Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7261 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7261 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

Lukovic Predrag, n. a Belgrado (Serbia-Montenegro), il 6/09/1972

avverso la sentenza del 14/10/2014 della Corte di Appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Francesco Salzano,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

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Data Udienza: 24/11/2015

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza emessa in data
18/12/203 dal Tribunale di Rimini in composizione monocratica nei confronti di Lukovic Predrag,
condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile,
per il delitto di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 2 e 5, c.p. — perché, in concorso con almeno altre
due persone non identificate, si introduceva con forzatura della saracinesca e della porta di ingresso
nello “Studio orafo di Signorini Marco”, impossessandosi della cassaforte in cui erano custoditi
valori per circa 50.000,00 euro; con le aggravanti di aver commesso il fatto introducendosi in luogo

— e per i delitti di cui agli artt. 56, 110, 622, 625 n. 5, c.p.; 110, 648,61 n. 2, c.p., relativamente ai
quali non sono stati presentati motivi di ricorso.

Con ricorso depositato il 9/01/2015, il difensore del ricorrente, Avv.to Francesco Pisciotti, deduce
violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all’art. 192
c.p.p., poiché la sentenza di primo grado avrebbe fondato il proprio convincimento su molteplici
indizi, svalutati dalla Corte territoriale che, al contrario, avrebbe fondato la motivazione sulle sole
dichiarazioni e sul riconoscimento del ricorrente da parte del Signorini Luigi; non sarebbe stata
considerata la tesi alternativa fornita dalla difesa, consistente non solo nella considerazione secondo
cui il ricorrente era passato per caso davanti al negozio di orafo, in quanto lì nei pressi abitano dei
familiari, ma soprattutto in quanto si era sostenuto che il Signorini avrebbe potuto sbagliarsi nel
corso dell’individuazione fotografica proprio in quanto avrebbe potuto notare il ricorrente in altre
occasioni, anche all’interno del negozio ove lo stesso aveva ammesso di essersi recato; inoltre il
Signorini aveva riconosciuto anche l’altro originario coindagato, Sakanovic Darko, la cui posizione
è poi stata archiviata, circostanza che toglie certezza al riconoscimento dell’odierno ricorrente, e su
cui la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione insufficiente; anche l’omesso
riconoscimento da parte della Biagini Sofia rende evidente l’incertezza del riconoscimento del
Signorini, così come minerebbe la motivazione della sentenza la circostanza che la Corte territoriale
avrebbe ritenuto non significativa la telefonata intercettata in data 20/10/2012, laddove detta
conversazione era stata ritenuta significativa dal primo giudice, soprattutto senza considerare la
valenza della citata conversazione quale elemento a favore del ricorrente, che aveva spiegato come
detta conversazione fosse riferibile ad altro furto, consumato circa dieci anni prima, di cui la difesa
aveva fornito copia della sentenza alla Corte di Appello; la sentenza di primo grado ed anche quella
di secondo hanno, inoltre, del tutto omesso di motivare in ordine ai numerosi elementi favorevoli al
ricorrente emersi dalla citata intercettazione, nonostante gli specifici motivi di appello sul punto; si
ritorna, infine, sulle dichiarazioni della Biagini Sofia che, nonostante le caratteristiche somatiche
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destinato a privata dimora, con violenza sulle cose ed in più di tre persone; in Rimini il 21/09/2012

del ricorrente e la buona illuminazione della zona, non lo aveva riconosciuto tra le tre persone che
ella aveva notato dirigersi verso il laboratorio orafo e poi sostarvi la notte del furto, avendo ella
riconosciuto solo il coindagato la cui posizione era poi stata archiviata, dimostrandosi, in tal modo,
che il riconoscimento del Signorini non fosse tanto certo, mentre sul punto, nonostante le doglianze
in sede di appello, la Corte territoriale ha offerto una motivazione insufficiente; si contesta altresì la
motivazione della sentenza in relazione al motivo di appello basato sull’evoluzione delle indagini,
ritenute dal primo giudice significative, circostanza contestata dalla difesa, su cui la Corte

Con motivi nuovi depositati in data 30/10/2015 l’Avv.to Massimo Pistelli lamenta l’omessa notifica
ad esso codifensore della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, di cui avrebbe
appreso colloquiando con il proprio assistito, così come rileva di non essere stato avvisato della
fissazione del giudizio innanzi a questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Va preliminarmente esaminata la doglianza formulata con i motivi nuovi, depositati il 30/10/2015
nella cancelleria di questa sezione, con cui il codifensore Avvocato Massimo Pistelli, come detto,
lamenta l’omessa comunicazione ad esso difensore dell’avviso per il giudizio in Cassazione e,
prima ancora, della fissazione del giudizio in grado di appello.
Risulta dai verbali del dibattimento del giudizio di primo grado che l’Avvocato Massimo Pistelli ha
assistito il ricorrente, ma non risulta che il detto difensore abbia sottoscritto l’atto di appello avverso
la sentenza del Tribunale di Rimini in composizione monocratica. Detta circostanza, quindi, rende
dubbio che il citato difensore assistesse il ricorrente anche in grado di appello, per cui sarebbe stato
suo onere dimostrare di non essere stato revocato dal Lukovic Predrag.
In ogni caso, come sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 22242 del 27/01/2011, Rv. 249651
— secondo cui il termine ultimo di deducibilità della nullità a regime intermedio, derivante
dall’omessa notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale di appello ad uno dei due
difensori dell’imputato, è quello della deliberazione della sentenza nello stesso grado, anche in caso
di assenza in udienza sia dell’imputato che dell’altro difensore, ritualmente avvisati — costituisce ius
receptum il principio secondo cui la nullità di ordine generale a regime intermedio, derivante
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territoriale avrebbe fornito una motivazione parziale ed incomprensibile.

dall’omesso avviso ad uno dei due difensori di fiducia della data fissata per il giudizio, deve essere
eccepita ad opera dell’altro difensore, o dal sostituto eventualmente nominato ai sensi dell’art. 97,
comma quarto, c.p.p., nel termine di cui all’art. 182, comma secondo, c.p.p. (Sezione VI, sentenza
n. 13874 del 20/12/2013, Rv. 261529); nel caso di specie l’eccezione non risulta essere stata
tempestivamente sollevata, con conseguente decadenza dalla possibilità di rilevarla.
Per quanto riguarda il giudizio di legittimità appare evidente come il codifensore non risultasse

2.Passando all’esame dei motivi di ricorso, va osservato che, come si evince dalla motivazione della
sentenza impugnata, la Corte territoriale ha dapprima dato conto della motivazione del primo
giudice: questi, a sua volta, aveva rappresentato come, a seguito di attività investigativa, si era
proceduto all’arresto in flagranza del Lukovic Predrag in relazione ad altro episodio di furto; le
indagini — segnatamente le intercettazioni telefoniche ed ambientali ed il tracciamento degli
spostamenti con dispositivo Gps – avevano fatto emergere che il ricorrente, insieme ad altri
complici, era comunque coinvolto in attività seriali di furti con analoghe modalità operative. Nel
caso di specie, in particolare, il ricorrente era stato riconosciuto dal Signorini Luigi, padre del
proprietario della gioielleria, in sede di individuazione fotografica, come una delle due persone che
il giorno precedente il furto avevano sostato all’esterno della gioielleria, al fine di porre in essere
un’attività di sopralluogo; ciò risultava confermato dalla indiretta confessione del fatto, rilevata
dall’intercettazione del 20/12/2012, in cui il ricorrente aveva fatto chiaro riferimento al furto in una
gioielleria. La Corte territoriale, valutando i motivi di gravame, ha osservato che il Signorini Luigi,
il pomeriggio precedente il furto, era stato colpito dall’atteggiamento di un uomo che sostava
davanti alla vetrina della gioielleria, osservandone l’interno; il commerciante era pertanto uscito, ed
aveva visto detto uomo annotare qualcosa e fare una telefonata dall’interno di un furgoncino in cui
era salito; dopo poco era sopraggiunto, a bordo di uno scooter, un secondo uomo, poi identificato
nell’odierno ricorrente a seguito di individuazione fotografica, il quale, a sua volta, aveva osservato
l’interno del negozio. La Corte ha poi valutato la spiegazione fornita dal ricorrente — il quale aveva
dichiarato di essere passato nei pressi della gioielleria in quanto in una strada vicina abitava la
sorella della moglie — ritenendo che seppure fosse dimostrato che il ricorrente frequentasse la zona
per motivi familiari, non sarebbe possibile spiegare la sua condotta se non inquadrandola in
un’attività di sopralluogo, in quanto egli era giunto a bordo di uno scooter, si era tolto il casco ed
aveva osservato l’interno della gioielleria; inoltre detta condotta, secondo la sentenza impugnata,
assume valenza e significato alla luce del fatto che il Lukovic Predrag è un abile ed esperto
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nominato, per cui non aveva diritto a ricevere alcun avviso.

scassinatore, dedito nel medesimo arco di tempo a furti commessi con medesime modalità, e che
nella notte successiva era poi stato consumato il furto all’interno della gioielleria del Signorini.
La Corte ha ritenuto detti elementi sufficienti al raggiungimento della prova al di là di ogni
ragionevole dubbio, avendo peraltro rilevato che la conversazione telefonica del 20/12/2012
costituisse effettivamente un elemento estremamente generico — avendo la difesa proposto una
spiegazione alternativa, consistente nel riferimento, contenuto nella conversazione captata, al furto

sentenza di condanna per il citato episodio — mentre la circostanza che la posizione del coindagato
Darko Sakanovic fosse stata archiviata — pur essendo lo stesso stato riconosciuto dal Signorini e
dalla Biagini Sofia, che la notte del furto aveva notato tre persone confabulare nei pressi del
laboratorio di oreficeria, riconoscendo in foto il solo Darko Sakanovic — assumesse solo una
valenza neutra e non costituisse elemento a discarico del Lukovic Predrag, ciò per la ragione che
l’archiviazione nei confronti del coindagato era avvenuta in base ad elementi di incertezza in ordine
alla sua presenza sul luogo del fatto, e non ad elementi che consentissero di escludere con certezza
il suo coinvolgimento nel furto.
Appare quindi evidente come la Corte territoriale abbia basato il proprio convincimento sull’unico
indizio costituito dal certo riconoscimento del ricorrente, in atteggiamento ritenuto rivelatore di
un’attività di sopralluogo, nei pressi della gioielleria il pomeriggio precedente il furto, pur ritenendo
dimostrato che il ricorrente frequentasse comunque, e per altre ragioni, la zona.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Sezione V, sentenza n. 4663 del 10/12/2013),
come indizi vanno qualificati unicamente i dati di fatto certi, con esclusione, quindi, delle ipotesi,
delle congetture o dei giudizio di verosimiglianza; essi, inoltre, devono, in base alla norma di cui
all’art. 192, comma secondo, c.p.p., essere gravi – ossia esprimere elevata probabilità di derivazione
dal fatto noto di quello ignoto — precisi — ossia non equivoci — concordanti — ossia convergenti verso
un identico risultato. Altrettanto pacificamente i predetti requisiti devono essere concorrenti e
compresenti, in quanto in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono in alcun modo
assurgere al rango di prova su cui si può fondare il giudizio di penale responsabilità.
Alla luce di detti principi va rilevato come la sentenza impugnata presenti carenze motivazionali da
cui consegue una pronuncia di annullamento con rinvio.
Ribadito che la prova critica o indiretta, fondata sulla utilizzazione degli indizi, consiste
essenzialmente nella deduzione di un fatto ignoto da un fatto noto, attraverso un procedimento
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di altra gioielleria, consumato anni prima in provincia di Ancona, sostenuta dalla produzione di

gnoseologico che poggia su regole di esperienza, ricavate dall’osservazione del normale ordine di
svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane, alla cui stregua è possibile riconoscere che il
fatto noto è legato al fatto da provare da un elevato grado di probabilità o di frequenza statistica, che
rappresenta la base giustificativa della regola di inferenza su cui poggia il metodo logico-deduttivo
della valutazione degli indizi, la giurisprudenza di questa Corte ha chiaramente enunciato i principi
che regolano la prova indiziaria, come analizzato esaustivamente dalla motivazione della citata

Anzitutto, è stato sottolineato, il procedimento indiziario deve muovere da premesse certe, nel senso
che queste devono corrispondere a circostanze fattuali non dubbie e non possono, quindi, consistere
in dati fondati su mere ipotesi o congetture ovvero su giudizi di verosimiglianza (Sez. IV, sentenza
n. 2967 del 25/01/1993, Rv. 193407; Sez. II, sentenza n. 43923 del 28/10/2009, Rv. 245606). Gli
indizi, oltre a corrispondere a dati di fatto certi, devono essere gravi, precisi e concordanti, secondo
l’esplicito dettato dell’art. 192, comma 2, c.p.p., che subordina alla presenza di questi tre
concorrenti requisiti l’equiparazione della prova critica o indiretta alla prova rappresentativa o
storica o diretta: con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di essi, gli indizi non
possono assurgere al rango di vera e propria prova idonea a fondare la dichiarazione di
responsabilità penale (Sez. IV, sentenza n. 22391 del 02/04/2003, Rv. 224962). Il carattere della
“gravità” degli indizi attiene alla misura della capacità dimostrativa o grado di inferenza ed esprime
la elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quelle ignoto, in cui si identifica il tema di
prova (Sez. VI, sentenza n. 3882 del 04/11/2011, Rv. 251527). La “precisione” degli indizi designa
la loro idoneità a fare desumere il fatto non conosciuto, e varia in relazione inversa alla loro
equivocità, nel senso che indizi precisi sono quelli che consentono un ristretto numero di
interpretazioni tra le quali è inclusa quella pertinente al fatto da provare. Invece, quello che
comporta un’unica soluzione è l’indizio “necessario”, caratterizzato dalla correlazione obbligata del
fatto ignoto da quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo
certo e inevitabile, onde, essendo univoco, l’indizio necessario basta da solo ad integrare la prova
perché è dotato di precisione e di gravità assolute e non postula il concorso di altri indizi né, di
riflesso, il requisito della concordanza (Sez. IV, sentenza n. 19730 del 19/03/2009, Rv. 243508). La
“concordanza” degli indizi indica, poi, la loro convergenza verso l’identico risultato ed è qualificata
dalle interazioni riscontrabili tra una pluralità di indizi gravi e precisi, i quali, pur essendo da soli
insufficienti a giustificare una determinata conclusione, acquistano il carattere della univocità in
ragione del reciproco collegamento e della loro simultanea convergenza in una medesima direzione,

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sentenza di questa V Sezione.

assumendo, così, il crisma della prova e l’efficacia dimostrativa che a questa inerisce (Sez. VI,
sentenza n. 3882 del 04/11/2011, Rv. 251527).
Nella giurisprudenza di questa Corte è stato, poi, chiarito che il procedimento logico di valutazione
degli indizi si articola in due distinti momenti: il primo è diretto ad accertarne il maggiore o il
minore livello di gravità e di precisione, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che
tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi

accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza; il secondo momento del
giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa
ambiguità, posto che “nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di
più, si integra con gli altri, talché il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza
positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, sicché l’insieme può assumere il
pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica
del fatto che – giova ricordare – non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova
diretta (o storica) quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il
principio del c.d. libero convincimento del giudice” (Sezioni Unite, sentenza n. 6682 del
04/02/1992, Rv. 191230).
Inoltre, mette conto rilevare che nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del
procedimento indiziario non può, ovviamente, consistere nella rivalutazione della gravità, della
precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente
apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della
struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali
dettati dall’art. 192, comma 2, c.p.p., e se siano state coerentemente applicate le regole della logica
nell’interpretazione dei risultati probatori (Sez. IV, sentenza n. 48320 del 12/11/2009, Rv. 245880;
Sez. I, sentenza n. 1343 del 05/12/1994, Rv. 200238). Ne discende che l’esame della gravità,
precisione e concordanza degli indizi da parte del giudice di legittimità è semplicemente controllo
sul rispetto, da parte del giudice di merito, dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove
dall’art. 192 c.p.p., controllo seguito con il ricorso ai consueti parametri della completezza, della
correttezza e della logicità del discorso motivazionale (Sez. VI, sentenza n. 20474 del 15/11/2002,
Rv. 225245; Sez. I, sentenza n. 42993 del 25/09/2008, Rv. 241826).
Nel caso in esame, la Corte di secondo grado, come si evince dalla motivazione in precedenza
esaminata, ha confermato il giudizio di responsabilità emesso dal giudice di primo grado senza
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indizianti conducono al fatto da dimostrare, ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di

procedere ad una rigorosa analisi critica degli elementi indiziari, al fine di porre in evidenza gli
indispensabili connotati della gravità, della precisione e della concordanza, a norma dell’art. 192,
comma 2, c.p.p., e di verificare la loro totale convergenza in un quadro probatorio unitario,
univocamente dimostrativo della responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto.
In realtà, come visto, l’unico elemento indiziante è costituito dalla presenza del ricorrente nei pressi
della gioielleria il pomeriggio precedente il furto, in atteggiamento ritenuto sospetto e rivelatore di

organico e, soprattutto, senza una convincente analisi critica e senza una prospettiva globale ed
unitaria, tale da fare apparire il convincimento del giudice incompatibile con ogni altra soluzione
logica in termini di equivalenza e di alternativa.
Inoltre appare manifestamente illogica la valutazione dei giudici di merito che hanno attribuito un
carattere di “gravità” agli elementi presi in considerazione, taluni dei quali nemmeno posso
qualificarsi indizi, ma semplicemente elementi di sospetto: in tal senso deve essere valutato il
collegamento tra la presenza del ricorrente sul luogo del successivo furto e la commissione, da parte
dello stesso, di altri consimili episodi delittuosi. In proposito va ricordato che spetta alla Corte di
Cassazione sindacare l’errata configurazione, ad opera del giudice di merito, di un semplice
sospetto come elemento indiziario. Invero, il sospetto consiste in un’illazione soggettiva meramente
congetturale, che si fonda su un ragionamento ipotetico così detto abduttivo (nel senso di
argomentazione che, conosciuto l’effetto, consente di ricostruirne la causa), fonte di conclusioni in
termini di mera possibilità (Sez. IV, sentenza n. 19730 del 19/03/2009, Rv. 243508).
In materia di prova indiziaria, infatti, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della
sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza,
costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su
ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione
abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque
accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta
priva di una pur minima plausibilità (Sezione I, sentenza n. 18118 dell’11/02/2014, Rv. 261992).
Nel caso di specie il percorso argomentativo appare tanto più illogico se si ricorda come la Corte
territoriale abbia ritenuto indubbiamente dimostrato che il ricorrente fosse frequentatore della zona
per altre ragioni, ed abbia addirittura escluso la rilevanza della conversazione telefonica intercettata,
in quanto dimostrato che essa era riferibile ad altro, precedente episodio delittuoso. Ciò evidenzia
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una volontà di effettuare un sopralluogo. La disamina di detto indizio non è stata condotta in modo

come, nella fattispecie esaminata, l’indizio preso in esame non rientrasse affatto nella categoria
dell’indizio “necessario”, ossia, come detto, caratterizzato dalla correlazione obbligata del fatto
ignoto da quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo e
inevitabile.
In definitiva l’unico fatto significativo accertato dai giudici di merito è costituito dalla presenza del
ricorrente nei pressi dell’esercizio commerciale il pomeriggio precedente la consumazione del furto,

quadro indiziario caratterizzato dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, non è in grado di
supportare l’affermazione di responsabilità dell’imputato, che assume, per come motivata, natura
congetturale.
Né la Corte fornisce una esaustiva motivazione in relazione alla circostanza che il ricorrente non
fosse stato riconosciuto dalla teste Biagini Sofia, la quale aveva dapprima notato per strada,
tornando a casa, tre persone, quindi, dopo essersi ritirata, si era affacciata dalla finestra ed aveva
nuovamente visto i tre individui che parlottavano fermi sul marciapiede, ed aveva riconosciuto il
solo coindagato la cui posizione è poi stata archiviata, ciò nonostante le caratteristiche somatiche
del ricorrente, molto evidenti per la sua altezza pari a quasi due metri, come rilevato dalla difesa nei
motivi di appello; su detto aspetto, infatti, la Corte ha qualificato la circostanza come neutra, senza
fornire alcuna motivazione in ordine alle ragioni logico — giuridiche ed al percorso motivazionale
seguito sul perché dette circostanze non siano state valutate per controbilanciare un quadro
indiziario già fortemente lacunoso, e, quindi, per prendere in considerazione la possibilità di una
spiegazione alternativa plausibile, come sarebbe stato necessario per poter pervenire ad una
pronuncia al di là di ogni ragionevole dubbio.
Evidentemente la Corte territoriale ha operato una confusione tra la categoria della prova e quella
dell’indizio, la differenza tra le quali è costituita dal fatto che la prima, in quanto si ricollega
direttamente al fatto storico oggetto di accertamento, è idonea ad attribuire carattere di certezza allo
stesso, mentre l’indizio, isolatamente considerato, fornisce solo una traccia indicativa di un percorso
logico argomentativo, suscettibile di avere diversi possibili scenari, e, come tale, non può mai essere
qualificato in termini di certezza con riferimento al fatto da provare. (Sezione V, sentenza n. 16397
del 21/02/2014, Rv. 259551).

Nel caso esaminato la presenza di un solo indizio rilevante avrebbe reso viepiù necessaria la
comparativa valutazione di quegli elementi che, seppure non palesemente favorevoli al ricorrente,
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che, non costituendo indizio “necessario”, in assenza di ulteriori elementi in grado di delineare un

avrebbero in ogni caso dovuto essere prese in considerazione al fine di valutare criticamente la
possibilità di una plausibile spiegazione alternativa.
Dai precedenti rilievi deve inferirsi, conclusivamente, che la struttura della motivazione della
sentenza impugnata presenti aporie e crepe logiche che la rendono contrastante con le regole che, a
norma dell’art. 192, comma 2, c.p.p., governano la prova indiziaria. Pertanto, la sentenza deve
essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna, che dovrà rivalutare

di elevata tenuta logica e di certezza razionale, tanto da superare lo standard probatorio segnato dal
principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, enunciato dall’art. 533, comma 1, c.p.p.
Detta rivisitazione dovrà essere effettuata unicamente in relazione al capo d’imputazione sub a),
concernente la fattispecie di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 2 e 5, c.p., in danno di Signorini
Marco, commessa in Rimini il 21/09/2012, in quanto in relazione alle ulteriori fattispecie di reato
ascritte al ricorrente, in assenza di motivi di ricorso, la sentenza è divenuta irrevocabile.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello
di Bologna.

Così deciso in Roma, il 24/11/2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

autonomamente tutti gli elementi acquisiti e verificare che i risultati del nuovo giudizio siano muniti

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