Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7287 del 15/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7287 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMATI MARCO N. IL 03/03/1980
avverso l’ordinanza n. 2624/2014 TRIBUNALE di FIRENZE, del
17/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 15/12/2015

- Lette le conclusioni del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di
Cassazione, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Firenze, quale Giudice dell’Esecuzione, decidendo in sede di
rinvio disposto da questa Corte – ha rigettato l’istanza avanzata da Amati Marco
rivolta ad ottenere il riconoscimento della continuazione tra le seguenti sentenze:

rapina e lesioni personali (reato commesso il 12/12/2008);
b) sentenza del Tribunale di Firenze del 7/6/2011, che lo ha condannato per
evasione dagli arresti domiciliari (reato commesso il 14/8/2009);
c) sentenza del Tribunale di Firenze del 26/6/2012, che lo ha condannato per
resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e rifiuto di indicazione delle
proprie generalità (reati commessi il 7/3/2012);
d) sentenza della Corte di appello di Firenze del 30/10/2012, che lo ha
condannato per violenza privata (reato commesso il 21/9/2010);
e) sentenza del Tribunale di Firenze del 30/10/2012, che lo ha condannato per la
cessione di un flacone di metadone di 20 cod. civ. (art. 73 DRR 309/90: reato
commesso il 15/3/2012).
A giudizio del Tribunale i reato suddetti sono riconducibili non già ad un
medesimo disegno criminoso, ma ad “abitualità criminosa e di scelte di vita
ispirate alla sistematica e contingente consumazione di reati”.

2. Ha presentato ricorso per Cassazione il difensore del condannato lamentando
plurime violazioni di legge e vizio di motivazione con riguardo alla esclusione di
un nesso tra lo stato di tossicodipendenza di Amati e i reati per cui è stato
condannato. Ciò è avvenuto – sostiene – perché il Tribunale si è fermato
all’esame del capo d’imputazione e non è passato all’esame della motivazione
delle sentenze – da cui si evince, aggiunge, che i reati erano stati commessi
allorché il prevenuto era sotto l’effetto di stupefacenti e/o di alcol – e perché non
ha tenuto conto dei procedimenti pendenti, i quali rendono evidente che, nel
periodo tra il 2008 e il 2012 (quello interessato dalle sentenze per cui è stato
chiesto il riconoscimento della continuazione) Amati non ha mai smesso di
commettere reati, a “dimostrazione della effettiva esistenza di un unico e
continuativo disegno criminoso, un ben più ampio programma, sicuramente non
circoscritto alle sole cinque sentenze già irrevocabili”. Tanto è avvenuto anche
perché il Tribunale ha omesso l’analisi di tre sentenze su cinque; analisi che, se
fosse stata completa, avrebbe evidenziato che i reati erano stati commessi – a
parte uno – nello stesso contesto territoriale (a Firenze) e con sostanziale
2

a) sentenza del Tribunale di Bologna del 19/12/2008, che lo ha condannato per

continuità. Lamenta, poi, che il Tribunale abbia attribuito rilievo alla
disomogeneità dei reati, laddove fin dal 1974 è stata estesa la disciplina del
reato continuato alle violazioni concernenti disposizioni di legge eterogenee e che
sia stato travisato il concetto di continuazione criminosa, che ha un fondamento
prevalentemente psicologico e non è incompatibile con “programmate abitudini
di vita”, allorché “il soggetto agisce nella consapevolezza della reiterazione e
della previsione futura della stessa”.

Il ricorso è infondato.
In tema di reato continuato, la mera inclinazione a reiterare violazioni della
stessa specie o di specie diversa, anche se dovuta ad una determinata scelta di
vita, o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo
secondo contingenti opportunità, non integra di per sé l’unitaria e anticipata
ideazione di più condotte costituenti illecito penale, già insieme presenti alla
mente del reo, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, secondo comma,
cod. pen.. Né l’omogeneità delle violazioni e la contiguità temporale di alcune di
esse, seppure indicative di una scelta delinquenziale, consentono, da sole, di
ritenere che i reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un’unica
deliberazione di fondo. Neppure lo stato di tossicodipendenza consente di
ricondurre ad unicità tutti i reati commessi dal soggetto che ne è affetto,
dovendo pur sempre trattarsi di reati collegati e dipendenti da tale stato e
preceduti da una deliberazione unitaria, anche se generica. Non può accogliersi,
pertanto, il criterio, sotteso – ma non esplicitato – al ragionamento del
ricorrente, secondo il quale la previsione normativa del parametro di valutazione
dello stato di tossicodipendenza, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., comma 1,
stabilirebbe ex auctoritate una connessione logica rispetto alla probabilità del
disegno criminoso relativamente ai reati che servono all’approvvigionamento di
droga o, comunque, di danaro per acquistarla. Tanto comporterebbe il
riconoscimento di una vera e propria presunzione iuris tantum che, invece, è
pacificamente da escludere.
La continuazione, quindi, deve formare oggetto di positivo accertamento
anche per il tossicodipendente, specie in executivis, in quanto il relativo
riconoscimento incide sulla certezza del giudicato in relazione al profilo saliente
della irrogazione della pena. E questa indagine, svolta dal Tribunale fiorentino
sulla base della tipologia delle violazioni, della distanza temporale tra i fatti di
reato, dell’offesa all’interesse protetto, dei motivi del delinquere e delle modalità
di esecuzione dei reati, non si presta ad alcuna censura, per la sua intrinseca
logicità e l’applicazione rigorosa di canoni perfettamente corrispondenti ai

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CONSIDERATO IN DIRITTO

principi stabiliti – per il riconoscimento della continuazione – in plurime sentenze
di questa Corte. Tale conclusione non è nemmeno scalfita dalle critiche difensive,
giacché l’aver commesso i reati sotto l’effetto di stupefacenti non rimanda in
alcuna maniera alla continuazione criminosa, non avendo alcuna attinenza con la
deliberazione che deve precedere la commissione dei reati, mentre la persistenza
nel crimine in un considerevole arco di tempo (almeno cinque anni) – valorizzata
dal ricorrente – rimanda, giusto il rilievo del giudice di merito, ad una “abitualità
criminosa” – di per sé meritevole di maggior pena, per la pervicacia criminale

rigore sanzionatorio a carico di chi si pone – in un unico contesto deliberativo, ma
violando più disposizioni – contro la legge penale. Né basta la “consapevolezza
della reiterazione” o l’astratta previsione futura di nuove violazioni a
ricomprendere sotto un unico manto protettore le violazioni effettivamente poste
in essere dal soggetto, giacché esse sono rivelatrici, per quanto è già stato detto,
di una personalità proclive a delinquere e non già di “disegno criminoso”
rilevante ex art. 81, cpv, cod. pen..
Consegue a tanto che il ricorso, seppur non inammissibile, risulta infondato
per le ragioni fin qui esposte e va rigettato, con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/12/2015

che esprime – e non già all’istituto della continuazione, pensato per attenuare il

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