Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7155 del 29/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 7155 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MULLIRI GUICLA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Ceglie Michele, nato ad Altamura (Ba) il 29.8.82
imputato art. 2 D.Lgs. 74/00
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova del 19.12.12

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;

osserva

La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna inflitta al
ricorrente in primo grado, alla pena di un anno e due mesi di reclusione (così ridotta per il rito
abbreviato), in relazione all’accusa di avere, il Ceglie, indicato nelle dichiarazioni IVA e delle
imposte, componenti passivi fittizi, avvalendosi di fatture emesse per operazioni inesistenti.
Con il presente gravame, il Ceglie lamenta violazione di legge per carenza di
motivazione in quanto dall’esame dell’imputato e da quello di Moramarco (alla cui escussione è stata
subordinata la richiesta di giudizio abbreviato) è consentito evincere che le operazioni sottostanti le
fatture non erano inesistenti. In ogni caso, ci si duole anche della eccessività della pena e della
mancanza di una motivazione adeguata per giustificare il superamento dei minimi edittali.
Il ricorso è inammissibile perché in fatto e, comunque, manifestamente infondato.
Va detto, che, in realtà, ragione assorbente per la presente declaratoria risiederebbe nel
fatto che i motivi di ricorso qui svolti sono esattamente gli stessi sviluppati in appello e, ad

Data Udienza: 29/11/2013

essi, la Corte, ha più che adeguatamente replicato. Tanto basterebbe a considerare i motivi qui
in esame come “apparenti” e, quindi, ritenere il ricorso immotivato (x ex plurimis, Sez. VI, 8.5.09, Candita,
Ad ogni buon conto, il primo motivo, non avrebbe potuto essere proposto, in questa
sede di legittimità nei termini sopra riassunti per l’evidente ragione che implica una
rivalutazione dei dati processuali al solo scopo di valutare la possibilità di “rileggerli” in modo
tale da trarne conseguenze diverse e più favorevoli all’imputato. Notoriamente, però,i1 compito
di questa S.C. è solo quello di verificare la logica della chiave interpretativa adottata dai giudici
di merito ed, ove quest’ultima risulti conforme ai criteri della logica e rispondente alle
emergenze processuali, non ha alcuna importanza che, in teoria, queste ultime siano
suscettibile di differente interpretazione (sez. II 11.1.07, Messina, Rv. 235716).
Sicuramente, nella specie, non si può muovere alcuna critica alla sentenza dei giudici di
secondo grado che hanno diligentemente ripercorso i fatti nonché le vicende processuali e li
hanno commentati in modo logico perché, proprio prendendo spunto dalle parole dell’imputato
e del teste Moramarco (il quale ultimo – titolare della ditta emittente – aveva negato di avere svolto le
presatzioni indicate dalle fatture) essi hanno ritenuto l’implicita infondatezza della tesi difensiva.
Né censurabile risulta la motivazione in punto di pena avendo essi giustamente fatto
notare all’appellante che la pena base da cui aveva preso le mosse il giudice era stata quella di
1 anno e 9 mesi di reclusione e, cioè, solo di tre mesi superiore al minimo edittale. Peraltro, la
scelta è stata ritenuta più che adeguata (anche nel diniego delle attenuanti generiche) viste la non
lievità del fatto (evasione per oltre 40.000) e la esistenza di due precedenti, uno dei quali anche
specifico.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.
P.Q.M.
Visti gli artt. 610 e ss. c.p.p.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.

Così deciso in Roma nell’udienza del 29 novembre 2013

Il Presidente

Rv. 244181; Sez. V, 27.1.05, Giagnorio, Rv. 231708).

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