Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7145 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 7145 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI TRENTO
nei confronti di:
ISLAM NAZMUL N. IL 10/12/1974
TABARELLI DE FATIS GIANLUIGI N. IL 16/06/1963
avverso la sentenza n. 530/2013 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di TRENTO, del 30/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO MANCUSO
:

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Data Udienza: 13/11/2015

Il Pubblico Ministero, in persona del dott. Enrico Delehaye, Sostituto
Procuratore generale presso questa Corte, ha concluso chiedendo
l’annullamento con rinvio.
L’avv. Paolo Demattè, in difesa di Islam Namzul, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.

1. Con sentenza del 30 gennaio 2014, depositata il 25 febbraio
2014, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Trento dichiarava
non luogo a procedere, con la formula «perché il fatto non sussiste», nei
confronti di Islam Nazmul e Gianluigi Tabarelli de Fatis, imputati dei delitti
di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 12 comma 3 lett. a) d.lgs. 286/1998 e
di cui agli artt. 56, 48, 479 cod. pen. Nel capo di imputazione si contestava
ai predetti di aver compiuto, in concorso tra di loro, «atti diretti a favorire

illegalmente l’Ingresso nel territorio dello Stato di venti cittadini del
Bangladesh. Ciò facevano presentando all’ Ufficio Mercato del Lavoro della
Provincia Autonoma dl Trento istanze per ottenere la concessione del nulla
osta allo svolgimento di lavoro stagionale nel settore agricolo per venti
cittadini bangladesi, corredate di dichiarazioni attestanti falsamente la
sussistenza dei necessari presupposti».

2.

Il Procuratore della Repubblica presso il predetto Tribunale

ha proposto ricorso per cassazione depositato il 28 febbraio 2014, affidato
a due motivi.
2.1. Con il primo, ha dedotto «Violazione di norma sostanziale,

per non corretta interpretazione dell’ambito di applicazione dell’art. 12,
commi 1 e 3 d. Igs. 286/1998». Il giudice del merito ha errato nel basare
la decisione sull’affermazione che il fatto non è più previsto come reato in
conseguenza della sostituzione, nel testo normativo, ad opera della legge
189/2002, delle parole «favorire l’ingresso» con le parole «procurare

l’ingresso». Tale modifica non ha incidenza sul procedimento e non avrebbe
dovuto condurre alla pronuncia di insussistenza del fatto, perché
nonostante sia stato letteralmente riportato nell’imputazione il verbo

«favorire» e non il verbo «procurare», ciò è irrilevante nel caso in esame,
poiché la condotta complessivamente contestata è quella di aver
commesso atti diretti a «favorire» l’ingresso illegale di cittadini stranieri nel
territorio dello Stato, cioè un reato di pericolo a consumazione anticipata

RITENUTO IN FATTO

e, quindi, nulla sarebbe cambiato se si fosse utilizzato il verbo «procurare»,
atteso che il significato di «favorire» comprende quello di «procurare». Il
fatto, dunque, sussiste, e il giudice ha errato nel ritenere mancante
l’elemento del «procurato ingresso», che non è richiesto dalla norma e non
è stato contestato.

2.2.

Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto «Violazione di

applicazione degli artt. 48 e 479 cod. pen. in relazione al caso in cui il
privato presenti false dichiarazioni al fine di ottenere un nulla osta da parte
della P.A.». Occorre tener conto, alla luce della giurisprudenza (Cass.
38226/2008; Cass. 29860/2006) che anche se le false dichiarazioni non
sono integrate da un’attestazione del pubblico ufficiale sulla loro
rispondenza al vero, si considera configurabile il reato di tentato falso
ideologico in atto pubblico per induzione qualora taluno tenti di ottenere la
concessione del permesso di soggiorno mediante false dichiarazioni o
attestazioni. Il giudice del merito ha errato nel ritenere che, a fronte della
presentazione di false dichiarazioni da parte degli imputati alla Pubblica
Amministrazione, quest’ultima non compì alcun segmento della sua attività
tipica e, quindi, non si ebbe inizio di consumazione del reato di falso per
induzione. Dagli atti risulta che la Pubblica Amministrazione non rimase
inerte ma svolse un’attività preliminare al rilascio del nulla osta. In ogni
caso, il giudice del merito, avendo ritenuto che la falsità riguardava
soltanto la dichiarazione del privato e non era stato inficiato anche il
provvedimento da rilasciare, avrebbe dovuto dare al fatto una diversa
definizione giuridica ex art. 521 cod. proc. pen.

3. L’avv. Paolo Delmattè, difensore di Islam Namzul, ha presentato
memoria datata 6 maggio 2015, deducendo l’inammissibilità e
l’infondatezza dei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con riferimento al primo motivo, deve osservarsi che la lettura
dell’imputazione rende evidente come – nonostante l’uso del verbo
«favorire» in luogo del verbo «procurare» nell’ambito delle proposizioni
«compivano atti diretti a favorire illegalmente l’ingresso nel territorio dello
Stato» – in realtà sia stata complessivamente descritta, e quindi contestata

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norma sostanziale, per non corretta interpretazione dell’ambito di

a Islam Nazmul e Gianluigi Tabarelli de Fatis, una condotta
teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale di stranieri nel
territorio dello Stato e, quindi, un comportamento sostanzialmente rivolto
proprio a «procurare» tale ingresso. Nell’ottica accusatoria compendiata
nell’imputazione, infatti, il comportamento dei prevenuti sarebbe consistito
nel presentare alla Pubblica Amministrazione delle istanze corredate da
false dichiarazioni circa la sussistenza dei presupposti necessari, per

settore agricolo per venti cittadini bangladesi. Si tratta, quindi,
indipendentemente da qualsiasi considerazione circa il verbo
concretamente utilizzato nell’imputazione, proprio di un’ipotesi di attività
chiaramente sussumibile nella fattispecie contemplata dall’art. 12, comma
3 lett. a) d.l.vo 286 del 1998. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito,
in proposito, che tale delitto, per la sua natura di reato di pericolo, si
perfeziona per il solo fatto che l’agente pone in essere, con la sua condotta,
una condizione, anche non necessaria, teleologicamente connessa al
potenziale ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato, ed
indipendentemente dal verificarsi dell’evento (Sez. 1, n. 28819 del
22/05/2014 – dep. 03/07/2014, Pancini, Rv. 259915).
Il Giudice a quo, pertanto, se non si fosse limitato a considerare il
dato puntuale costituito dall’uso del verbo «favorire», ma avesse condotto
un’interpretazione complessiva dell’imputazione, non avrebbe ritenuto
erroneamente (come invece si legge nella motivazione della sentenza
impugnata) che il fatto non è più previsto come reato, e sarebbe passato
alle conseguenti valutazioni.

2. Con riferimento al secondo motivo, deve ricordarsi che, secondo
la giurisprudenza di legittimità, non è integrato il tentativo di falsità
ideologica, per induzione in errore del pubblico ufficiale, nel caso in cui
quest’ultimo non si sia determinato, in conseguenza delle false
dichiarazioni rese dal privato, a porre in essere una condotta qualificabile
come atto idoneo e diretto in modo non equivoco all’adozione di un
provvedimento ideologicamente falso, in quanto solo gli atti del pubblico
ufficiale conseguenti alla induzione in inganno possono assurgere ad
elemento del tentativo del falso commesso da quest’ultimo e non già il
mero inganno del privato che può, eventualmente, integrare un diverso ed
autonomo reato (Sez. 5, n. 12034 del 13/12/2007 – dep. 18/03/2008, P.G.
in proc. Fatnassi e altri, Rv. 239104).

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ottenere la emissione di nulla osta allo svolgimento di lavori stagionali nel

Ciò posto, nel caso in esame emerge dalla stessa sentenza
impugnata che, a seguito della presentazione della domanda di nulla osta
al lavoro stagionale, la Squadra Mobile della Questura di Trento condusse,
unitamente al locale Ufficio Mercato del Lavoro e al Servizio Catasto della
Provincia Autonoma di Trento, accertamenti e indagini. È evidente, quindi,
che la Pubblica Amministrazione non rimase inerte, ma inizialmente venne
tratta in inganno e, quindi, compì le attività propedeutiche al rilascio di

fermarsi alla considerazione secondo la quale non era configurabile il reato
contestato di tentativo di falso per induzione in errore, ma condurre le
ulteriori valutazioni per verificare l’ipotesi accusatoria sotto tutti gli altri
profili.

3.

In conclusione, il ricorso va accolto, annullando, senza rinvio,

la sentenza impugnata e disponendo la trasmissione degli atti al Giudice
della udienza preliminare del Tribunale di Trento per il corso ulteriore.

P. Q. M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata e dispone la
trasmissione degli atti al Giudice della udienza preliminare del Tribunale di
Trento per il corso ulteriore.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2015.

quanto richiesto. Il giudice del merito, pertanto, non avrebbe dovuto

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