Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7267 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7267 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1)
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3)
4)
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6)
7)
8)

Granata Luigi
Granata Antonio
Di Francia Giuseppina
Di Francia Pietro
Palumbo Luigino
Masullo
Eraldo
Rispoli
Maria Teresa
Trinchillo Salvatore

nato il 26.02.1966
nato il 6.07.1940
nata l’ 8.02.1962
nato il 22.04.1934
nato il 12.09.1982
nato il 19.09.1855
nata il 29.10.1960
nato il 14.02.1973

avverso l’ordinanza del 25.7.2013
del Tribunale di Napoli
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Angelo Di Popolo, che
ha chiesto rigettarsi i ricorsi
sentiti i difensori, avv. Giuseppe Granata, avv. Francesco
Pio Porta, avv.Vincenzo Dostuni, aw.Enrico Coppola in sost.
avv.Luigi Vallefuoco, che hanno concluso per l’accoglimento
dei rispettivi ricorsi

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Data Udienza: 09/01/2014

1. Con ordinanza in data 25.7.2013 il Tribunale di Napoli confermava, rigettando la richiesta di
riesame, il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Napoli, avente ad
oggetto gli stabilimenti balneari gestiti da Granata Luigi, Granata Antonio, Di Francia
Giuseppina, Di Francia Pietro, Palumbo Luigino, Masullo Eraldo, Rispoli Maria Teresa, Trinchillo
Salvatore, tutti indagati per il reato di cui agli artt.110 c.p., 54 e 1161 cod.nav. per aver,
nell’ambito dell’attività di ciascun lido, occupato, in assenza della necessaria concessione
demaniale e quindi arbitrariamente, lo spazio del demanio marittimo della fascia costiera del
Comune di Giugliano.
Premetteva il Tribunale che il provvedimento di sequestro era stato disposto a seguito degli
accertamenti dei CC di Varcaturo e dei sopralluoghi di funzionari dell’Agenzia del demanio, da
cui era emerso che gli stabilimenti balneari gestiti dai ricorrenti occupavano suolo demaniale
in parte senza titolo ed in parte con titolo scaduto.
Assumeva, poi, il Tribunale che la direttiva 1212/2006 n.123-06/123/CE (“direttiva
Bolkesteinn, la cui finalità è quella di eliminare nel regime delle concessioni demaniali il
cd.diritto di insistenza in favore del libero mercato e della libera concorrenza, è sotto tale
profilo di immediata applicazione negli Stati membri; è infatti orientamento costante che le
direttive comunitarie hanno efficacia diretta negli ordinamenti nazionali, quando pongono
obblighi di non fare, anche nelle more del recepimento delle direttive medesime.
E, nel caso di specie, rientrava certamente tra detti obblighi di non fare il divieto della
procedura di rinnovo automatico delle concessioni.
Nonostante tale direttiva ed in costanza della procedura di infrazione n.2008/4908, interveniva
l’arti. comma 18 D.L. 194/2009, conv. in L.25/2010, che prorogava il termine di durata delle
concessioni in essere al 31.12.2015.
Successivamente la L.15.12.2011 n. 217, nel rispetto del regime di libera concorrenza, con la
finalità espressa di chiudere la procedura di infrazione (chiusa poi in data 27.2.2012)
abrogava espressamente il comma 2 dell’arti L.494/93 in ordine al rinnovo automatico delle
concessioni demaniali marittime.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che le concessioni erano state rilasciate ai ricorrenti
nell’anno 1998 e poi automaticamente prorogate alla scadenza per quattro anni e poi per sei
anni. Tali concessioni non potevano, però, essere prorogate automaticamente, con meri atti
ricognitivi, ai sensi della L.494/93, per effetto della immediata operatività della direttiva
comunitaria in ordine al divieto del cd.diritto di insistenza.
Trattandosi di concessioni non validamente in essere, perché prorogate illegittimamente, esse
non potevano ricadere nella disciplina della L.25/2010 (che riguardava solo le concessioni
validamente ed efficacemente in essere).
Né le concessioni in questione potevano ritenersi disciplinate dalla L.25/2010 in forza del
principio tempus regit actum: a prescindere dal profilo di incostituzionalità del rinnovo
automatico delle concessioni demaniali, per effetto del rinnovo automatico previsto dalla
L.494/93 (come modificata dalla L.88/01), alla data del 31.12.2007 esse erano scadute, per
cui ostava al rinnovo automatico la direttiva CE del 2006.
Sicchè tra il 31.12.2007 ed il momento dell’entrata in vigore della L.25/2010 non era possibile
alcun rinnovo o proroga automatici per effetto della immediata applicazione della Direttiva CE.
Dopo avere esaminato la posizione dei singoli stabilimenti ed evidenziato anche le discrasie in
ordine alle superfici demaniali occupate, evidenziava il Tribunale che non era invocabile la
buona fede. L’errore di diritto scusabile è configurabile soltanto se incolpevole per la sua
inevitabilità e, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n.8154 del
18.7.1994, i soggetti che svolgono professionalmente una determinata attività rispondono
dell’illecito anche per culpa levis. E, nel caso di specie, degli operatori professionali nel settore
non potevano ignorare che, per effetto della Direttiva comunitaria, alla scadenza del
31.12.2007, le concessioni non potevano essere prorogate automaticamente.
Sussisteva, poi, il periculum in mora, dovendosi impedire la libera disponibilità di stabilimenti
occupanti abusivamente aree demaniali, e quindi la protrazione della permanenza del reato di
cui all’art.1161 cod.navig.

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RITENUTO IN FATTO

3. Ricorre per cassazione Palumbo Luigino, a mezzo del difensore, denunciando l’inosservanza
ed erronea applicazione dell’adii comma 1 lett.a) e comma 2 L.217/2011 in ordine alla
validità delle concessioni; l’inosservanza ed erronea applicazione dell’ad. 649 c.p.p. e l’omessa
motivazione in ordine all’esistenza di un precedente giudicato assolutorio nel merito, ed infine
l’erronea applicazione dell’art.1161 cod.nav. e l’omessa motivazione in ordine alla non
configurabilità del reato quanto meno con riferimento all’elemento psicologico.
Il ricorrente è titolare di un’attività ricettiva turistica, denominata “Lido Sabbia d’Argento,
avviata dal genitore, da molti anni, in forza di legittimi titoli concessori rinnovati con la
concessione n.134 del 1998.
Secondo il Tribunale, essendo scadute per effetto della legge 88/2001 le precedenti
concessioni alla data del 31.12.1997, il loro rinnovo era impedito dalla introduzione della
Direttiva della Comunità Europea del 2006. Le conclusioni cui perviene il Tribunale sono frutto
di un’erronea interpretazione della normativa in materia.
L’arti della L.26.2.2010 n.25, non abrogata, convertendo in legge il D.L.194/2009, ha
stabilito il termine di durata delle concessioni di beni demaniali con finalità turistico- ricreative,
prorogandolo per quelle in essere fino al 31.12.2015: l’art.34 duodecies del D.L. 18.10.2012
n.179, conv. nella L.217/2012, a sua volta, ha esteso il suddetto termine al 31.12.2020. La
normativa in questione, da un lato, è mossa dall’esigenza di uniformarsi alle direttive europee
e, dall’altro, di prevedere un “periodo cuscinetto” per tutelare gli operatori che hanno investito
nel settore.

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2. Ricorrono per cassazione Granata Luigi, Rispoli Maria Teresa, Di Francia Giuseppina, Di
Francia Pietro, a mezzo del difensore, denunciando, dopo una premessa in fatto, la violazione
di legge in relazione alla inosservanza ed erronea applicazione della L.25/2010.
Il Tribunale, con motivazione ripetitiva di quella posta a base del provvedimento di sequestro,
pur riconoscendo che è stata disposta la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al
31.12.2020, ha ritenuto inapplicabile la disciplina normativa ai ricorrenti per non essere
legittime le concessioni di cui essi erano già in possesso.
Secondo il Tribunale la normativa di cui alla L.25/2010 troverebbe applicazione solo per le
nuove concessioni e non per quelle oggetto di proroghe (quando la normativa non lo
consentiva più). Tale interpretazione è erronea perché contrastante con la lettera e la ratio
della norma.
I titoli in possesso dei ricorrenti erano validi ed efficaci e quindi debbono intendersi prorogati
fino al 31.12.2020. Con circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n.6105 del
6.5.2010 è stato precisato che la proroga è automatica senza necessità di titoli formali.
Del resto il Tribunale, e già prima il GIP, nell’affermare che le precedenti proroghe erano
illegittime perché in contrasto con il diritto comunitario, non spiegano perché debba esserci
una disparità di trattamento tra Comuni che abbiano rilasciato titoli formali di rinnovo e
Comuni che, invece, come nel caso di specie, abbiano riconosciuto la validità del titolo
originario ed inteso che esso si intendeva implicitamente prorogato ex lege.
Irrilevante è poi il richiamo alle situazioni specifiche di ogni singolo stabilimento balneare in
riferimento ai pregressi abusi edilizi, essendo i ricorrenti indagati solo per violazione
dell’art.1161 del cod.nav. (sulle violazioni edilizie sono già intervenute sentenze, molte delle
quali favorevoli).
Inconferente è altresì la ritenuta necessità di una richiesta di rinnovo della concessione da
parte degli operatori; costoro hanno invero più volte richiesto siffatto rinnovo, pagando i
canoni, e diffidando anche il Comune.
Rispoli Maria Teresa, denuncia altresì la violazione di legge ed il vizio di motivazione in
relazione all’art.1161 Cod. Nav.
Dagli atti risulta che per la struttura ricettiva denominata Lido Hawai vi è un valido titolo,
rappresentato da un documento denominato “Atto di riconoscimento del debito”, con il quale
in data 5.11.2007 i titolari, all’epoca, della struttura si impegnavano a pagare i canoni e
l’Agenzia del Demanio riconosceva la legittimità del possesso delle aree pur essendo stato il
titolo rilasciato da soggetto incompetente (Regione Campania).
Lo stesso Comune di Giugliano ha riconosciuto la legittimità della detenzione, rilasciando titoli
concessori annuali per gli anni 2006, 2007 e 2008, ricevendo il pagamento dei canoni.
L’area demaniale è, quindi, legittimamente occupata.

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4. Propone ricorso per cassazione Masullo Eraldo, a mezzo del difensore, denunciando la
violazione di legge in relazione al D.L. 194/2009, conv. in L.25/2010, disp. sulla
legge in generale (principio di irretroattività), agli artt.42 c.p., 54 e 1161 cod.nav.
Il Tribunale, nell’affermare che la L.494/1993 (che prevedeva un rinnovo automatico di sei
anni in sei anni alla scadenza delle concessioni demaniali) era in contrasto con le direttive
comunitarie, ha trascurato la normativa di cui alla L.25/2010, che ha previsto il rinnovo ope
legis fino al 31.12.2015. Il Tribunale, erroneamente, distingue tra concessioni validamente in
essere (cioè quelle nuove) e quelle oggetto di proroghe automatiche, dal momento che la
normativa non prevede alcuna discrezionalità.
Inoltre non è dato rinvenire alcun elemento di colpa da parte del ricorrente per non aver
chiesto una nuova concessione, dal momento che nell’anno 2009 il Comune di Giugliano
aveva avallato la legittima occupazione del demanio ed inviato successivamente l’ordine di
riscossione dei canoni. La sentenza del Consiglio di Stato del 12.7.2012, valorizzata dal
Tribunale, non è applicabile al caso di specie.
L’interpretazione fornita dal Tribunale comporterebbe la illegittima retroattiva abrogazione
del D.L.400/93; né è sostenibile che la disapplicazione possa addirittura travolgere atti
amministrativi validamente emessi ed ancora efficaci in virtù della normativa successivamente
emanata nel 2009 e 2012.
5. Ricorre per cassazione Trinchillo Salvatore, a mezzo del difensore, denunciando la
violazione degli artt.323 e ss. c.p.p. in relazione agli artt.321 e ss. c.p.p., 110 c.p., 54 e 1161
cod nav.
Il Tribunale non prende in esame i rilievi difensivi, ed in particolare il parere pro ventate del
Prof.Palma, in violazione dell’art.309 co.9 c.p.p., per cui già sotto tale profilo l’ordinanza
impugnata va annullata.
Il Trinchillo è titolare di una concessione demaniale rilasciata ex D.L.400/93.
Secondo il GIP ed il Tribunale, a seguito dell’abrogazione dell’arti comma 2 D.L.400/93, le
proroghe delle concessioni sarebbero illegittime con efficacia ex tunc ai sensi della L.217/2011,
non trovando applicazione il D.L. 194/09 riguardante le concessioni demaniali rilasciate dal
2011 in poi. L’interpretazione in questione è opinabile e peraltro non tiene conto della
emissione di provvedimenti amministrativi per ottenere il pagamento dei canoni.
Nell’anno 2011, per uscire dalla procedura di infrazione, lo Stato italiano abrogò la normativa
che consentiva la proroga automatica delle concessioni demaniali. In precedenza, però, la
L.194/2009 aveva stabilito che tutte le concessioni in essere erano prorogate al 2015 (poi
prorogate al 2020).
Il Tribunale assume che le concessioni prorogate dovevano ritenersi prive dei requisiti di cui
alla direttiva Bolkestein (che lo stesso Tribunale ritiene in buona parte non applicabile); non
tiene conto però che l’abrogazione della L.400/93 non determinava automaticamente la
disapplicazione della L.217.
Né può attribuirsi al gestore degli stabilimenti l’inerzia per non aver formulato richiesta di
proroga non prevista dalla norma (il giudice in tal modo opera una non consentita

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Secondo l’interpretazione data dal Tribunale, stante l’immediata operatività delle direttive
comunitarie e la conseguente disapplicazione da parte del Giudice penale della normativa
interna (in particolare le L.25/2010 e 217/2011), si determinerebbe un vuoto normativo nella
materia delle concessioni demaniali relative ad un settore nevralgico dell’economia.
Peraltro l’introduzione della L.217/2011 non ha determinato l’avvio di procedure di infrazione
per cui, anche sotto tale profilo, non è sostenibile la tesi della disapplicazione del regime
transitorio.
Il Tribunale ha poi omesso completamente di motivare in ordine all’eccepita improcedibilità
dell’azione penale per l’esistenza di un precedente giudicato.
Con sentenze del 16.4.2009 e 17.5.2010 Palumbo Agostino, deceduto, padre del ricorrente,
titolare delle concessioni relative al “Lido Sabbia d’Argento”, veniva assolto dal reato
permanente di occupazione di beni demaniali ex artt.1161 cod.nav. (trattandosi di
contestazione aperta lla permanenza cessa con la sentenza di primo grado).
Il Tribunale, infine, non ha tenuto conto che il reato non era configurabile sotto il profilo
soggettivo avendo il ricorrente fatto affidamento su atti formali della P.A. ed avendo
regolarmente corrisposto i canoni.

interpolazione della norma). Né tanto meno può sostenersi che non vi era alcuna difficoltà
interpretativa, dal momento che la Direzione Generale per i Porti del Ministero delle
Infrastrutture continua a ribadire la fondatezza della tesi dei concessionari.
Sotto il profilo soggettivo, la serie di provvedimenti legislativi amministrativi emessi escludono
ogni consapevolezza di una presunta illegittima occupazione.
Il sequestro, infine, è illegittimo non essendo stato espletato alcun accertamento in ordine alle
aree sequestrate e mancando una richiesta specifica del P.M. in ordine alle particelle da
sottoporre a sequestro.

1. I ricorsi sono infondati.
2. Ad evitare inutili ripetizioni le doglianze dei ricorrenti, in gran parte comuni, vanno
esaminate congiuntamente.
Tali doglianze riguardano, invero, essenzialmente il problema della proroga automatica delle
concessioni demaniali in forza della normativa interna, succedutasi nel tempo, alla luce della
Direttiva n.2006/123/CE, nonché la buona fede dei ricorrenti che avevano fatto affidamento
sulla proroga delle concessioni, pagando anche i canoni.
Questa Corte si è già ripetutamente pronunciata su tale problematica (cfr. sent. sez. 3,
n.33170 del 9.4.2013; n. 21158 del 2.5.2013; n. 32966 del 2.5.2013), per cui il Collegio, non
risultando prospettati nuovi elementi, non ritiene di discostarsi dai principi affermati con dette
pronunce.
3. L’arti, comma 2, del decreto-legge n. 400 del 1993, convertito nella L. n. 494/1993, poi
modif. dall’art. 10, comma 1, della legge n. 88 del 2001 (norma abrogata dall’art. 11, comma
1, della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010), stabiliva che le
concessioni di beni demaniali marittimi «di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o
dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla
scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni
scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’art. 42 del codice della navigazione. Le disposizioni
del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive
circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84».
L’abrogazione, come espressamente chiarito dalla legge n. 217/2011, si è resa necessaria per
chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di
usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari,
consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare-ricreativa. In particolare
l’instaurazione della procedura d’infrazione e la conseguente abrogazione della norma
derivavano da un contrasto della normativa interna con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte
in cui, con l’art. 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione, oltre che con i
principi del Trattato in tema di concorrenza e di libertà di stabilimento.
Mentre era ancora in corso la procedura di infrazione, interveniva il d.l. n. 194 del 2009, art. 1,
comma 18, che prorogava i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi
con finalità turistico-ricreative prima al 31.12.2005 e, successivamente, con le modifiche
apportate dal D.L. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, al
31.12.2020. Come rilevato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 213 del 2011), il
menzionato d.l. n. 194 del 2009, art. 1, comma 18, ha «carattere transitorio in attesa della
revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da
realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da
raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di
libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle
attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del
diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav. La finalità del legislatore
è stata, dunque, quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di

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CONSIDERATO IN DIRITTO

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consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti
nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni»,

4.1. Per effetto della immediata operatività della direttiva CE sopra indicata (cd. Direttiva
Bolkstein), con conseguente disapplicazione del d.l.n.400/93, come conv. e succ. modif., le
concessioni demaniali che scadevano il 31.12.2007 non potevano essere più prorogate
automaticamente.
Non si è in presenza quindi di alcuna “illegittima abrogazione retroattiva” del suddetto D.L.
(abrogato poi formalmente dalla L.217/2011); né di una “illegittima disapplicazione” della
L.n.25/2010.
Tale ultima legge nello stabilire che “… dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il
termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto
ed in scadenza entro il 31.12.2015 è prorogato fino a tale data…” evidentemente si riferiva alle
concessioni rilasciate per la prima volta e non oggetto di proroga automatica.
Né con tale interpretazione viene ad essere operata, come ritengono i ricorrenti, una illegittima
e non prevista dalla norma distinzione tra concessioni validamente in essere e quelle
prorogate. Le concessioni con scadenza alla data del 31.12.2007, non potendo più essere
prorogate automaticamente per effetto della immediata applicazione nell’ordinamento interno
della Direttiva Bolkstein, erano, invero, tamquam non essent. Esse semplicemente ..non
“esistevanog più al momento dell’entrata in vigore della dell’arti comma 18 D.L.194/2009,
conv. in L. 25/2010, e come tali non potevano essere oggetto di proroga al 31.12.2015.
4.2. Il Tribunale ha altresì accertato che, comunque, non trovava applicazione la L. 25/2010 in
difetto di una espressa richiesta di proroga da parte dei soggetti interessati
Anche sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che “… se anche la disposizione
richiamata non prevede espressamente una richiesta di proroga quale presupposto per il
rinnovo, la necessità di tale presupposto si ricava dal tenore generale della disposizione.
In effetti, come osservato nel provvedimento impugnato, la proroga è applicabile soltanto ad
alcune tipologie di concessione, il che impone una verifica da parte dell’amministrazione
competente ed, inoltre, il termine fissato dalla legge deve ritenersi come un termine massimo
che non preclude la possibilità, per il concessionario, di richiedere ed ottenere che, per sue
esigenze, l’efficacia della proroga sia contenuta entro un termine inferiore. Va inoltre
considerato, in linea generale, che la proroga, riguardando una concessione valida ed ancora in
essere, presuppone la verifica di tale condizione e la permanenza dei requisiti richiesti per il
suo rilascio, il che implica, ancora una volta, l’esigenza di una verifica. La necessità di una

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gi,

4. L’assunto dei ricorrenti, secondo cui le concessioni demaniali, scadute al 31.12.1997
sarebbero prorogate di ulteriori anni sei in forza dell’arti co.2 D.L.n.400/1993, conv. in
L.494/, e succ. modif., all’epoca ancora in vigore (essendo l’abrogazione intervenuta con
l’art.11 L.217/2011) e poi, in forza della L.n.25/2010 fino al 31.12.2015 ed infine al
31.12.2020 per effetto della L.217/2012, non può, come ha già correttamente rilevato il
Tribunale, essere condivisa.
“Deve, infatti, procedersi alla disapplicazione del d.l. n. 400 del 1993, art. 01, tenendo conto di
quanto recentemente rilevato, sul punto, dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato,
sez. 6, 29 gennaio 2013, n. 525), il quale ricorda che la Corte Costituzionale ha ripetutamente
rilevato (con le sentenze nn. 213 del 2011, 340 del 2010, 233 del 2010 e 180 del 2010) che le
disposizioni che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime violano
l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza. E ciò, in quanto
l’automatismo della proroga della concessione determina una disparità di trattamento tra gli
operatori del settore, violando i principi di concorrenza, perché a coloro che in precedenza non
gestivano il demanio marittimo è preclusa, alla scadenza della concessione, la possibilità di
prendere il posto del precedente gestore, se non nel caso in cui questi ometta di richiedere la
proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti. Condivisibilmente il giudice
amministrativo afferma che, in conseguenza del rilevato contrasto, vi è un obbligo di
disapplicazione della norma per il periodo in cui è stata in vigore, da cui deriva la caducazione
di eventuali taciti rinnovi delle concessioni, in ragione del venire meno del presupposto
normativo su cui si fondavano.”(cfr. sent. n. 33170/2013 cit.).

4.3. Al momento del sequestro i ricorrenti erano, pertanto, sprovvisti di un valido titolo per
l’occupazione del suolo demaniale.
A nulla rileva l’esistenza di precedenti concessioni (scadute). Secondo la giurisprudenza di
questa Corte, infatti, il reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. si configura non soltanto
attraverso l’occupazione del suolo demaniale in assenza di concessione, ma anche quando
l’occupazione, effettuata sulla base di una autorizzazione stagionale, si protragga oltre il
termine della stagione balneare, ciò in quanto la natura pluriennale del titolo abilitante esonera
il concessionario dalla richiesta annuale, ma non esclude l’obbligo di rimuovere quanto
collocato al termine del periodo di utilizzo previsto (ex plurimis, sez. 3, 23 maggio 2007, n.
19962; sez. 3, 18 maggio 2006, n. 17062) nonché quando l’occupazione del demanio si
protrae oltre la scadenza della concessione sino al rilascio della nuova, pur già richiesta (ex
plurimis, sez. 3, 26 luglio 2011, n. 29910; sez. 3, 28 aprile 2010, n. 16495; sez. 3, 2 maggio
2007, n. 16570; sez. 3, 24 gennaio 2003, n. 3535).
5. Quanto all’invocata buona fede che, secondo i ricorrenti, trova fondamento in atti
amministrativi (atti ricognitivi costituiti dalle comunicazioni inviate dal responsabile del
servizio patrimonio del Comune di Giugliano, atti di riconoscimento del debito, precedenti
sentenze assolutorie nei confronti dei dante causa, pagamento dei canoni), rileva la Corte che
l’errore di diritto scusabile, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.364 del
24.3.1998, è configurabile solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità. Secondo le
Sezioni Unite di questa Corte “Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qual
volta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto dovere di
informazione, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la
conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per
tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono
dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per
l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento
positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento
giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione
normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto”
(cfr.Cass.pen.sez.un.18.7.1994 n.8154). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che
“La esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall’errore
di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi da mero errore di
interpretazione che diviene scusabile quando è determinato da un atto della p.a. o da un
orientamento giurisprudenziale univoco e costante da cui l’ agente tragga la convinzione della
correttezza dell’interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria
condotta” (cfr.ex multis Cass.pen.sez.3 n.4951 del 17.12.1999; conf.Cass.pen.sez.3 n.28397
del 16.4.2004; sez.3 n.4991 del 4.11.2009; sez.6 n.6991 del 25.1.2011).

espressa richiesta è inoltre esplicitamente riconosciuta dalla circolare del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti n. 6105 del 6 maggio 2010, la quale individua gli organi
competenti al rilascio del titolo, cosicché è evidente che detti organi debbano essere attivati
dal privato interessato, e specifica, ulteriormente, che della proroga venga dato atto con
annotazione sul provvedimento concessorio mediante l’apposizione della dicitura «Validità
prorogata sino al 31 dicembre 2015 ai sensi del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma
18, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25», prevedendo dunque,
anche in questo caso, che l’interessato si attivi in tal senso. La stessa annotazione è richiesta
anche dalla successiva circolare n. 46 del 21 marzo 2012, che riguarda, tuttavia, concessioni
diverse da quelle riferite all’uso o scopo turistico-ricreativo.” (cfr. sent. n.33170/2013 cit.)

5.1. Ha rilevato in proposito il Tribunale che non si profila nella fattispecie in esame una
ipotesi di errore inescusabile, trattandosi di “soggetti addetti ai lavori e, dunque, coinvolti in
prima persona nella compiuta cognizione dei referenti normativi di interesse” e non poteva
essere revocato in dubbio che in presenza di una “fonte di rango comunitario e, dunque, di
rilievo costituzionale, quale la richiamata direttiva CE del 2006.., ogni altra normativa
secondaria e regolamentare cede decisamente e definitivamente il passo” (pag.13 ord.).

7

1.1

Peraltro ha accertato, in punto di fatto, il Tribunale che dagli atti acquisiti emergeva piuttosto
la piena consapevolezza da parte degli indagati di versare “in situazioni di fatto illegittime”
(pag. 13 ord.).

7. I ricorsi vanno, pertanto, rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 9.1.2014

6. Va solo aggiunto, in relazione a specifici rilievi, che il parere del prof. Palma risulta
implicitamente disatteso e che nella richiesta del P.M., secondo la stessa prospettazione
difensiva, era comunque individuato (“Lido Varca d’Oro”) il bene da sottoporre a sequestro
(ricorso Trinchillo); che la continuazione dell’occupazione dopo la cessazione della permanenza
determinata dalle pronunce assolutorie nei confronti del dante causa (cfr. ricorso Palumbo)
era illegittima in mancanza di una valido titolo per le ragioni in precedenza esposte; che
irrilevanti, sotto il profilo della buona fede, sono, come evidenziato in precedenza, gli atti di
riconoscimento del debito (cfr. ricorso Rispoli Maria Teresa).

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