Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7215 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7215 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Rizzo Natale, nato il 22 ottobre 1969
avverso lasentenza della Corte d’appello di Milano del 16 marzo 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Marilia
Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Riccardo Donzelli.

Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 16 marzo 2015, la Corte d’appello di Milano ha
parzialmente confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Milano del 27 aprile 2012,
resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato alla
pena di due anni di reclusione, riconosciuti le circostanze attenuanti generiche e i
benefici di legge, per il reato di cui all’art. 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per
avere, quale legale rappresentante di una società, ai fini di evadere le imposte sui redditi

indicato nella dichiarazione elementi passivi fittizi, oltre che per reati di cui all’art. 8
dello stesso d.lgs. La Corte d’appello ha assolto l’imputato da tali ultimi reati, per non
averli commessi, e ha rideterminato la pena, per la residua imputazione di cui all’art. 2
del d.lgs. n. 74 del 2000, in un anno e quattro mesi di reclusione.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione,
per la mancata considerazione del fatto che lo stesso imputato era divenuto legale
rappresentante della società solo in data 12 ottobre 2009, a fronte di una dichiarazione
presentata nel dicembre successivo, cosicché egli non era a conoscenza delle operazioni
commerciali precedentemente effettuate da altri amministratori. Difetterebbe, in altri
termini, il dolo specifico di evasione dell’imposta. Si lamenta, inoltre, la mancanza di
motivazione quanto alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
La difesa non contesta l’inesistenza della prestazione, né prospetta
compiutamente vizi logici o lacune motivazionali del provvedimento impugnato,
limitandosi a generiche asserzioni circa la mancanza del dolo specifico, sul rilievo che
l’imputato era divenuto legale rappresentante della società solo poco prima della
presentazione della dichiarazione, con l’indicazione dell’elemento passivo fittizio
costituito da una fattura per euro 5.000.000,00, oltre Iva, emessa per una consulenza
mai ricevuta e mai pagata. Ed è sufficiente richiamare, sul punto, la conforme
motivazione dei giudici di primo e secondo grado, i quali hanno correttamente
valorizzato, quale inequivocabile sintomo della piena conoscenza della contabilità della
società e del dolo specifico di evasione fiscale, l’entità elevatissima_delrimporto indicato
in fattura, nonché l’assoluta mancanza di documenti e atti che fornissero prova della
relativa prestazione. E tali considerazioni sono state poste degli stessi giudici del merito
anche a fondamento della determinazione della pena, laddove si è evidenziata la
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per il 2008, avvalendosi di una fattura relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti,

sussistenza di un fatto oggettivamente grave per l’elevatissima entità dell’importo
indicato in fattura per la prestazione oggettivamente inesistente.
4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.

in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna n ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 novembre 2015.

pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,

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