Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7251 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7251 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Arena Giuseppe, nato a Valguarnera il 19.3.1948;
avverso la sentenza emessa il 10 luglio 2012 dalla corte d’appello di Caltanissetta;
udita nella pubblica udienza del 13 gennaio 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Vincenzo Geraci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento de/processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Caltanissetta confermò la
sentenza emessa il 9.12.2010 dal giudice del tribunale di Enna, che aveva dichiarato Arena Giuseppe colpevole dei reati di cui: A) all’art. 20, lett. b), della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere, senza concessione edilizia, realizzato
in un immobile sito in c.da “Castani” l’elevazione del primo piano mansardato
per un totale di mq. 80 circa per un’altezza di mt. 2.30 circa con copertura realizzata con pannelli termoisolanti; trasformato il porticato esistente a piano terra
in garage per un totale di mq. 27,00 circa, con copertura con pannelli termoisolanti; nella parte retrostante il garage, realizzato un piccolo vano ripostiglio delle dimensioni di mq. 4.00 circa con copertura in legno e coppi siciliani; a ridosso del muro di confine con la stradella di ingresso, realizzato un vano deposito
in muratura di mq. 8,00 circa, chiuso su tre lati; B) agli artt. 17, 18 e 20 legge 2
febbraio 1974 n. 64 (accertati il 15.7.2008) e lo aveva condannato alla pena,
condizionalmente sospesa, di mesi 3 di arresto ed € 6.000,00 di ammenda, con
la sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, e con
l’ordine di demolizione delle opere abusive.
La corte d’appello respinse l’eccezione di prescrizione dei reati, osservando: – che a seguito di segnalazione anonima pervenuta il 31.3.2008, la PG ese-

Data Udienza: 14/01/2014

guiva l’accertamento in data 15.7.2008, constatando l’esecuzione delle opere
abusive; – che, in mancanza della presentazione da parte dell’interessato di un
valido titolo concessorio che fissi il termine di cessazione della permanenza, le
contravvenzioni contestate non erano estinte; – che non era rimasto provato
l’assunto difensivo secondo cui i lavori risalivano ai lontani anni 1990/1995,
assunto anzi smentito dal teste Scalzo, indicato dalla difesa medesima, che aveva postdatato la trasformazione del sottotetto al 2000/2001 nonché dalla data di
ricezione della denuncia anonima che aveva dato origine al sopralluogo del teste Sapone, la quale, risalendo al 31.3.2008, rendeva plausibile l’ipotesi che i
lavori fossero stati quasi contestuali alla denuncia stessa; – che dal fascicolo fotografico emergeva l’esistenza di un cantiere esterno ancora aperto alla data del
sopralluogo, sicché era irrilevante l’indicazione fornita dal teste Sapone secondo
il quale le opere apparivano non di “recente costruzione”; – che la domanda di
sanatoria era stata presentata – in data prossima al 17.4.2009 – solo a seguito
dell’accertata violazione dei reati da parte della P.G. e ciò ad ulteriore dimostrazione che in precedenza le opere abusive non erano state realizzate o almeno rifinite perché altrimenti, come era avvenuto per il passato per l’immobile a piano
terra, sarebbero già state anch’esse regolarizzate.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Sinuhe Curcuraci, propone ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 157 cod. pen. Deduce che gli elementi
probatori si riferiscono ad un tempus commissi delicti evidentemente lontano e
dimostrano inequivocabilmente che la datazione delle opere oggetto di contestazione era risalente a diversi anni prima della data di accertamento degli stessi, ossia al 1995. Il giudice avrebbe dovuto spiegare come una costruzione possa essere realizzata in un solo giorno.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato. Il ricorrente ripropone in sede di legittimità la tesi che le opere abusive sarebbero state ultimate nel 1995 ed eccepisce che le stesse non potevano essere state realizzate in un solo giorno.
Va però ricordato che si tratta di reato permanente, la cui consumazione si
realizza alla data di ultimazione dei lavori, che coincide con l’ultimazione dei
lavori interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. III, 18.10.2011, n.
39733, Ventura, m. 251424).
Nella specie la corte d’appello ha, con apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, accertato che l’immobile non era stato ultimato sicuramente nel 1995, ma nemmeno
alla data dell’accertamento, dal momento che dalle foto eseguite durante il sopralluogo emergeva che il cantiere era ancora aperto. Invero, secondo la corte
d’appello, era plausibile che i lavori fossero quasi contestuali alla denuncia anonima del 31.3.2008. Queste circostanze ed accertamenti di fatto non sono stati
specificamente contestati con il ricorso che, pertanto, appare anche generico.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Va precisato che la prescrizione non è ancora maturata perché, tenuto conto dei periodi di sospensione per un totale di giorni 201, la stessa decorrerà solo
dall’1.2.2014. In ogni caso, quand’anche si volesse ritenere che il decorso della
prescrizione dovesse iniziare il 31.3.2008 e che non si dovesse tenere conto dei

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periodi di sospensione, la prescrizione sarebbe comunque maturata in una data
successiva a quella (10.7.2012) di emissione della sentenza impugnata. Ne consegue che, stante l’inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi e
quindi la mancata formazione di un valido rapporto di impugnazione, la prescrizione non potrebbe in nessun caso essere rilevata e dichiarata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur. costante).
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 14
gennaio 2014.

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