Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7171 del 29/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7171 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI LEONARDI VITO N. IL 17/03/1963
avverso la sentenza n. 234/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
12/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 29/11/2013

Con sentenza in data 12/3/2012 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza del
23/9/2011 del Tribunale di Sciacca con cui il Sig. Vito DI LEONARDI è stato condannato in
relazione al reato previsto dagli artt.81 cod. pen. e 2 del d.l. 12 settembre 1983, n.463
convertito in I. 11 novembre 1983, n.638 e successive modifiche, commesso nell’anno 2008.

Il ricorso è manifestamente infondato e viziato da genericità. La Corte di appello ha fornito
chiara e non illogica motivazione delle ragioni per cui le retribuzioni devono considerarsi
effettuate (presentazione dei c.d. modelli DM 10) e delle ragioni per cui le invocate attenuanti
non possono essere concesse (pluralità di precedenti condanne). Va dunque ricordato che,
secondo il costante orientamento di questa Corte, si considerano generici, con riferimento al
disposto degli artt.581, comma primo, lett.c) e 591, comma primo, lett. c) c.p.p., i motivi che
ripropongono davanti al giudice di legittimità le medesime doglianze presentate in sede di
appello avverso la sentenza di primo grado e che nella sostanza non tengono conto delle
ragioni che la Corte di appello ha posto a fondamento della decisione sui punti contestati. Si
tratta di interpretazione costantemente applicata dalla giurisprudenza di questa Corte ed
espressa, da ultimo, con la sentenza della Sesta Sezione Penale, n.22445 del 2009, P.M. in
proc.Candita e altri, rv 244181, ove si afferma che “e’ inammissibile per genericità il ricorso
per cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o
memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del
provvedimento impugnato”.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la
somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29/11/2013.

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta: a) errata applicazione di
legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. per la mancata assoluzione in difetto dei presupposti
oggettivi e soggettivi del reato; b) errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc.
pen. per mancata concessione delle richieste circostanze attenuanti generiche.

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