Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7235 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7235 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Falla Matar, nato il 13 aprile 1979
avverso l’ordinanza del Tribunale di Salerno del 15 marzo 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto dei ricorso.

Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 15 marzo 2014, il Tribunale di Salerno, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di revoca di una sentenza, sul rilievo che,
se anche detta sentenza si riferisce formalmente alla violazione di cui all’art.

173-ter,

comma 1, lettera d), della legge n. 633 del 1941, detta rubrica risulta erronea perché
la contestazione riguarda non la detenzione per la vendita di supporti privi di
contrassegno Siae, ma la detenzione per la vendita di supporti illecitamente duplicati

2. – Avverso il provvedimento l’interessato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione, con cui sostiene che la sentenza di condanna era relativa anche
alla violazione di cui all’art. 173-ter, comma 1, lettera d), della legge n. 633 del 1941,
per la quale sarebbe invocabile l’applicazione della sentenza della Corte di giustizia
europea dell’8 novembre 2007 (Schwibbert).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
La difesa richiama la sentenza della Corte di giustizia europea dell’8 novembre
2007 (Schwibbert), in forza della quale la semplice mancanza del contrassegno Siae
non può essere ritenuta sufficiente a integrare l’illecito penale (ex plurimis, sez. 3, 29
febbraio 2012, n’. 27274). Nel caso in esame, però, il fatto contestato ha per oggetto secondo quanto ritenuto dal giudice dell’esecuzione – non la mancanza del marchio Siae
ma l’abusiva riproduzione dei supporti magnetici sequestrati, pur essendo stata
riportata la contestazione sotto l’erronea rubrica di cui all’art. 171-ter, lettera d), della
legge n. 633 del 1941; ed è al dato sostanziale, oggetto dell’accertamento ormai
passato in giudicato, e non al dato formale che deve farsi riferimento. Il ricorrente, non
contesta, del resto, la sussistenza del reato di vendita di supporti abusivamente
riprodotti per il quale è stato condannato, limitandosi a genericamente asserire che vi
sarebbe stata anche una violazione relativa alla semplice mancanza del marchio Siae,
senza richiamare il passaggio motivazione della sentenza di condanna dal quale tale
ulteriore condotta emergerebbe.
4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella-fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.

(art. 171-ter, lettere a e c).

pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in E 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, l’11 novembre 2015.

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