Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7216 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7216 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLOMBI FAUSTO N. IL 10/08/1946
avverso la sentenza n. 298/2015 CORTE APPELLO di MILANO, del
01/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore G erale in per a del Dott ;
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Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza dell’ 1 aprile 2015 la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza del Tribunale di Milano che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva
dichiarato Colombi Fausto responsabile del reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n.
74 del 2000, perché quale rappresentante della IMCO s.r.l. non aveva versato
nel termine previsto per il pagamento dell’acconto del periodo dell’imposta
successivo, VIVA dovuta per l’anno 2007, per l’ammontare complessivo di euro
171.353,00, e lo aveva condannato, previa concessione delle circostanze

della sospensione condizionale e della non menzione; fatto commesso in
Legnano, il 27 dicembre 2008.
2. Avverso la sentenza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per
cassazione per i seguenti motivi: 1) Contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, quanto all’accertamento dei presupposti di fatto che hanno dato
origine alla mancanza di fondi per il pagamento dell’IVA e all’applicabilità al caso
di specie della forza maggiore. Le lacune contenute nella sentenza impugnata si
aggiungerebbero alle gravi carenze motivazionali della sentenza di primo grado,
pure censurate con l’atto di appello. Secondo la difesa, in particolare, il Collegio
giudicante, per un verso, avrebbe omesso di considerare che l’investimento in
Donde, una delle società facente parte del gruppo, non aveva costituito
un’autonoma decisione, bensì l’esecuzione di una deliberazione altrui, come
risulterebbe dalle testimonianze, dall’altro, i Giudici di merito avrebbero omesso
di valutare l’incidenza causale, sull’adempimento del debito fiscale, dell’avvenuto
sequestro, disposto dall’Autorità Giudiziaria, della somma corrispondente al
debito IVA. Attesa la mancanza delle condizioni necessarie per compiere l’azione
doverosa, sarebbero infatti venuti meno í presupposti per contestare la
responsabilità per omissione con evidente violazione dell’art. 45 c.p.; 2) Omessa
e contraddittorietà della motivazione, poiché la Corte territoriale avrebbe omesso
di valutare l’incidenza delle cause esterne sull’elemento soggettivo del reato
contestato: le scelte imprenditoriali dell’imputato sarebbero state ritenute
avventate e negligenti e la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che
l’imputato avesse liberamente scelto di privare la società dallo stesso
amministrata del proprio patrimonio, ritenendo integrato il dolo generico, nella
forma del dolo eventuale. Inoltre non si sarebbe tenuto conto del fatto che
l’imputato, pur essendo un commercialista, non era esperto in contabilità e le
operazioni compiute, oltre ad essere pubblicizzate nel settore, non consentivano
di dubitare circa la loro liceità. D’altra parte, l’investimento nella realtà costituita
dalla società Donde non era certamente preordinato ad omettere il versamento
dell’IVA. In definitiva, secondo la difesa, la valutazione circa la sussistenza
dell’elemento soggettivo da parte dell’organo giudicante avrebbe dovuto essere

attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione, concedendo i benefici

più approfondita; 3) Da ultimo, la difesa ha lamentato la violazione dell’art. 133
c.p., nonostante l’espressa richiesta in sede di gravame di rideterminazione del
trattamento sanzionatorio, considerato che quanto evidenziato avrebbe dovuto
almeno essere considerato nella valutazione della gravità del reato, e dunque,
nella rideterminazione della pena nel minimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso dev’essere accolto, ma per ragioni diverse da quelle invocate dalla

Rileva il Collegio che, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n.158/2015,
la soglia di rilevanza penale prevista in relazione al reato di cui all’art.10 ter
D.L.vo 74/2000, in relazione all’importo dell’IVA evasa, ammonta ad euro
250.000,00 (in precedenza era di euro 50.000,00). Tale modifica legislativa
trova applicazione, in ordine ai procedimenti pendenti, secondo la disciplina
prevista dall’art. 2 c.p.
2. Nel caso di specie, l’ammontare del debito tributario corrispondente all’IVA di
cui il ricorrente ha omesso il versamento per l’anno 2007, è pari ad euro
171.353,00 e, quindi, è inferiore alla nuova soglia di rilevanza penale. Ne
consegue, pertanto, atteso che le contestazioni mosse al ricorrente riguardano
omessi versamenti IVA di importo inferiore a quello sopra indicato,
l’annullamento dell’impugnata sentenza senza rinvio per insussistenza del fatto,
da preferirsi alla formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
Invero, la formula perché il fatto non sussiste, deve essere adottata quando
difetti un elemento costitutivo del reato, come nel caso in esame (cfr. in questo
senso, Sez. 3, n. 36859 del 26/06/2014, Bottaro, Rv. 260187, in senso
contrario, Sez. 7, n. 3209 del 2016, non mass.).
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, il Collegio annulla senza rinvio la
sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, 1 1 11 novembre 2015.

difesa.

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