Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7214 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7214 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso , proposto da
.

Crescimanno Renato, nato il 4 ottobre 1960
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 14 aprile 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Marilia
Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorso;
udito il difensore, avv. Marco Inches.

Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 14 aprile 2015, la Corte d’appeiio di Milano ha confermato
la sentenza del Tribunale di Milano del 22 settembre 2014, resa all’esito di giudizio
abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di otto mesi di
reclusione, per il reato di cui all’art. 10-ter del decreto legislativo n. 74 del 2000, per
avere omesso di versare l’Iva per l’anno 2009, per euro 291.069,00, risultante dalla
dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la mancata considerazione
dei documenti dai quali sarebbe risultato che la società non disponeva di risorse per il
pagamento dell’Iva; documenti consistenti: nel bilancio, da cui emergeva una perdita
di esercizio di euro 4462,00; nel verbale di assemblea ordinaria di approvazione di detto
bilancio; nella visura camerale, dalla quale si poteva desumere che la società aveva
diminuito il numero dei suoi dipendenti ed era stata posta in liquidazione. Non si sarebbe
considerata, in particolare, la scelta dell’imputato di retribuire i lavoratori a scapito del
versamento del tributo; scelta che sarebbe rilevante per escludere la sussistenza del
dolo.
In secondo luogo, si denunciano la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione, perché la Corte territoriale avrebbe valorizzato la decisione della società
di aprire una nuova sede del 2009, senza considerare che tale sede era stata chiusa già
il 5 maggio dello stesso anno, a fronte della grave crisi finanziaria_nella quale la stessa
società si trovava.
In terzo luogo, si lamenta l’erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 cod. proc.
pen., essendo stata applicata una pena in misura superiore al minimo e non essendo
stati concessi i benefici di legge, né le circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – I primi due motivi di doglianza – relativi alla mancata considerazione, ai
fini dell’esclusione del dolo del reato, dello stato di dissesto finanziario nel quale la
società si trovava, del quale la chiusura della sede secondaria della società nell’anno
2009 costituirebbe uno degli indici – sono infondati.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il reato omissivo a carattere
istantaneo previsto dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, consiste nel mancato
versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che,

d’imposta successivo.

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tranne i casi di applicabilità del regime di «IVA per cassa», è ordinariamente svincolato
dall’effettiva riscossione dei corrispettivi relativi alle prestazioni effettuate. Ha altresì
precisato che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente a
integrarlo la coscienza e volontà di non versare all’erario il tributo nel termine (ex
plurimis, sez. 3, 8 gennaio 2014, n. 15416; sez. un, 28 marzo 2013, n. 37424, rv.
255758; sez. 3, 6 marzo 2013, n. 19099, rv. 255327). E la prova del dolo è insita nella
presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo

punibilità, entro il termine previsto.
Quanto ai criteri per la valutazione circa la configurabilità dell’elemento
soggettivo e circa l’applicabilità delle circostanze scriminanti della forza maggiore e dello
stato di necessità, la giurisprudenza di questa Corte ha preso le mosse dalla
considerazione che l’introduzione della norma penale risponde all’esigenza che
l’organizzazione economica dell’impresa per il pagamento dei tributi si articoli su base
annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di
liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri
che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte all’esigenza
predetta. Né può ovviamente escludersi, in astratto, che siano possibili casi – il cui
apprezzamento è devoluto al giudice del merito ed è, come tale, insindacabile in sede
di legittimità se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o
l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria. È tuttavia necessario che
siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità,
dovranno riguardare non solo l’aspetto della non imputabilità al sostituto di imposta
della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la
circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il
ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre
cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse
necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni
tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il
suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di
un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere ìl debito erariale,
senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà – e-alu-i-no-n-imputabili – (ex
plurímis, sez. 3, 24 giugno 2014, n. 8352/2015, rv. 263128; sez. 3, 24 giugno 2014,
n. 40795; sez. 3, 8 gennaio 2014, n. 15416; sez. 3, 5 dicembre 2013 n. 5467/2014,
rv. 258055; sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014). Né il fatto che le obbligazioni
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di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di

tributarie siano rimaste inadempiute per l’esigenza di adempiere prioritariamente alle
obbligazioni di pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti è di per sé idoneo
a configurare la diversa circostanza Scriminante dello stato di necessità (sez. 3, n.
15416/2014, cit.), peraltro non invocata dalla difesa nel caso in esame. E anzi, la prova
inequivocabile del dolo del reato è rappresentata proprio dalla consapevole scelta di non
pagare il tributo.
Quanto all’eventuale configurabilità della forza maggiore – neanche questa

causa esclusiva dell’evento e mai quale causa concorrente di esso; essa sussiste, cioè,
nei soli casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta
antigiuridica sono dovute all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di
uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (ex
plurimis, sez. 3, 24 giugno 2014, n. 8352/2015). In altri termini, nei reati omissivi
integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di
porre in essere il comportamento omesso. In conclusione: a) l’esistenza di un margine
di scelta per l’agente esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas
della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento
dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a
sostegno della ‘forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta
imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) l’inadempimento tributario
penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti
non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente_porvi-rimedio-per
cause indipendenti dalla sua volontà.
3.2. – La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, perché ha
evidenziato che, a fronte di perdite di esercizio per l’anno 2009 del tutto irrisorie, il
ricorrente non ha contestato di non avere riscosso l’Iva non versata, ma ha
semplicemente affermato di avere consapevolmente scelto di avere destinato le somme
riscosse ad altri scopi, quali il pagamento della retribuzione dei lavoratori. Né le vicende
relative all’apertura e alla chiusura della nuova sede dell’anno 2009 possono assumere
alcun rilievo, perché – anche a prescindere dalle ragioni effettive della chiusura di tale
sede – l’attività della società è proseguita fino alla messa in liquidazione nel novembre
2012. Analogamente, nessun rilievo può essere attribuito-alle-considerazioni difensive
circa la diminuzione del numero dei dipendenti, in mancanza di sufficienti giustificazioni
circa le ragioni del preteso dissesto e circa la non imputabilità di tale dissesto alla
condotta, quantomeno colposa, dell’imputato. Le considerazioni circa la mancanza di
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espressamente invocata dal ricorrente – deve premettersi che la stessa rileva solo come

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liquidità della società si inscrivono, in altri termini, in un quadro generale di per sé
insufficiente a far ritenere configurabile l’esclusione dell’elemento soggettivo o la
sussistenza di circostanze scriminanti, non essendo stati prospettati specifici elementi
dai quali desumere le ragioni di tale mancanza di liquidità, né fatti valutabili quali cause
di forza maggiore o di stato di necessità, a fronte dell’avvenuta riscossione dell’Iva da
parte della società stessa.
3.3. – Inammissibile, per genericità, è il terzo motivo di doglianza, relativo al

generiche e dei benefici di legge. La difesa si limita, infatti, al richiamo dell’entità della
precedente condanna, la quale non impedirebbe una prognosi favorevole in ordine
all’astensione dalla commissione di altri reati. Non prende in considerazione, però,
neanche a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata; motivazione che ponendosi in totale continuità con quella di primo grado – correttamente valorizza
l’ammontare dell’imposta evasa e la negatività della personalità dell’imputato, che
emerge dalla specificità del precedente penale, a fronte della totale mancanza di
elementi positivi di giudizio, anche solo dedotti dalla difesa.
4. – Il ricorso deve perciò essere rigettato, con condanna dei ricorrente ai
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, l’ll novembre 2015.

trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti

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