Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 718 del 24/10/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 718 Anno 2017
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: AIELLI LUCIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PELLEGRINO CARMINE N. IL 27/11/1976
D’ASCOLI GERARDO N. IL 27/03/1944
avverso la sentenza n. 1801/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
24/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA AIELLI;

Data Udienza: 24/10/2016

In fatto e in diritto

Pellegrino Carmine e D’ascoli Gerardo ricorrono avverso la sentenza della
Corte d’appello di Salerno del 24/4/2015 che , in parziale riforma della sentenza
del Tribunale di Salerno del 22/11/2011, dichiarata l’estinzione di un reato di
estorsione contestato al capo b) della rubrica, rideterminava la pena inflitta ,
ritenendo comunque sussistente la circostanza aggravante ad effetto speciale di
cui all’art. 7 D.L. 152/1991, chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606,

motivazione con riguardo alla indicata aggravante.
Osserva la Corte che il ricorso è, da un lato, privo della specificità
prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 c.p.p. e, dall’altro,
manifestamente infondato: nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni
dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello. Deve,
infatti, a questo riguardo rilevarsi che nel ricorso per cassazione contro la
sentenza di appello non possono essere riproposte questioni che avevano
formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in
maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di
riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la
impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606, terzo
comma, ultima parte, cod. proc. pen. Con particolare riferimento alla sussistenza
della circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/1991, la Corte territoriale,
nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, si è adeguata al costante
orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della
configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista
dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), non è
necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione
per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla
mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente
mafiosa del vincolo associativo (Sez. 2, n. 16053/2015, Rv. 263525).
Nel caso in esame il richiamo al fatto di “essere stati inviati da gente
importante gente che conta” , correttamente è stato ritenuto evocativo di
un’organizzazione criminale, quale strumento di amplificata coartazione
psicologica nei confronti della vittima.
Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di
legittimità (Sez. U n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289
del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
Uniformandosi a tale orientamento che il Collegio condivide, va dichiarata
inammissibile l’impugnazione; ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la

Ì(fe

comma 1 lett. e) cod. proc. pen.; deduce la carenza e l’illogicità della

condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in € 2.000,00 ciascuno .
P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di duemila euro alla Cassa

Roma, 24/10/2016

delle ammende.

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