Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7242 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7242 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

DEPOSITATA !N CANCELLERIA

sul ricorso proposto da:
1) Marinilli Antonio

nato il 7.11.1931

avverso la sentenza del 14.12.2012
della Corte di Appello di L’Aquila
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G., dr.Angelo Di Popolo, che ha
chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso

14
Il
L

Data Udienza: 09/01/2014

1. Il Tribunale di Sulmona, in composizione monocratica, con sentenza del 2.5.2011,
assolveva Marinilli Antonio dal reato di cui all’art.2 L.157/1992 e art.18 comma 1 lett. c)
ascritto (“per aver abbattuto con arma da sparo e depezzato per il trasporto in auto, un cervo
maschio non cacciabile dal calendario venatorio della Regione Abruzzo anno 2008-2009”) per
non aver commesso il fatto.
La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza in data 14.12.2012, in accoglimento dell’appello
del P.G. ed in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava il Marinilli colpevole del reato di
cui agli artt.18 e 30 L.157/92 e lo condannava alla pena di mesi 3 di arresto; pena sospesa e
non menzione.
Dopo aver richiamato la sentenza di primo grado, rilevava la Corte territoriale che dalle
risultanze processuali emergevano indizi gravi i precisi e concordanti in ordine alla responsabilità
dell’imputato.
Era emerso infatti che, poco dopo che era stato sentito lo sparo e che il cervo era stato visto
accasciarsi dietro un cespuglio, l’imputato veniva sorpreso dalla p.g. alla guida di un’auto nel
cui portabagagli era stato occultato, già depezzato, il cervo medesimo.
Il Marinilli, inoltre, era in possesso di un fucile che aveva da poco fatto fuoco e le cui munizioni
erano compatibili con quelle esplose contro il cervo.
In presenza di siffatti elementi, valutati complessivamente, destituita di ogni fondamento era
la tesi difensiva, secondo cui l’animale era stato caricato sull’auto al solo scopo di condurlo
presso l’ASL competente (tale tesi, peraltro, era smentita dal fatto che non era stata avvisata
nè la ASL, nè altra Autorità e che il cervo era stato depezzato).
Rilevava poi la Corte territoriale che, pur essendo in base all’art.2 L.157/92 oggetto di tutela
il solo cervus elaphus corsicanus (cervo sardo) e non il cervus elaphus (cervo), quale era
quello abbattuto, il contenuto del divieto dell’attività venatoria andava individuato anche
facendo ricorso alla legge regionale; ed il calendario venatorio della Regione Abruzzo per l’anno
2008/2009 non consentiva la caccia al cervus elaphus.
2. Ricorre per cassazione Marinilli Antonio, a mezzo del difensore, denunciando, con il primo
motivo, l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art.18 comma 1 lett.c)
L.157/1992. Tale norma consente la cacciabilità del cervus elaphus. La delega del legislatore
nazionale in favore di quello regionale riguarda non la modifica della disciplina di cacciabilità
delle specie animali descritte, ma soltanto l’arco temporale in cui deve esplicarsi l’attività
venatoria.
Una diversa interpretazione della norma, che consentisse alla legge regionale di introdurre
divieti di caccia, risulterebbe incostituzionale (questione che comunque si solleva).
Peraltro, nemmeno il calendario venatorio 2008/2009 della regione Abruzzo vieta la cacciabilità
del cervo comune.
Con il secondo motivo denuncia la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla valutazione erronea delle risultanze probatorie.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, la relazione balistica non aveva certo affermato
che il fucile in possesso dell’imputato avesse da poco fatto fuoco (ma solo che non poteva
escludersi siffatta eventualità); né aveva in relazione ai colpi esplosi parlato di compatibilità
(ma solo di mera similarità).
La Corte territoriale ha, poi, disatteso le testimonianze Franciosa Pettine e Marcelli per il solo
fatto che non era stata avvisata l’Asl e che l’animale era stato depezzato; i testi, invece,
avevano riferito di aver visto l’animale ferito e sofferente risalire la montagna dal lato opposto
a quello in cui essi si trovavano insieme all’originario coimputato D’Eramo.
L’Asl non doveva essere avvertita e l’animale era stato depezzato per introdurlo nel bagagliaio.
Infine il ricorrente era intervenuto sul posto in uysecondo momento e non era in tenuta da
caccia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2

RITENUTO IN FATTO

2.1. L’art.43 della L.R. n.672 del 24.7.2008 (Specie cacciabili e periodi di attività venatoriaCalendario venatorio) prevede espressamente che la “Giunta Regionale, sentita la Consulta
regionale della caccia e previo parere dell’OFR, pubblica entro e non oltre il 15 giugno, il
calendario e le norme regolamentari per l’intera stagione venatoria” (comma 3) e che “Nel
calendario devono essere indicate a) le specie cacciabili, b) le giornate di caccia..” (comma
4)
Ed il calendario venatorio per l’anno 2008/2009, approvato con delibera di Giunta n.672 del
24.7.2008, indica analiticamente al capo b) le specie cacciabili ed il periodo per il quale, per
ciascuna di esse, è consentito il prelievo venatorio.
Ma tra le specie cacciabili non è indicato il cervo (cervus elaphus).
Correttamente, pertanto, è stato ritenuto che il cervo maschio non fosse cacciabile nel
periodo di cui alla contestazione (12.10.2008), non consentendolo il calendario venatorio
2008/2009.
3. Quanto alla riferibilità al ricorrente della condotta, va ricordato che è pacifico, anche alla
luce della formulazione dell’art.192 c.p.p., che, come costantemente affermato da questa
Corte, “…l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso una
univocità indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce
un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde
saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa, sia pure di portata
possibilistica e non univoca di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico
successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di
ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun
indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregante ed
univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto…”
(cfr.Cass. pen.sez. u n.4.6.1992 n.6682).
La Corte territoriale, con argomentazioni precise, dettagliate ed immuni da vizi logici, si è
attenuta agli esposti principi, esaminando, da un lato, tutte le circostanze indiziarie a carico del
Marinilli nella loro gravità precisione e concordanza, e, dall’altro, sottolineando come le stesse,
valutate complessivamente, risultassero convergenti nella prova di colpevolezza dell’imputato.
Ha evidenziato, infatti, che emergeva, pacificamente, che: a) poco dopo che venne udito lo
sparo, il cervo fu visto accasciato e sofferente sotto un cespuglio; b) il prevenuto, a breve
distanza temporale e nella stessa zona in cui era avvenuto lo sparo, fu sorpreso dalla p.g. alla
guida di un’auto, nel cui bagagliaio fu trovato il cervo depezzato; c) il Marinilli era in possesso
di un fucile che aveva sparato da poco; d) inverosimile era la versione dell’imputato (di voler
cioè trasportare il cervo presso la ASL), sia perché il cervo era stato depezzato, sia perché
bastava più semplicemente avvertire gli organi competenti dell’awenuto rinvenimento del
cervo ucciso.
Tutti tali elementi, valutati nel loro complesso, anche a prescindere dalla compatibilità o meno
dei colpi esplosi, attestano univocamente la riferibilità al ricorrente di quanto contestato nel
capo di imputazione.

3

2. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, l’intervento regionale è consentito non solo
in tema di “arco temporale” ma anche di “specie cacciabili”.
La Corte Costituzionale, proprio con riferimento alla Regione Abruzzo, con la sentenza n.20
del 13.12.2011, ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt.1 e 2 della L.R. 10 agosto
2010 n.39, che approvavano in via legislativa il calendario venatorio per la stagione 20102011 indicando sia le date e gli orari entro cui la caccia è consentita (arti.), sia le specie
cacciabili, con riferimento a ciascuna di esse, al peculiare arco temporale aperto all’attività
venatoria (art.2), per avere tali previsioni assunto veste legislativa, anziché regolamentare.
Ha ribadito, però, che l’art.18 comma 4 della L.157 del 1992 “consente espressamente
l’intervento regionale allo scopo di modulare l’impatto delle previsioni generali recate dalla
normativa statale, in tema di calendario venatorio e specie cacciabili, sulle specifiche
condizioni dell’habitat locale, tuttavia esige che il calendario venatorio sia approvato con
regolamento, in virtù di una scelta che attiene alle modalità di protezione della fauna e dunque
alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.
E’ quindi previsto l’intervento regionale, sia in tema di calendario venatorio che di specie
cacciabili, purchè però venga adottato con disposizioni regolamentari.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo
determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
4.1.Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude ogni possibilità di far valere e
rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen., l’estinzione del reato per prescrizione
(maturata dopo la emissione della sentenza impugnata).
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni,
ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno
dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di
impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non
punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto
invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria
absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo
altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato
il giudicato sostanziale”.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00 .
Così deciso in Roma il 9.1.2014

3.1. Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto che il controllo demandato alla
Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi
attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la
possibilità di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente
corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
In questa sede è, cioè, necessario solo accertare se nell’interpretazione delle prove siano state
applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in
tema di valutazione delle prove stesse, in modo da fornire la giustificazione razionale della
scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr.ex multis Cass.pen.sez.1
RV214567). Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali
(Cass.sez.un.30.4.1997 n.6402). In particolare, in tema di processi indiziari, alla Corte di
Cassazione compete solo la verifica della correttezza logico-giuridica dell’iter argomentativo
seguito per qualificare le circostanze emerse come indiziarie, ma non certo un nuovo
accertamento sulla effettiva gravità, precisione e concordanza degli indizi medesimi
(cfr.Cass.sez.1, 10.2 1995 n.1343). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che “Nel
giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del procedimento indiziario non può
consistere nella rivalutazione della gravità, precisione e concordanza degli indizi, in quanto ciò
comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi
nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata
data applicazione ai criteri legali dettati dall’art.192 comma secondo cod.proc.pen. E se siano
state coerentemente applicate le regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori” (
Cass.pen.sez.1 n.42993 del 25.9.2008). Il sindacato di legittimità è, cioè, limitato alla verifica
della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una
ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente
congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente
inadeguati (Cass.sez. 4 n.48320 del 12.11.2009).

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