Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7186 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7186 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
DI GIORGIO Tommaso n.Rho (Milano) il 27 agosto 1951
avverso la sentenza emessa il 28 ottobre 2013 dalla Corte di appello di Milano

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giulio Romano, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
sentito l’avv. Michele Andreano del foro di Ancona, sostituto del difensore di fiducia avv.
Alessandra Silvestri del foro di Milano, che si è riportato ai motivi di ricorso;
osserva:

Data Udienza: 05/11/2015

E
Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 28 ottobre 2013 la Corte di appello di Milano ha riformato

la sentenza emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Di Giorgio Tommaso, condannato in
primo grado in ordine al reato di ricettazione di un’autovettura Volkswagen provento di furto
consumato il 21 giugno 2008 e di falsificazione di una carta d’identità sulla quale veniva
apposta la fotografia di Montefusco Bruno e il nome di tale Lombardo Antonio.
La Corte territoriale, ritenuta la recidiva semplice, anziché quella specifica e

il vincolo della continuazione, ad anni due, mesi nove di reclusione ed euro 1.000,00 di multa
ed ha revocato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
2.

Dalle indagini preliminari, in particolare dalle intercettazioni telefoniche e dai

servizi di osservazione svolti con la collaborazione delle autorità svizzere, era risultato il
coinvolgimento del Di Giorgio -unitamente a Quintela Garcia, Montefusco Bruno, Polizzi Luigi e
Polettí Giorgio- negli atti preparatori di una rapina ad un istituto di credito svizzero che il
gruppo aveva progettato di compiere nei primi mesi del 2009. Per realizzare la rapina il Di
Giorgio aveva personalmente affittato un appartamento in un paese vicino a Basilea e aveva
noleggiato un’autovettura utilizzata per i sopralluoghi in territorio elvetico, ove si era recato più
volte tra il gennaio e il febbraio 2009 con il Quintela e il Polizzi, adoperandosi anche per
procurare un documento falso al Montefusco e accompagnando il 28 febbraio il Quintela a
prelevare in Coldrerio, nell’area di servizio immediatamente successiva al confine italosvizzero, l’autovettura VW Tuareg custodita in Blevio dal Poletti. Il Di Giorgio, arrestato il 10
marzo 2009, era stato condannato dall’Autorità giudiziaria svizzera, con sentenza passata in
giudicato il 4 gennaio 2012, per il reato di atti preparatori alla rapina previsto dall’art.260 bis
del codice penale elvetico.

4. Avverso la predetta sentenza il Di Giorgio, tramite il difensore, ha proposto ricorso
per cassazione. Con il ricorso si deduce:
1) l’erronea interpretazione ed applicazione della legge penale in relazione alla mancata
osservanza del principio del

ne bis in idem

internazionale e l’erronea interpretazione

dell’art.649 cod.proc.pen. nonché la contraddittorietà della motivazione; le condotte di
ricettazione e falsificazione sarebbero infatti comprese nella condotta sanzionata nella sentenza
emessa dall’A.G. svizzera per un reato (atti preparatori) non previsto nel nostro ordinamento;
nella sentenza impugnata, pur richiamandosi la sentenza di questa Corte n.18376 del 2013
nella parte in cui individua l’idem factum ai sensi dell’art.649 cod.proc.pen. con il fatto inteso
in senso storico-naturalistico, sarebbero state applicate erroneamente le norme penali interne
ritenendo che la condotta in esame, benché unitaria, avessero leso beni aventi distinta
oggettività giuridica, sussistendo dunque un concorso eterogeneo di reati; sarebbe stato così
ignorato quanto dedotto dalla difesa circa l’evoluzione giurisprudenziale che per

“medesimi

infraquinquennale contestata, ha ridotto la pena per i due reati, già unificati in primo grado con

fatti”, tali da rendere applicabile il principio del ne bis in idem, ha dato un’interpretazione molto
ampia, mentre la giurisprudenza interna citata dalla Corte territoriale è piuttosto risalente; le
imputazioni contestate dall’A.G. italiana corrisponderebbero alle condotte descritte ai punti 18
e 19 e comprese tra gli atti preparatori nella sentenza svizzera;
2) il difetto di motivazione in ordine all’applicabilità del principio del ne bis in idem
internazionale, avendo la Corte territoriale fatto un mero richiamo alla sentenza di primo
grado, senza prendere in considerazione i motivi di appello sul punto, in particolare la

attualmente vigente tra Italia e Svizzera (art.54 della Convenzione di Applicazione dell’Accordo
di Schengen applicabile ai rapporti Italia-Svizzera in ragione dell’accordo tra la Confederazione
Svizzera e l’Unione Europea in data 26 ottobre 2004:Cass. pen. n.49706/2009; art.4 del 70
Protocollo alla Convenzione per la salvaguardia del diritto dell’uomo e delle libertà
fondamentali); la Corte costituzionale con le sentenze nn.348 e 349 del 2007 ha stabilito
l’obbligo per il giudice nazionale di conformarsi alla giurisprudenza di Strasburgo; l’art.6 del
Trattato sull’Unione Europea (Trattato di Lisbona) prevede, secondo alcuni autorevoli interpreti,
che le disposizioni della CEDU e relativi protocolli addizionali troverebbero applicazione
immediata negli ordinamenti degli stati membri; nessuna clausola di salvaguardia è
contemplata in sede di attuazione della CAAS; la sentenza impugnata nulla dice in proposito;
3) il difetto di motivazione e la mancata considerazione di elementi essenziali proposti
dalla difesa, l’erronea valutazione degli atti di causa, il travisamento dei fatti e l’erronea
applicazione della legge penale con riferimento al reato di ricettazione, non avendo avuto il Di
Giorgio alcun contatto diretto e personale con l’autovettura, di cui ben poteva ignorare la
provenienza furtiva; sarebbe stata trascurata la portata delle dichiarazioni del Poletti e del
Montefusco, che avevano scagionato il ricorrente;
4) l’erronea applicazione della legge penale in ordine al reato previsto dall’art.497-bis
comma 2 cod.pen., relativo ad un documento d’identità nemmeno acquisito agli atti;
5) l’erronea applicazione della legge penale quanto al mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche per i precedenti penali dell’imputato, senza considerare il suo
leale e collaborativo comportamento processuale.
E’ stata depositata una memoria difensiva in cui si richiama la sentenza n.29664 del
2014 della Prima sezione penale.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.

giurisprudenza comunitaria e interna citata nell’appello nonché la normativa internazionale

1.1. Il primo e il secondo motivo sono manifestamente infondati.
Al di là della pur pregevole ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale del principio del
ne bis in idem internazionale fatta dalla difesa che peraltro reitera analoghi motivi di appello
ritenuti infondati nella sentenza impugnata con ampia motivazione, va rilevato che nella la
Corte territoriale ha condiviso quanto affermato nella sentenza di primo grado circa la diversità
dei fatti ascritti al Di Giorgio nell’ambito del presente procedimento (ricettazione e formazione
di una falsa carta di identità ex art.497-bis, secondo comma, cod.pen.) rispetto a quelli per i

preparatori alla rapina (condotte specificamente indicate ai punti 18 e 19 dell’imputazione
dell’A.G. svizzera).
Come questa Corte ha più volte affermato (sez. IV 25 giugno 2008 n. 31446, P.G. in
proc. Mustaccioli; sez.IV 6 dicembre 2012 n.4103, Guastella; sez. II 21 marzo 2013 n. 18376,
RG. in proc. Cuffaro; sez.II 6 febbraio 2015 n.19712, Alota e altri), ai fini dell’operatività del
divieto di un secondo giudizio, la valutazione sull’identità del fatto è circoscritta all’elemento
materiale del reato nelle sue componenti essenziali attinenti alla condotta, al nesso causale ed
all’evento, nonché alle circostanze di tempo e di luogo del fatto-reato, considerati non solo
nella loro dimensione storico-naturalistica ma anche in quella giuridica, potendo una medesima
condotta violare contemporaneamente più disposizioni di legge. La Corte ha anche affermato,
con pronuncia che il collegio condividede (Cass. sez.II 4 dicembre 2013 n.292, Coccorullo) che,
ai fini della preclusione del giudicato, l’identità del fatto è configurabile solo quando questo si
realizza nelle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, con la conseguenza che
costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del
medesimo reato, sia un’ulteriore estrinsecazione dell’attività del soggetto agente, diversa e
distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con
sentenza definitiva.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di detti principi confrontando, come
aveva già fatto il giudice di primo grado, le concrete condotte contestate nell’ambito del
procedimento conclusosi con la sentenza di condanna emessa dalla Corte Suprema del Canton
Soletta in data 16 novembre 2011, divenuta irrevocabile il 4 gennaio 2012, nei confronti del Di
Giorgio e quelle contestate allo stesso nell’ambito del presente procedimento. La conclusione
cui è motivatamente pervenuta è che “I’A.G. svizzera svizzera ha giudicato della tentata
rapina, mentre l’A.G. italiana giudica dei reati concorrenti di ricettazione e falso documentale
(entrambi commessi in Italia), valutando, dunque, altre e diverse implicazioni penali della
complessa vicenda criminosa, senza alcun vulnus del principio del ne bis in idem
internazionale”.
In particolare si è osservato che il reato previsto dall’art.497-bis, secondo comma,
cod.pen. contestato al capo 5 si riferisce ad una condotta (capo 5:

“…perché fabbricava o

quali il Di Giorgio è stato condannato dall’Autorità giudiziaria svizzera in relazione agli atti

comunque formava, in concorso con Monte fusco Bruno e con persona non identificata, alla
quale veniva fornita la fotografia del Monte fusco, la carta d’identità A34754994 intestata a tale
Lombardo Antonio nato a Matera il 6.3.1965, residente in Milano viale Monza 248; documento
valido per l’espatrio contraffatto”)

inequivocabilmente commessa in Italia, benché nella

contestazione si faccia riferimento ad un luogo imprecisato. Dalle conversazioni intercettate il
25 e 26 febbraio 2009 (f.6 della sentenza di primo grado e ff.13,14 della sentenza di appello)
risulta infatti che il Di Giorgio, come lo stesso imputato aveva ammesso, si era adoperato per
procurare il “santino” destinato ad essere utilizzato dal Montefusco; che in particolare il Di

documento prima della partenza per la Svizzera (la falsificazione era quindi avvenuta in
territorio italiano); che lo stesso Di Giorgio, in conversazioni telefoniche intercettate il 26
febbraio 2009, manifestava perplessità sulla data di scadenza “esageratamente avanti” del
documento e prendeva appuntamento con il Montefusco per la consegna. La condotta cui fa
riferimento la sentenza emessa dall’A.G. svizzera (punto 18) era diversa rispetto a quella,
successiva alla contraffazione specificamente contestata al capo 5, per la quale il Di Giorgio era
stato condannato dall’A.G. elvetica (punto 18: l’essersi recato, tra il 25 e il 26 febbraio 2009,
da un certo Umberto per prendere una carta di identità a nome Lombardo Francesco, per poi
consegnarla a Montefusco Bruno).
Quanto al reato di ricettazione dell’autovettura Wv Tuareg, destinata ad essere utilizzata
per la fuga dopo la progettata rapina da realizzarsi in territorio elvetico, sia il giudice di primo
grado che la Corte territoriale hanno ritenuto, attraverso un’analitica ricostruzione dei fatti
coerente con le risultanze processuali e immune da vizi logici, che il Di Giorgio ne avesse
conseguito la disponibilità ben prima del 28 febbraio 2009 (allorché il mezzo era stato portato
in territorio elvetico dal Poletti ed era stato preso in consegna dal Di Giorgio e da Quintela
Garcia). Sin dal 2 gennaio 2009, infatti, il Quintela Garcia, pedinato, era stato sorpreso nella
disponibilità dell’autovettura, poco prima di incontrarsi con il gruppo coinvolto nel progetto di
rapina (Polizzi, Montefusco e Di Giorgio); il mezzo, di provenienza furtiva, era destinato ad
essere utilizzato per commettere la rapina, come si desumeva dalla telefonata intercettata lo
stesso 2 gennaio 2009 (conversazione tra Bianco Isabel e la moglie di Montefusco) in cui si
faceva riferimento al Quintela che aveva la disponibilità di un’autovettura “…quella de/lavoro
…e se la perde l’ammazzano”; il gruppo sin dai primi incontri monitorati dagli investigatori
disponeva dell’autovettura Wv Tuareg, di provenienza furtiva, affidata in custodia al Poletti che
l’aveva custodita a Blevio, in prossimità del confine svizzero, dal 24 al 31 gennaio 2009, prima
che l’esecuzione della rapina venisse rinviata per essere stati il Quintela e il Polizzi controllati
dalla Polizia cantonale, e successivamente dal 27 febbraio al 28 febbraio 2009. Il Di Giorgio,
osservava la Corte territoriale, era pienamente coinvolto nel progetto di rapina sin dall’inizio
(avendo affittato l’abitazione che sarebbe stata la base logistica in Svizzera, noleggiato
l’autovettura utilizzata per i sopralluoghi, conosceva gli altri partecipi per averli incontrati più

Giorgio aveva commissionato la falsificazione a tale Umberto, che aveva consegnato il

volte tutti insieme (anche il 2 gennaio 2009, in cui era stata accertata la disponibilità
dell’autovettura da parte del Quintela). L’utilizzo dell’autovettura Wv Tuareg di provenienza
furtiva per la rapina, ha concluso la Corte territoriale, non poteva essergli ignota sin dai primi
giorni del 2009, in quanto il suo coinvolgimento nell’attività preparatoria della rapina era totale
e presupponeva un’integrale conoscenza del progetto. La condotta per la quale il Di Giorgio è
stato condannato dall’A.G. svizzera (punto 19) riguardava invece un’attività compiuta
successivamente in territorio svizzero, cioè “l’essersi recato il 28.2.09 di sera con Josè Garda
Quintela con la Mercedes A180CDI (DH062NW) da Milano, corso Como, all’autogrill di Colderio

arnesi per la fuga” (punto 19).
1.2.

Il terzo motivo è del pari manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale

fornito una compiuta motivazione circa il concorso del Di Giorgio (con il Montefusco, il
Quìntela Garda, il Polizzi e il Poletti) nel reato di ricettazione accertato il 2 gennaio 2009. Si
richiama sul punto quanto detto nell’esame dei precedenti motivi di ricorso. In ordine alla
consapevolezza della provenienza furtiva dell’autovettura da parte del Di Giorgio la Corte
territoriale ha fornito una motivazione plausibile e logicamente coerente con le risultanze
processuali che vedevano il ricorrente in stretto contatto con i correi sin dal momento in cui
l’autovettura, destinata alla realizzazione della rapina, era stata acquisita dal gruppo e poi
cautelativamente affidata in custodia al Poletti. L’autovettura peraltro, dopo

il rinvio della

rapina avvenuto alla fine di gennaio, era stata riportata a Milano e di nuovo trasferita a
Blevio, luogo da cui il Poletti si era mosso il 28 febbraio 2009 per consegnare il mezzo al
Quintela e al Di Giorgio che lo attendevano in un’area di servizio di Coldrerio. La Corte ha
ritenuto che, considerate le circostanze della custodia e della consegna, il Di Giorgio fosse
ben consapevole del previsto utilizzo dell’autovettura in questione per la rapina e della sua
origine illecita. Le deduzioni difensive sono fondate su una diversa lettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di
merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione
esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli
elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il
profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.
1.3.

Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.

La mancata acquisizione agli atti del documento in questione non era indispensabile ben
potendo la sua falsità desumersi, oltre che dall’inequivoco contenuto delle intercettazioni sul
“santino” e sulle perplessità manifestate dallo stesso Di Giorgio sulla data di scadenza
“esageratamente in avanti”

del documento, anche dalle dichiarazioni del coimputato

Montefusco e dalle ammissioni dello stesso Di Giorgio. La falsità del documento risultava
peraltro anche dal verbale di sequestro e dall’annotazione in data 27 maggio 2010.

per incontrarsi con Giorgio Poletti per prendere possesso dell’autoveicolo Wv Tuareg e relativi

1.4.

Il quinto motivo, riguardante il mancato riconoscimento delle circostanze

attenuanti generiche, attiene al merito.
La Corte territoriale ha ritenuto che il riconoscimento delle circostanze attenuanti
t-

generiche fosse impedito dalla particolare gravità delle condotte, espressione di un articolato
progetto criminale, e dall’intenso” curriculum criminale del Dì Giorgio , il quale aveva già
beneficiato in larga misura di liberazione anticipata, detenzione domiciliare e affidamento in
prova al servizio sociale in relazione alle pregresse condanne inflitte per fatti analoghi (rapine,

La Corte rileva che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la sussistenza
di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di
fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti
della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria,
non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento
per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. sez.VI 24
settembre 2008 n.42688, Caridi; sez.VI 4 dicembre 2003 n.7707, Anaclerio). Pertanto il
diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche
sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto
prevalente rispetto ad altri (Cass. sez.VI 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic).
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 5 novembre 2015

il cons. est.

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