Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7187 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7187 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
MIRIZZI Giuseppe n. Putignano (Bari) il 27 maggio 1960
avverso la sentenza emessa il 4 giugno 2013 dalla Corte di appello di Venezia

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giulio Romano, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 05/11/2015

2Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 4 giugno 2013 la Corte di appello di Venezia ha riformato la

sentenza emessa, a seguito di giudizio abbreviato, dal giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Treviso il 18 luglio 2012. La Corte territoriale ha assolto Mirizzi Giuseppe e il
coimputato Conte Raffaele dal reato di sostituzione di persona per insussistenza del fatto ed ha
rideterminato la pena nei loro confronti in ordine al residuo reato di tentata estorsione,
commesso tra giugno e luglio del 2011 ai danni di Daniel Giuseppe. A costui il Mirizzi

dell’incontro avvenuto il 15 luglio 2015 in Ponzano Veneto cui aveva partecipato anche il Conte
e che aveva preceduto l’arresto in flagranza di entrambi, aveva con minacce chiesto la
riscossione di un credito inesistente di 150.000,00 euro e la somma di 1.500,00 euro per
rimborso spese, ottenendo a tale titolo la consegna di 400,00 euro.
2.

Avverso la predetta sentenza il Mirizzi, personalmente e tramite il difensore, ha

proposto ricorso per cassazione.
3.

Con il ricorso presentato dal difensore si deduce:

1) la mancanza di motivazione sulla richiesta qualificazione del fatto come esercizio
arbitrario delle proprie ragioni, con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell’azione
penale per mancanza di querela, e l’inosservanza dell’art.393 cod.pen., essendosi il ricorrente
limitato a chiedere il pagamento di un debito della cui riscossione era stato incaricato da tale
Gazzola; il Gazzola, secondo il ricorrente, aveva negato la circostanza solo perché spaventato
dall’arresto del Mirizzi e del Conte, che avevano usato modalità scorrette, mentre l’esistenza
del credito era certa essendo stata intrapresa azione legale per ottenerne il pagamento senza
esito;
2) la mancanza di motivazione in ordine all’applicazione dell’aumento per la recidiva,
giustificata unicamente con riferimento ai precedenti penali;
3) la mancanza o illogicità della motivazione quanto al rigetto della richiesta di riduzione
della pena, avendo il giudice di merito tenuto conto solo della “fase avanzata del tentativo”.
Con il ricorso presentato personalmente dal Mirizzi si deducono anche la mancanza
dell’elemento della minaccia nella condotta del ricorrente e l’erronea applicazione della legge
penale con riferimento agli artt.629 e 392 cod.pen.

Considerato in diritto
1.

Il ricorso è inammissibile.

2.

Quanto al ricorso proposto dal difensore, la Corte osserva quanto segue.

telefonicamente, qualificandosi con il falso nome di Antonio, ed anche di persona, nel corso

3
2.1.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte i delitti di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione si distinguono in relazione
all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella
convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare
personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo,
invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua

6 maggio 2014 n.33870, Cacciola). Nella motivazione della sentenza di primo grado, che si
integra con quella di appello di segno conforme quanto all’affermazione della responsabilità in
ordine al contestato tentativo di estorsione, la configurabilità del reato di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni con minaccia (art.393 cod.pen.) è stata esclusa perché l’elemento
psicologico dell’estorsione poteva desumersi dai comportamenti posti in essere dal Mirizzi e, in
particolare, dal contenuto dei colloqui e dei messaggi telefonici riferiti e in atti documentati
nonché dall’uso di utenze telefoniche intestate a terzi non identificati, di fatture emesse dalla
ditta del Gazzola apparentemente non genuine, di nomi diversi da quello proprio nel contattare
la persona offesa. Nella motivazione della sentenza impugnata si precisa, inoltre, che la tesi
difensiva secondo la quale il ricorrente avrebbe agito su incarico di Gazzola Giuliano, creditore
della persona offesa, era stata smentita sia dalla persona offesa, che conosceva il Gazzola

“al

quale doveva dei soldi” (f.2 ter sella sentenza di primo grado) dal quale tuttavia non aveva
ricevuto richieste di restituzione, che dallo stesso Gazzola. La circostanza che quest’ultimo
avesse mentito (negando di conoscere i due imputati e di averli incaricati di riscuotere il suo
credito per lavori edili effettuati circa dieci anni prima per conto delle imprese fallite del Daniel)
perché impaurito dall’arresto in flagranza del Mirizzi e del Conte non trovava riscontro negli
atti, in base ai quali il ricorrente e il coimputato avevano chiesto di essere giudicati con rito
abbreviato. Comunque, rileva la Corte, integrerebbe il reato di estorsione e non quello di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta di colui che, incaricato dell’esazione di un
credito per conto di un terzo estraneo, ponga in essere l’attività intimidatoria anche per il
conseguimento di un proprio profitto, come nel caso di specie in cui il Mirizzi e il Conte avevano
richiesto, oltre alla somma di 150.000,00 euro corrispondente all’asserito credito, una somma
a titolo di “rimborso spese”, parzialmente ottenuta subito prima dell’arresto in flagranza (Cass.
sez. H 16 febbraio 2006 n.12982, Caratozzolo e altri; sez.V 7 marzo 2013 n.22603, Accarino e
altri; sez.II 3 novembre 2015 n.46628, Stradi e altri).

2.2. Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale
motivato adeguatamente la mancata esclusione della recidiva contestata al Mirizzi con
riferimento specifico, quali elementi significativi di una sua maggiore colpevolezza e
pericolosità sociale, non solo ai precedenti penali “numerosi, gravi ed anche specifici”, ma
anche ai periodi di detenzione sofferta; del resto nella sentenza di primo grado, espressamente

v■G-N

ingiustizia (cfr., tra le più recenti, Cass. sez.II 3 novembre 2015 n.46628, Stradi e altri; sez.II

richiamata dalla Corte territoriale, erano già state messe in risalto, per

giustificare

l’applicazione della recidiva, la “pluralità, vicinanza e gravità dei delitti precedentemente
commessi”.

2.2.

Anche il terzo motivo è manifestamente infondato. Nel rideterminare la pena per

il residuo delitto di tentata estorsione, la Corte territoriale si è limitata sostanzialmente ad
eliminare l’aumento per la continuazione relativo al delitto di sostituzione di persona per il
quale il ricorrente è stato assolto. Nell’atto di appello la “modesta riduzione per il tentativo” è

la riduzione ex art.56 cod.pen. in misura prossima alla metà rispetto al minimo edittale
previsto per il reato di estorsione consumata per cui non era necessaria una specifica
motivazione, anche in considerazione della sommarietà della censura e del richiamo nella
motivazione della sentenza di appello all'”entità complessivamente non lieve del reato” e
all’art.133 cod.pen..
Quanto al ricorso proposto personalmente dall’imputato, la Corte rileva che le censure
in gran parte ripropongono quelle già formulate e argomentate dal difensore, ritenute
infondate, e che il riferimento all’art.392 cod.pen. (esercizio arbitrario mediante violenza sulle
cose) è incongruo, mentre l’eventuale errore materiale nell’indicazione della norme di cui si
deduce la violazione (art.393 cod.pen, e non art.392 cod.pen.) non avrebbe alcun effetto
essendo stata già disattesa l’analoga censura relativa alla qualificazione giuridica del fatto
contenuta nel ricorso presentato dal difensore. La mancanza dell’elemento della minaccia nella
condotta del ricorrente è esclusa sulla base delle chiare, precise e attendibili dichiarazioni della
persona offesa che ha riferito le frasi, di contenuto inequivocabilmente minaccioso anche nei
confronti dei suoi familiari, pronunciate al suo indirizzo dal sedicente Antonio sia in occasione
della telefonata dell’8 luglio 2011, sia in occasione dell’incontro del 15 luglio successivo (ff.3, 4,
5 e 6 sentenza di primo grado).
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che,
in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 5 novembre 2015

stato solo genericamente dedotta e, comunque, entrambi i giudici di merito hanno determinato

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