazione, il quale ha concluso
per il rigetto dei ricorsi con condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
– i difensori del ricorrente Martino, avvocati Paolo Caterino e
Sergio Cola, i quali hanno concluso per l’accoglimento del
ricorso.

Rileva
1. – Con ordinanza, deliberata il 26 giugno 2013 e depositata il
26 luglio 2013, il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di
giudice distrettuale nei procedimenti incidentali di appello
delle ordinanze in materia di misure cautelari personali, in
accoglimento del gravame del Pubblico Ministero avverso
l’ordinanza del giudice delle indagini preliminari del Tribunale
ordinario di quella stessa sede, 18 febbraio 2013, di rigetto in
partibus de qui,bus delle richieste di instaurazione della
coercizione intramuraria, ha applicato la custodia cautelare in
carcere a carico di Francesco Martino, indagato per la
compartecipazione «con condotta allo stato perdurante» nella
associazione di tipo mafioso «denominata clan dei Casalesi» e,
precisamente, nel gruppo di Grazzanise e zone limitrofe
«facente capo a Cacciapuoti Alfondo e Tucci Gioacchino» (capo 1
della rubrica), e a carico di Romolo Del Villano, in relazione
alla estorsione aggravata, commessa in danno di Pasquale
Attianese in Santa Maria La Fossa, nel dicembre 2010 (capo 6
ibidem).
Il Collegio ha motivato quanto segue.

1.1 – Per quanto concerne Martino erroneamente il giudice
delle indagini preliminari ha ritenuto che l’indagato fosse

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Uditi, altresì, in camera di consiglio:

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Ricorso n. 36.552/2013 R.G. — Udienza del 12 dicembre 2013

Premesso che le dichiarazioni del Raimondo sono state
«ritenute attendibili in diversi consessi giudiziari», l’ appellato è
gravato anche dalle dichiarazioni dell’ulteriore collaborante
Salvatore Venosa, autore di identificazione fotografica, il quale
ha collocato l’indagato «a pieno titolo nel gruppo criminale
facente capo a Zagaria».
Il rapporto di «stretta frequentazione diretta» tra Raimondo e
Martino esclude che dichiarazioni del primo possano reputarsi
generiche.
Concorrono, infine, a suffragare l’accertamento indiziario dei
gravi indizi di colpevolezza, le risultanze della intercettazione
telefonica del 28 gennaio 2008, tra Martino e Raimondo, alla
stregua dell’ «inequivocabile tenore delle frasi percepite in
ambientale prima del breve colloquio», emergendo, «grazie alle
parole inequivoche provenienti della consorte dello stesso Martino
[..] il rapporto di subordinazione tra [costui] e il Cacciapuoti
Alfonso».
1.2 – A carico di Romolo Del Villano la dimostrazione della
ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza è offerta dalle
intercettazioni della conversazioni telefoniche colla persona
offesa, in particolare, dalle intercettazioni del 22 e del 29
dicembre 2010 (oggetto di citazioni testuali), contenenti la
formulazione della richiesta estorsiva, sotto forma di regalia
natalizia.
2. – Entrambi gl’indagati hanno proposto ricorso per
cassazione: Martino col ministero dei difensori di fiducia,
avvocati Paolo Caterino e Sergio Cola, mediante atto recante
la data del 6 agosto 2013, depositato quello stesso giorno, e Del
Villano, personalmente, mediante atto recante la data del 23
settembre 2013, depositato il 24 settembre 2013.

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attinto dalle sole dichiarazioni di reità del collaborante Paolo
Raimondo e che la propalazione fosse generica.

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3.1 – Con il primo motivo i difensori denunziano, ai sensi
dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione – anche sotto il profilo della formale violazione
dell’articolo 192, comma 3, cod. proc. pen. – in ordine alla
attendibilità dei collaboranti, e deducono: difetta la
convergenza tra le propalazioni dei collaboranti; Raimondo
colloca il ricorrente nel gruppo di Cacciapuoti, operante a
Grazzanise, a Capua e a Santa Maria La Fossa; mentre Venosa
prospetta l’affiliazione di Martino al gruppo di Zagaria,
radicato in Casa! di Principe; manca inoltre la doverosa
valutazione della attendibilità del Venosa; affatto illogico è
l’assunto che il rilievo della genericità delle dichiarazioni di
Raimondo (stigmatizzata dal primo giudice) sia superabile con
la considerazione dei rapporti di frequentazione tra l’indagato
e l’accusatore; né costui ha indicato fatti ed elementi specifici,
rivelatori dalla compartecipazione associativa dell’indagato; il
dichiarante, infatti, si è limitato ad asserire che Martino era
affiliato alla consorteria camorristica, che teneva «i rapporti
con Casale» e che soleva «accompagnare le persone che
Cacciapuoti doveva incontrare per fini non meglio noti»;
circa,
infine, la intercettazione (dal primo giudice negativamente
apprezzata sul piano indiziario per la episodicità della
circostanza) il Collegio di merito non ha dato conto del
contenuto (non illustrato) delle frasi compromettenti e della
loro valenza indiziante.
3.2 – Con il secondo motivo del ricorso i difensori denunziano,
ai sensi dell’ articolo 606, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.
inosservanza dell’articolo 597, comma 1, cod. proc. pen. in
relazione all’articolo 310 cod. proc. peri., eccependo che la
«statuizione» del primo giudice, circa la «inattendibilità
intrinseca» del collaborante Raimondo non aveva formato

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3. – Martino ha sviluppato due motivi di impugnazione.

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oggetto del gravame del Pubblico Ministero, sicché sul punto si
sarebbe consolidato il «giudicato cautelare», preclusivo delle
difformi valutazioni del giudice dell’appello.
4. – Del Villano ha sviluppato tre motivi di impugnazione.
denunzia, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera c), cod.
proc. pen., inosservanza di norme processuali, stabilite a pena
di inutilizzabilità, in relazione all’articolo 266 cod. proc. pen.
con riferimento all’articolo 271 cod. proc. pen., eccependo che
in difetto della flagranza di reato – nessun accenno in
proposito è contenuto nei decreti autorizzativi – sono
inutilizzabili le intercettazioni delle conversazioni tra presenti.

4.2 – Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente
denunzia, promiscuamente, inosservanza o erronea
applicazione della legge penale o di altre norme di cui si deve
tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione
agli articoli 110, 629 cod. pen. e 7 decreto legge 22 maggio
1991, n.152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203,
nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione,
anche sotto il profilo della’ formale violazione degli articoli 273
e 292 cod. proc. pen., asserendo che «la intercettazione riportata
non va oltre i rapporti di carattere esclusivamente personale e
familiare».

4.3 – Col terzo motivo di impugnazione il ricorrente denunzia,
ancora, violazione degli articoli 273 e 292 cod. proc. pen.,
mancanza e manifesta illogicità della motivazione «con
riferimento al capo T art. 629 cod. pen.».
Il ricorrente sostiene: privo di pregio è il riferimento alle
intercettazioni; non è indicata «nessuna prova della effettiva
attività di estorsione»; le conversazioni intercettate «sono di
contenuto contrario»; il Tribunale non ha considerato «la
conversazione favorevole all’imputato» (non meglio indicata).

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4.1 – Col primo motivo di impugnazione il ricorrente,

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5. – Il ricorso di Martino merita, nei termini e nei limiti che
seguono, accoglimento.

A differenza del ricorso per cassazione che circoscrive
rigorosamente la cognizione del giudice ad quem nel limitato
ambito «dei motivi proposti» a’ termini dell’articolo 609,
comma 1, cod. proc. pen., l’appello – nella specie il gravame
del procedimento incidentale de libertate cui si applicano «le
regole generali [dell’omologo] mezzo di gravame previste dagli
artt. 593 – 605 cod. proc. pen. per il giudizio di cognizione»
(Casse, Sez. 6, n. 3088 del 04/07/2000 – dep. 06/09/2000, Conti
GG, Rv. 217715) – attribuisce «al giudice di secondo grado la
cognizione del procedimento» in relazione «ai punti della
decisione ai quali di riferiscono i motivi», secondo quanto
dispone l’articolo 597, comma 1, cod. proc. pen.
Orbene, nella specie la questione della attendibilità intrinseca
del collaborante Raimondo, inerendo al punto della gravità
indiziaria, ben poteva – e doveva – essere conosciuta dal
giudice dell’appello, in quanto il gravame del Pubblico
Ministero (colla censura per la mancata considerazione delle
dichiarazioni dell’ulteriore collaborante Venosa), si riferiva al
medesimo, ridetto punto della decisione (cfr. in tema di
devoluzione del gravame del Pubblico Ministero in punto di
esigenze cautelari: Cass., Sez. 1, n. 19992 del 29/04/2010 – dep.
26/05/2010, Brega Massone, Rv. 247615).
5.2 – La decisione riformatrice del giudice del gravame risulta,
tuttavia, inficiata dal vizio della motivazione.
Manifestamente illogico è, innanzi tutto l’argomento addotto
per superare il rilievo del primo giudice circa la genericità della
chiamata in correità del collaborante Raimondo: la
considerazione dei rapporti di «stretta frequentazione»
(superfluamente qualificata «diretta») è affatto inconferente e

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5.1 – Deve essere disatteso il secondo motivo di impugnazione.

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Il Collegio ha, poi, omesso di dar conto della ritenuta
convergenza tra le dichiarazioni del Raimondo e quelle del
Venosa in ordine alla specifica condotta associativa addebitata
all’indagato.
E, infine, il Tribunale ha trascurato di indicare gli elementi
fattuali, desunti dalla intercettazione del 28 gennaio 2008 e
ritenuti idonei a suffragare la conferma della attendibilità della
fonti orali, risultando affatto generici il riferimento alP
«inequivocabile tenore delle frasi percepite in ambientale»
(non
esplicitate) e il desunto rapporto di subordinazione tra
l’indagato e Cacciapuoti.
6. – Il ricorso di Del Villano è inammissibile.

6.1 – Il primo motivo di ricorso colla censura, concernente la
supposta inutilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni
tra presenti, non appare pertinente rispetto al provvedimento
impugnato fondato sull’apprezzamento di intercettazioni di
conversazioni telefoniche.
6.2 – Le deduzioni e le doglianze contenute nei residui motivi
di ricorso sono palesemente generiche.
6.3 – Conclusivamente tutti e tre i motivi della impugnazione
sono privi del requisito della specificità, prescritto dall’articolo
581, comma 1, lettra c), cod. proc. pen. e sanzionato, a pena
di inammissibilità, dall’articolo 591, comma 1, lettera c), cod.
proc. pen.
7. – Conseguono l’annullamento della ordinanza impugnata nei
confronti del Martino; il rinvio per nuovo esame (della relativa

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palesemente elusiva del negativo scrutinio della propalazione.
Semmai la «stretta frequentazione» tra l’accusatore e l’indagato
accredita l’aspettativa di indicazioni ancor più specifiche e
dettagliate, rispetto a fonti che siffatta «stretta frequentazione»
non abbiano intrattenuta.

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posizione) al Tribunale di Napoli; la declaratoria della
inammissibilità del ricorso di Del Villano; la condanna di
costui al pagamento delle spese processuali, nonché — valutato
il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di
colpa nella proposizione della impugnazione — al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte
determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in
dispositivo.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di rito ai sensi
dell’ articolo 28 del regolamento per l’esecuzione del codice di
procedura penale.

P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di Martino
Francesco e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Dichiara inammissibile il ricorso di Del Villano Romolo che
condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento
della somma di euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.
Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 28
reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, addì 12 dicembre 2013.

Ricorso n. 36.552/2013 R.G. — Udienza del 12 dicembre 2013

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