Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7230 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7230 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Sammartino Marco, nato il 5 luglio 1982
avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Potenza dell’8 ottobre 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Luigi Riello, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.

Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. – Con ordinanza dell’8 ottobre 2014, la Corte d’appello di Potenza ha dichiarato
inammissibile la richiesta di revisione avente ad oggetto un decreto penale del 10 marzo
2010, divenuto irrevocabile il 30 settembre 2011, con cui l’interessato era stato
condannato alla pena di C 480,00 di multa per il reato di cui agli artt. 81, secondo
comma, cod. pen. e 2 del d.!. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 638 del 1983, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,

retribuzioni dei lavoratori dipendenti della sua società, relative alle mensilità dal gennaio
2005 al luglio 2005. La Corte d’appello ha affermato che la richiesta di revisione era
fondata sul rilievo che il curatore fallimentare della società dell’imputato era stato
assolto, per insussistenza del fatto, dal medesimo reato a lui contestato come
commesso tra l’agosto 2005 e il marzo 2006, in quanto, per detti mesi, non risultava
alcun impiego di dipendenti. Ha ritenuto che siffatta circostanza non costituisse prova
nuova in quanto, dalla sentenza di assoluzione del curatore fallimentare risultava che la
società del ricorrente era stata dichiarata fallita il 28 luglio 2005 e, dunque, in epoca
successiva al reato come contestato nel decreto penale; cosicché il difetto di prova
dell’impiego di forza lavoro non poteva in alcun modo rilevare.
2.

– Avverso l’ordinanza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,

denunciando la carenza e la manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che la
prova nuova sulla base della quale la revisione era stata richiesta non era costituita
dalla sentenza di assoluzione del curatore fallimentare, ma da una relazione della
Guardia di Finanza nella quale era emerso che, per tutto il periodo di operatività della
società dell’imputato, la stessa non aveva mai avuto lavoratori alle proprie dipendenze.
Tale dato non sarebbe stato preso in considerazione dalla Corte d’appello, la quale si
sarebbe soffermata solo sull’elemento – effettivamente non dirimente ma mai dedotto
come tale dalla difesa del ricorrente – rappresentato dall’assoluzione del curatore
fallimentare per le omissioni contributive relative ad un periodo diverso rispetto a quello
oggetto dell’imputazione ascritta allo stesso ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è fondato.
3.1. – Quanto ai principi di diritto applicabili nel caso in esame, va ricordato, in
primo luogo, che il potere attribuito alla Corte d’appello, nella fase preliminare prevista
dall’art. 634 cod. proc. pen., di valutare, anche nel merito, la potenzialità degli elementi
addotti dal richiedente a dar luogo a una pronuncia di proscioglimento non consiste in

aveva omesso di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle

una. anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato al vero e proprio giudizio di
revisione da svolgersi nel contraddittorio tra le parti, ma implica soltanto una sommaria
delibazione degli elementi di prova dedotti, finalizzata alla verifica dell’eventuale
sussistenza di un’infondatezza che deve essere rilevabile a prima vista (ex plurimis, sez.
6, 8 marzo 2013, n. 18818, rv. 255477; sez. 4, 10 gennaio 2013, n. 18196, rv. 255222;
sez. 1, 14 ottobre 2010, n. 40815, rv. 248463; sez. 6, 3 dicembre 2009, n. 2437/2010,
rv. 245770; sez. 6, 28 giugno 2007, n. 16802). Si è altresì precisato che, in tema di

base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e
quelle già acquisite, che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può,
quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova
nuova (sez. 2, 16 ottobre 2013, n. 49113, rv. 257496).
In secondo luogo, deve essere confermato il principio secondo cui, nel giudizio di
revisione, non sussistono preclusioni per difetto di tempestiva deduzione della prova nel
giudizio di cognizione, perché possono essere dedotte prove anche preesistenti e
persino colpevolmente non indicate nel giudizio di cognizione, purché non siano state
oggetto di pregressa valutazione (ex mulds, sez. 3, 18 dicembre 2013, n. 13037, rv.
259739, sez. 5, 24 novembre 2009, n. 10167, rv. 246883).
Deve affermarsi, in terzo luogo, che la revisione può riguardare anche uno solo
dei più reati per i quali è intervenuta condanna, anche qualora questi siano posti in
continuazione, in mancanza di previsioni normative in senso contrario.
3.2. – La Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi, perché
ha concentrato la sua valutazione – svolta ai sensi dell’art. 634, comma 1, cod. proc.
pen. – sulla non decisività della prova rappresentata dalla mancanza di dipendenti nella
società dell’imputato per un periodo successivo a quello oggetto dell’imputazione a suo
carico; prova che emergerebbe dalla sentenza di assoluzione del curatore fallimentare.
Ma dal tenore letterale della richiesta di revisione sottoposta alla Corte d’appello
emerge con sufficiente chiarezza che le prove sopravvenute richiamate a sostegno della
richiesta stessa consistono, non solo nella sentenza di assoluzione del curatore
fallimentare relativamente ad omissioni contributive per un periodo diverso rispetto a
quello oggetto dell’imputazione ascritta all’odierno ricorrente, ma anche e soprattutto
nell’acquisizione della relazione svolta dalla Guardia di Finanza in data 29 giugno 2005,
dalla quale emergerebbe che la società dell’imputato non ha mai avuto alcun lavoratore
alle proprie dipendenze, nonché nell’assunzione della testimonianza del soggetto che
avrebbe erroneamente redatto i modelli previdenziali inviati all’Inps, in contrasto con

revisione, la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla

quanto. accertata dalla. stessa Guardia, di Finanza. Su tali ultime prove – e, più in
particolare, sulla loro necessaria comparazione con quelle già acquisite – la Corte
d’appello non si è pronunciata, essendosi limitata ad escludere la rilevanza della sola
sentenza di assoluzione del curatore fallimentare, perché riferita – come visto – a periodi
contributivi diversi e successivi.
4. – L’ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata, con rinvio alla Corte
d’appello di Catanzaro, perché proceda a nuova ed esauriente valutazione delle prove

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, 1’11 novembre 2015.

proposte, facendo corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.

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