Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7212 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 7212 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NOCE SANDRO N. IL 09/06/1968
avverso la sentenza n. 5989/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
11/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. \-t.
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che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 11 marzo 2014, la Corte di Appello di Roma ha confermato
la sentenza del Tribunale di Frosinone, che aveva dichiarato Noce Sandro
responsabile del delitto di cui all’art. 81 cpv. c.p. e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000,
perché, quale amministratore unico della società Edilimpianti, al fine di evadere
le imposte dei redditi e sul valore aggiunto, con più azioni del medesimo disegno
criminoso, occultava le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione
ed in particolare i libri ed i registri indicati dagli artt. 23 e 25 del D.P.R. n. 633
del 1972 e dagli artt. 16 e 21 del D.P.R. n. 600 del 1973, in modo da non

al maggio 2007 e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo aveva
condannato alla pena di anni uno di reclusione, pena sospesa.
2. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per
cassazione lamentando la violazione dell’ad 606, lett. b) ed e) c.p.p. Secondo la
difesa, la sentenza impugnata sarebbe priva di logica motivazione e fondata su
un’errata interpretazione del dato normativo. Infatti, nel corso del processo si
era evidenziato come non fosse mai stata provata l’esistenza delle scritture
contabili. Pertanto, tra i motivi di gravame si era evidenziato che il presupposto
per l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, è
che la documentazione indicata dalla norma fosse davvero esistita, essendo
punita la mancata conservazione. Infatti l’omessa formazione di tali documenti è
punita come illecito amministrativo ex art. 9 del d.lgs. n. 471 del 1997. Dunque,
il Collegio giudicante non avrebbe tenuto conto dell’indirizzo della giurisprudenza
di legittimità, secondo il quale l’omessa tenuta delle scritture contabili costituisce
un illecito amministrativo. Infine, la Corte di merito avrebbe omesso di motivare
quanto alla eccessività della pena inflitta, nonostante l’espressa doglianza
difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato atteso che le censure proposte dalla
difesa dell’imputato ripropongono questioni già ampiamente ed adeguatamente
affrontate nella sentenza impugnata, mirando sostanzialmente a sottoporre al
giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e
all’apprezzamento del materiale probatorio, laddove tali valutazioni devono
essere rimesse all’esclusiva competenza del giudice di merito. Invero, il compito
del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a
quella compiuta dai giudici di merito o di seguire possibili interpretazioni e
ricostruzioni alternative dei fatti, suggerite dal ricorrente, ma quello di stabilire
se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se
abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e

consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, per gli anni dal 1999

convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente
applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno
giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. Sez. 6,
Sentenza n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148 e Sez.6, n. 25255 del
14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).
2. Giova, inoltre, ricordare che, quando le sentenze di primo e secondo grado
“concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di

Baretti, Rv. 239735) e forma con essa un unico complessivo corpo
argomentativo. Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica, allorché i
giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante
con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e, a maggior ragione,
quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano
limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella
decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163
del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
3. Nel caso di specie, tale integrazione è ben possibile, tanto più che con
motivazione congrua e priva di smagliature logiche, la sentenza impugnata ha
dato conto in maniera chiara delle ragioni che hanno indotto a confermare la
responsabilità dell’imputato per il reato contestato, ritenendo prive di pregio le
doglianze proposte dalla difesa, peraltro, meramente ripetitive di quelle
affrontate ed argomentate già dal giudice di primo grado.
4. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (così Sez. 3, n. 3057 del
14/11/2007, Lanteri, Rv. 238613), il bene giuridico oggetto della tutela penale
del reato di occultamento di documenti contabili (art. 10 del D.Lgs. 10 marzo
2000, n. 74) è l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, poiché
la norma penale incriminatrice sanziona l’obbligo di non sottrarre
all’accertamento le scritture ed i documenti obbligatori. In linea con tale principio
di diritto la Corte territoriale, condividendo le conclusioni cui era pervenuto il
giudice di prime cure, ha correttamente evidenziato come per integrare la
fattispecie incriminatrice di occultamento delle scritture contabili di cui è
obbligatoria la conservazione, non sia necessaria la prova della circostanza dyr
una tenuta regolare della contabilità obbligatoria, essendo sufficiente
un’impossibilità relativa di ricostruzione del volume degli affari e dei redditi
ovvero una semplice difficoltà (cfr. Sez. 3, n. 28656 del 4/6/2009, Pacifico, Rv.
244583). Il reato è escluso solo quando il risultato economico delle operazioni
prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato, ma in

3

appello si salda con quella precedente” (cfr. Sez. 4, n. 15227 del 14/2/2008,

base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato, poiché in
tal caso manca la necessaria offensività della condotta (cfr. Sez. 3, n. 3057 del
14/11/2007, Lanteri, Rv. 238614).
5. Orbene, nel caso di specie, i giudici di merito hanno evidenziato che non ofit»
era stato possibile ricostruire in maniera attendibile il volume di affari ed una
realistica situazione patrimoniale della società sulla scorta delle sole fatture
attive delle quali era incerta la completezza e mancando qualsiasi fattura
passiva. In particolare, è stato evidenziato come non fosse stato possibile

idonei a ricostruire le poste passive sia dello stato patrimoniale che del conto
economico, sia un’indicazione parziale dei beni ammortizzabili, sia ogni altra
notizia circa l’eventuale esistenza di dipendenti o manodopera.
6. Parimenti infondata risulta la censura attinente alla misura della pena inflitta
al ricorrente, in quanto la stessa si esaurisce in contestazioni di merito,
inammissibili in sede di legittimità, dal momento che, secondo il costante
orientamento di questa Corte (tra le altre, Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004,
Nuciforo, Rv. 230278, Sez. 1, n. 3155 del 25/9/2013, Waychey e altri, Rv.
258410), la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito. Nel caso di
specie, condividendo le ragioni già espresse dal giudice di prime cure, la Corte
territoriale ha respinto con motivazione congrua ed esaustiva la richiesta
difensiva in punto di rideterminazione del trattamento sanzionatorio, attribuendo
rilievo sia alla gravità del fatto, considerando anche la condotta complessiva
dell’imputato, sia in considerazione del riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche ad opera del primo giudice.
7. Attesa la manifesta infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese
processuali ed al pagamento della somma di mille euro in favore della Cassa
delle ammende.
PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

ricostruire il reddito o il volume di affari, poiché mancavano tutti gli elementi

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