Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7189 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7189 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 05/11/2015

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
PAPA Giuseppe Rosario n. Centuripe il 17 marzo 1945
avverso la sentenza emessa il 23 ottobre 2014 dalla Corte di appello di Catania

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giulio Romano, che ha chiesto
la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

(„,

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 23 ottobre 2014 la Corte di appello di Catania ha

confermato la sentenza emessa il 21 giugno 2011 dal Tribunale di Enna con la quale Papa
Giuseppe Rosario era stato dichiarato colpevole dei reati di ricettazione e falso per induzione
(artt.48, 480 cod.pen.), commessi in Catenanuova tra il 14 e il 29 giugno 2007, ed era stato
condannato, ritenuta la continuazione e riconosciuta per la ricettazione l’ipotesi del fatto di
particolare tenuità, alla pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione e 600,00 euro

2.

Avverso la predetta sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso

per cassazione deducendo:
1)

la violazione di legge, con riferimento agli artt.192 co.3 e 125 co.3 cod.proc.pen.

e la manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta attendibilità del coimputato Calì,
il quale aveva dichiarato di essere stato incaricato dal Papa di presentare le richieste di codici
fiscali all’Agenzia delle Entrate di Enna in relazione a persone i cui dati anagrafici erano risultati
falsi e le cui sottoscrizioni erano state contraffatte, tra le quali vi erano le due persone che
risultavano intestatarie delle carte d’identità false consegnategli dall’imputato e risultate
contraffatte con l’apposizione di fotografie diverse dagli intestatari e dati anagrafici erronei;
quelle del Calì sarebbero dichiarazioni interessate e prive di riscontri, in particolare quanto alla
consapevolezza da parte del Papa, il quale aveva fatto solo da tramite fra i richiedenti e il Calì
per ottenerne un tornaconto economico, della falsità dei documenti d’identità e, di
conseguenza, della falsità dei codici fiscali ottenuti attraverso l’induzione in errore dei
funzionari dell’Agenzia delle Entrate;
2)

la violazione degli artt.178 co.1 lett.c) e 125 co3 cod.proc.pen. per la mancanza

di motivazione sull’istanza di rinvio proposta dal difensore impegnato dinanzi alla Corte di
assise di appello di Catania in un procedimento con imputati detenuti.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Con il primo motivo si tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti
alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva
competenza del giudice di merito, peraltro attraverso la pedissequa riproduzione degli
argomenti prospettati in punto di responsabilità nell’appello. La Corte territoriale a dette
doglianze ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che
il ricorrente non considera né specificatamente censura. Il giudice di appello ha infatti, con
argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, confermato l’attendibilità delle
dichiarazioni del coimputato Calì Agatino, assolto in primo grado perché il fatto non costituisce
reato dalle medesime imputazioni ascrittegli in concorso con il Papa. Il Cali aveva affermato di

di multa.

essersi recato all’Agenzia delle Entrate di Enna su incarico del ricorrente, il quale gli aveva
consegnato le carte d’identità e le deleghe di Zuccarà Giuseppa e D’Agata Dario Francesco,
persone poi risultate inesistenti, il cui codice fiscale gli serviva per evadere le pratiche del
patronato di Catania con il quale collaborava. La Corte ha rilevato che dalla compiuta istruttoria
dibattimentale era emersa una rappresentazione dei fatti diversa da quella fornita
dall’imputato, il quale aveva sostenuto di aver fatto da tramite tra lo stesso Calì e tale
“Antonio” per il recapito di buste chiuse, “avendo soprattutto i testi Licari e Rapisarda
delineato, in modo assolutamente concorde, un diverso protagonismo dell’imputato nella

residenti nel catanese avvalendosi dell’intermediazione del Licari, prima, e del Calì Aga tino
dopo” . Come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata, infatti, il Licari aveva
sostenuto di avere anch’egli ricevuto dal Papa l’incarico di richiedere all’Agenzia delle Entrate di
Enna due codici fiscali per soggetti, che aveva poi accertato essere residenti in zone malfamate
di Catania (motivo per il quale aveva deciso di non accettare ulteriori incarichi dall’imputato al
quale aveva indicato il Calì, “sbriga faccende” di Catenanuova , come persona cui avrebbe
potuto eventualmente rivolgersi. Il teste Rapisarda aveva riferito che in un’occasione il papa lo
aveva incaricato di consegnare una busta chiusa al Calì. La Corte territoriale ha quindi ritenuto
che la versione dei fatti dei suddetti testi fosse del tutto coerente con quella del Calì,

“mandato

giustamente assolto dal primo giudice”.
Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in
considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con
diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata in cui le conclusioni circa la
responsabilità del ricorrente risultano adeguatamente giustificate dal giudice di merito
attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto
esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza
impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a
sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a
verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e
plausibile. Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U.
30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’istanza del difensore dell’imputato di rinvio dell’udienza del 21 ottobre 2014 per un
suo impegno dinanzi alla III sezione della Corte di Assise di appello è stata accolta, come
risulta dal relativo verbale, con rinvio all’udienza del 23 ottobre 2014 all’esito della quale è
stata emessa la sentenza impugnata.

vicenda in esame, in quanto soggetto che richiedeva il rilascio di codici fiscali per soggetti

4
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente

al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

il cons. est.
Il Rresidente

Roma 5 novembre 2015

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