Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7152 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 7152 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ESPOSITO ALDO

Data Udienza: 12/11/2015

01/07/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Aldo Esposito;

lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Paolo Canevelli, che ha chiesto l’annullamento con rinvio;

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RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 05/11/2013, il Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria rigettava
l’appello proposto da Dattilo Francesco Mario avverso l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Reggio Calabria del 21/02/2013 di dichiarazione di delinquenza abituale e di applicazione
della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni 2.
Con sentenza del 14/04/2014, la Corte di Cassazione annullava la predetta ordinanza con

fesa, in quanto aveva ritenuto fondata la dedotta questione preliminare di nullità, per omessa
acquisizione delle dichiarazioni del condannato, ristretto fuori circondario, in violazione dell’art.
666, comma 4, cod. proc. pen.. Riteneva poi assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso (nullità del
decreto di irreperibilità e insussistenza dei presupposti per la dichiarazione di abitualità nel reato).
Con ordinanza del 01/07/2014, il Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria rigettava nuovamente l’appello proposto dalla difesa del condannato.
In riferimento all’eccezione di nullità del decreto di irreperibilità indicava l’esito negativo degli
ulteriori accertamenti eseguiti dalla Questura di Reggio Calabria riportati in due informative,
anche in riferimento alla risposta del fratello Dattilo Giandomenico, presente sull’ultimo luogo
di svolgimento dell’attività lavorativa. Inoltre, stante la pendenza di procedimenti penali a carico del soggetto, riconfermava la permanenza dei presupposti per la dichiarazione di delinquenza abituale.
Avverso la suindicata ordinanza la difesa di Dattilo Francesco Mario proponeva ricorso per
Cassazione sotto i seguenti profili:
A) Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 178, lett.
c) e 159 cod. proc. pen..
In proposito, evidenziava che la dichiarazione di irreperibilità rivestiva efficacia limitata alla
fase ed al procedimento di riferimento; riteneva necessaria la ripetizione delle ricerche, già
svolte ai fini dell’esecuzione di una misura di prevenzione, stante l’inutilizzabilità degli esiti negativi dei tentativi di notifica operati in detto procedimento.
Evidenziava che le ricerche erano state eseguite presso i domicili di v. Possidonea 54 e v. SS
18 e non presso il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, nonostante il decorso di circa
due mesi da quelle inerenti alla notifica della misura di prevenzione, ed in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza relativamente alla necessità di svolgerle cumulativamente nei
luoghi indicati dall’art. 159 cod. proc. pen.. Al riguardo, segnalava che il fratello del condannato si era limitato a negare di avere notizie del fratello e non aveva riferito che lo stesso non
svolgeva più attività presso quell’esercizio commerciale.
B) Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt.
103 e 109, comma secondo, cod. pen..

rinvio per nuovo esame a detto Tribunale, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla di-

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In riferimento a tale aspetto, la difesa del condannato rappresentava che ai fini della dichiarazione di abitualità, se pronunciata dopo la sentenza di condanna, non potevano essere valutate le condotte successive tenute dal colpevole.
Il ricorrente asseriva che il provvedimento impugnato risultava viziato per motivazione carente o contra legem: a suo avviso, il Tribunale di Sorveglianza, nel pronunziare la dichiarazione di abitualità nel reato del Dattilo, si era limitato a confermare il proprio precedente provvedimento del 05/11/2013, ritenendolo ben motivato in ordine alla ricorrenza dei presupposti di

Il difensore criticava il richiamo nel provvedimento impugnato operato in ordine ai pregiudizi
per i fatti commessi successivamente al 2003, inerenti a procedimenti pendenti o definiti con
sentenza di assoluzione. A suo avviso, il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto far riferimento esclusivamente agli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., per formulare il giudizio di
pericolosità inerente alla dichiarazione di abitualità, senza riprodurre tautologicamente il testo
normativo.
Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato e quello precedente del Tribunale di sorveglianza annullato dalla Cassazione non valutavano la non omogeneità dei reati presi in considerazione, la loro diversità di indole, l’avvenuta consumazione in un arco temporale ampio e
l’epoca remota di commissione oltre dieci anni dall’ultima condanna; inoltre, l’organo giudicante non avrebbe esaminato gli elementi positivi, quali la prova della partecipazione all’opera di
rieducazione nonché il conseguimento di benefici e di diplomi.
Chiedeva, pertanto, pronunziarsi l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per
nuovo esame al giudice de quo.
Il Sostituto Procuratore Generale dr. Paolo Canevelli, mediante requisitoria scritta, concludeva per l’annullamento senza rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti sotto precisati in motivazione.
Il primo motivo di impugnazione, attinente ad un presunto error in procedendo, costituito
dalla nullità dell’avviso di fissazione di udienza al condannato Dattilo Francesco Mario per inosservanza delle regole per la dichiarazione di irreperibilità, non è meritevole di accoglimento.
Ebbene, dall’esame degli atti del procedimento, consentito in ragione della natura del vizio
dedotto dalla difesa del ricorrente, emerge che il condannato aveva presenziato all’udienza del
01/07/2014 dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria (in sede di rinvio dopo
l’annullamento pronunziato da questa Corte); la sua presenza in udienza comportava la sanatoria dell’eventuale difetto di notifica. Nel corso dell’udienza, peraltro, si procedeva altresì
all’audizione del Dattilo e, pertanto, il principio del contraddittorio risultava pienamente rispettato.

legge per detta dichiarazione.

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E’ fondato il secondo motivo di impugnazione (già prospettato nell’ambito del primo ricorso
per Cassazione), riguardante la motivazione carente o contra legem del provvedimento del Tribunale di sorveglianza emesso in sede di rinvio da questa Corte, di rigetto dell’appello avverso
l’ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza dichiarava l’abitualità del Dattilo nel reato
e gli applicava la misura di sicurezza della casa di lavoro per la durata minima di anni 2.
Preliminarmente, va rilevato che il caso in esame non rientra nell’ipotesi di abitualità presunta dalla legge, prevista dall’art. 102 cod. pen., bensì in quella di abitualità ritenuta dal giudice,

L’abitualità di cui all’art. 103 cod. pen., è rimessa al potere discrezionale del magistrato, il
quale preliminarmente deve constatare la sussistenza di determinate condizioni legali e poi deve accertare la pericolosità del soggetto, ed è tenuto a darne giustificazione a mezzo di adeguata motivazione, ai fini della configurabilità nel caso concreto (cfr. Cass., Sez. 2, 14/12/2012
n. 1423, dep. 2013, Cetrullo, Rv. 254187).
La declaratoria di abitualità nel delitto, quando non e pronunciata con la stessa sentenza di
condanna, può essere emessa con provvedimento successivo, in ogni tempo, dal magistrato di
sorveglianza. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di abitualità nel delitto è pronunciata anche
contro chi, dopo una condanna per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto
non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravita dei reati, del tempo entro il quale
sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze
indicate nel capoverso dell’art. 133 cod. pen., ritiene che il soggetto è dedito al delitto; se è
pronunciata dopo la sentenza di condanna, non si tiene conto della successiva condotta del
colpevole e rimane ferma la pena inflitta (art. 109, comma secondo, cod. pen.).
Ebbene, nell’ordinanza impugnata emerge la sussistenza di una carenza motivazionale poiché il riconoscimento da parte dell’organo giudicante dell’abitualità risulta fondata esclusivamente sulla pendenza di procedimenti penali a carico del Dattilo; il provvedimento in esame
non rende esplicite le ragioni, per le quali gli elementi negativi di valutazione costituirebbero
sintomo di pericolosità del condannato e non rispetta il principio della non valutabilità della
successiva condotta del colpevole (art. 109, comma secondo, cod. pen.).
Come affermato costantemente dalla S.C., Desolo accertamento dell’esistenza di precedenti
penali e/o di carichi pendenti non consente kdichiarazione l’abitualità nel reato, qualora manchi una motivata specificazione degli elementi indicativi dell’attuale e concreta pericolosità sociale del soggetto, tali da evidenziare il grado di radicamento della tendenza delittuosa manifestata nello specifico delitto nella personalità del soggetto stesso, mostrandone la capacità criminale (in tal senso, Cass., Sez. 5, 17/09/2008 n. 43077, Montalto, Rv. 242595; Sez. 2,
08/01/1997 n. 2536, Sassanelli, Rv. 207303).
Per disporre la misura di sicurezza nei confronti di condannato, al quale questa è stata comminata per effetto dell’intervenuta declaratoria di delinquenza abituale, è necessario accertare
la persistenza della pericolosità sociale al momento della sua effettiva applicazione; in ogni caso, la pericolosità è sempre ancorata a fatti inevitabilmente pregressi rispetto a tale momento

disciplinata dall’art. 103 cod. pen..

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e, precipuamente, alla perpetrazione di delitti, cui si aggiunge una sfavorevole prognosi in ordine alla probabilità che il soggetto commetta in futuro nuovi reati (in tal senso, Cass., Sez. 1,
22/12/1993/22/02/1994 n. 5643, Pistillo, Rv. 196549).
In considerazione dell’esposta carenza motivazionale, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza, per nuovo esame in applicazione dei suesposti
principi.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma il 12 novembre 2015.

P. Q. M.

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