Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7126 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7126 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto dalla Procura della Repubblica di Brescia,
avverso la ordinanza emessa in data 31 luglio 2015 da parte del
Tribunale del Riesame di Brescia di parziale annullamento della
ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito del
procedimento a carico di Severino ed Arturo Medeghini
limitatamente alla parte in cui la predetta ordinanza non
riconosceva i gravi indizi di colpevolezza anche per il contestato
reato di cui all’art. 416 cp ;
nonché sul ricorso presentato dal difensore degli indagati Arturo
Medeghini e Severino Medeghini, per mezzo del loro difensore,
avverso la ordinanza sopra indicata con la quale il Tribunale di
Brescia, ritenendo i gravi indizi di colpevolezza per i reati
contestati e l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. c cpp
e l’adeguatezza della misura custodiale in carcere, ha confermato
nei confronti dei predetti indagati la misura della custodia
cautelare in carcere ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Luigi Orsi che ha concluso per l’annullamento con
rinvio, in accoglimento del ricorso del Pm, e per il rigetto dei
ricorsi degli indagati ;
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Data Udienza: 13/11/2015

udito per gli indagati l’Avv. Paolo De Zan, in sostituzione
dell’Avv. Piergiorgio Vittorini, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e il rigetto della impugnazione del PM;

1.Con la ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Brescia,
dopo aver ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e le
necessarie esigenze cautelari per svariate ipotesi di bancarotta
fraudolenta addebitabili ai sopra ricordati indagati sia in
relazione all’attività del “Gruppo Medechini” che all’attività
gestionale delle singole società allo stesso facenti parte,
riteneva che non fossero sussistenti i gravi indizi di
colpevolezza per il reato associativo, atteso che i diversi
delitti di bancarotta oggetto di contestazione erano stati
realizzati nell’occasione della gestione dell’attività di impresa
e al fine di salvaguardare l’attività imprenditoriale primigenia
del Gruppo.
1.2 Avverso la sentenza ricorre la Procura territoriale di
Brescia, deducendo il vizio di violazione di legge e travisamento
del fatto.
1.3 Deduce la parte ricorrente che il fine di salvaguardare
l’attività imprenditoriale primigenia del Gruppo societario
facente capo alla famiglia Medeghini, quand’anche sussistente,
costituisce solo un motivo della condotta, come tale irrilevante
al fine di verificare la sussistenza del delitto di associazione a
delinquere, e ciò sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello
soggettivo.
1.4 Deduce inoltre la parte ricorrente che anche la dedotta
finalità del salvataggio dell’attività imprenditoriale primigenia
è comunque frutto di un travisamento del fatto e della prova,
atteso che in molti casi le distrazioni erano state operate in
favore di società non coinvolte nella originaria produzione di
prodotti caseari, come avvenuto nel caso della distrazioni operate
in favore delle società Kriotrans e Delfino ovvero in favore della
Margi srl.
1.5 Avverso la predetta ordinanza del Tribunale del riesame
insorge anche la difesa degli indagati indicati in epigrafe,
affidando la impugnativa a quattro motivi di doglianza.
1.6 Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.
606, primo comma lett. c ed e, la violazione di norme processuali,
e ciò con particolare riferimento all’art. 272, comma 1, cpp e
art. 292, coma l, lett. c, medesimo codice, con conseguenziale
illogicità della motivazione. Deducono, in buona sostanza, i
ricorrenti la nullità dell’ordinanza impugnata per la omessa
indicazione delle fonti di prova e per la mancata autonoma
valutazione da parte del Gip delle esigenze cautelari poste a
sostegno della misura cautelare. Più in particolare, si duole la
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RITENUTO IN FATTO

1.7 Con il secondo motivo di ricorso la difesa degli indagati
deduce, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b ed e, la
violazione delle norme processuali e travisamento della prova con
riferimento alle condotte assimilate a quelle dell’amministratore
di fatto e considerate rilevanti ai fini della valutazione del
pericolo di recidiva. Deduce peraltro che l’affermazione contenuta
nel provvedimento del Riesame di mancata contestazione del profilo
dei gravi indizi di colpevolezza era errata, giacché la
circostanza che la discussione si fosse incentrata sulle esigenze
cautelari non doveva essere considerata come acquiescenza alle
accuse elevate nei confronti degli indagati. Deduce la parte
ricorrente la estraneità degli indagati all’attività di impresa
intestata alle consorti e alle condotte del Medeghini, unico
arbitro del dissesto del Gruppo.
1.8 Con il terzo motivo di doglianza si deduce la inosservanza
ovvero l’erronea applicazione di norme processuali con riferimento
agli artt. 274, comma 1 lett. c e 292 comma 2 ter cpp e la
manifesta illogicità della motivazione. Deducono più nel dettaglio
i ricorrenti la contraddittorietà della motivazione nella parte in
cui, da un lato, il Tribunale del riesame evidenziava che
l’attività svolta dal socio dominante Medeghini Giovanni era
diretta, quale imprenditore individuale ed apportatore di proprie
finanze, ad inseguire l’obiettivo di riassestare le sorti delle
imprese del Gruppo e, dall’altro, non prendeva in considerazione
che l’attività svolta dalle Trivella e Romano, sia prima che dopo
il fallimento, non coesisteva, per natura e finalità, con quella
svolta dal suocero. Deduce la parte ricorrente che non sussisteva
il presupposto dell’attualità del pericolo cautelare, stante la
risalenza nel tempo dei fatti di bancarotta fraudolenta variamente
contestati. Deduce sempre la parte ricorrente inoltre che non vi
era nessuna connivenza tra l’attività di impresa svolta dalle
consorti degli indagati e i fatti distrattivi oggetto di
contestazione. Rileva inoltre la parte ricorrente che il Tribunale
del riesame non aveva valutato la copiosa documentazione
presentata dalla difesa e che aveva solo riproposto la valutazione
delle dichiarazioni rese dai testi Galelli, Cristarella e Bigi.
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difesa dei ricorrenti della mancata indicazione nel provvedimento
genetico delle fonti di prova la cui indicazione era stata
effettuata nel detto provvedimento tramite il richiamo per
relationem alla richiesta di misura del Pm, senza che tuttavia
tali fonti di prova fossero accessibili alla difesa degli
indagati. Si deduce pertanto anche la incostituzionalità dell’art.
292 cpp per violazione dell’art. 111 Cost. costituendo tale
indisponibilità delle fonti di prova un censurabile vulnus alle
prerogative difensive degli indagati. Deduce peraltro la
violazione dell’art. 292, comma 2 lett. c, in quanto l’ordinanza
applicativa della contestata misura custodiale non conterrebbe
un’autonoma valutazione delle esigenze cautelari rispetto a quella
espressa dal Pm.

1.9 Con il quarto motivo di ricorso si deduce la manifesta
illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 275, comma
3, e 292, comma 2 ter, cpp. Deduce la parte ricorrente la
contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione
della adeguatezza della misura applicata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Sul punto e per quanto interessa gli odierni motivi di
doglianza, occorre ricordare che il reato associativo si
caratterizza per tre elementi fondamentali: a) un vincolo
associativo, tendenzialmente permanente, o comunque stabile,
destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti
concretamente programmati; b) una struttura organizzativa idonea a
realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira; c)
l’indeterminatezza del programma criminoso. Quest’ultimo requisito
non viene meno per il solo fatto che l’associazione sia
finalizzata esclusivamente alla realizzazione di reati di un’unica
tipologia, giacché esso attiene al numero, alle modalità, ai tempi
e agli obiettivi dei delitti progettati, che possono perciò anche
integrare violazioni di un’unica disposizione di legge, senza che
ciò incida sulla configurabilità del delitto associativo (Cass.
Sez 6, 14/6/1995, Montani, Cass. pen. 1997,398). Sul versante
dell’elemento psicologico, occorre la permanente consapevolezza di
ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e la
volontà di rendersi disponibile a cooperare per l’attuazione del
comune programma delinquenziale (Cass. Sez. 6, 12-2-1986, Fois,
Giust. pen., 1984, 2, 562; Sez. 1, 15-11-1983, Casini, Giust. Pen.
1984, 2, 649). In quest’ottica, il
discrimen tra il reato
associativo e il concorso di persone nel reato continuato è stato
individuato in ciò che, in quest’ultimo, l’accordo criminoso viene
stretto in via occasionale e limitata, essendo diretto soltanto
alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico
disegno criminoso che li comprende e prevede tutti (Cass. 5-51995,Correnti, Rv. 201907; Cass 5-12-1994, Semeraro, Rv. 200683;
Cass. 15-10-1990, Rv. 185841). Nell’associazione per delinquere
invece l’accordo è finalizzato all’attuazione di un più vasto
programma, volto alla perpetrazione di una serie indeterminata di
delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i
partecipanti, ciascuno dei quali ha la costante consapevolezza di
essere un associato, anche indipendentemente dall’effettiva
commissione dei singoli reati programmati (Cass., Sez. 5, n. 42635
del 4-10-2004, Rv. 229906; Sez 1, n. 30118 del 6-6-2003, Rv.
225037; Cass. 31-5-1995 Barchiesi, Rv. 202192; Cass. 12-5-1995,
Cotinovis, Rv. 201541; Cass. 22-9-1994, Platania, Rv. 199581).
2.1.1 Deve essere riaffermato il principio, cui pertanto anche
questo Collegio intende fornire continuità, secondo cui il
“discrimen” tra reato associativo e concorso di persone nel reato
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2. Il ricorso del Pm è infondato.

2.1.2 Peraltro, va aggiunto che – affinchè un accordo di carattere
preventivo intercorso tra tre o più persone possa essere
ricondotto esclusivamente nello schema del dolo del reato
concorsuale – è necessario che lo stesso sia circoscritto alla
realizzazione di uno o anche più reati, ma sempre singolarmente
ideati ed eseguiti e che esso si esaurisca dopo che questi siano
stati portati a compimento, sia pure a livello di tentativo, e ciò
anche quando i singoli delitti compiuti possano, per effetto del
concreto disegno criminoso che ha presieduto alla loro esecuzione,
essere, per ciascun concorrente – e nei limiti della loro
rappresentazione da parte degli stessi al momento dell’accordo giuridicamente unificati, in tutto o in parte, sotto il vincolo
della continuazione. Ma quando l’accordo abbia carattere generale
e continuativo ed abbia per oggetto l’attuazione di un programma
criminoso, sì che, da un lato esso precede l’accordo particolare
relativo ad ognuno dei delitti genericamente compresi nel
programma ed ai mezzi ed alle modalità della loro esecuzione e,
d’altra parte, esso permane anche e indipendentemente dai delitti
predetti per l’ulteriore attuazione del programma di delinquenza
prestabilito, lo stesso integra uno degli elementi costitutivi del
delitto di associazione per delinquere, il quale, quindi, può
sussistere sia se i singoli delitti genericamente programmati non
siano stati commessi, sia se gli stessi siano stati commessi in
tutto o in parte, sia, infine, se i delitti commessi siano stati,
in tutto o in parte, per tutti o anche per uno solo degli
associati, ritenuti unificati dal vincolo della continuazione (
Cass. Sez. l, n. 8870 del 18/05/1984 – dep. 20/10/1984, ADINOLFI,
Rv. 166217 ).
2.2 Premesso ciò, osserva il Collegio come dalla lettura del
provvedimento impugnato non emerga in realtà l’esistenza di un
preordinato disegno criminoso diretto alla realizzazione di un
numero indeterminato di reati, sebbene anche della stessa specie,
quanto piuttosto un preordinato e limitato accordo diretto alla
commissione di ben specificati reati diretti alla distrazione dei
beni delle società poi dichiarate fallite. Come sopra ricordato,
quando l’accordo criminoso viene stretto in via occasionale e
limitata, essendo diretto soltanto alla commissione di più reati
determinati, ispirati da un unico disegno criminoso che li
comprende e prevede tutti, occorre escludere la configurabilità
dell’associazione per delinquere che invece ricorre allorquando
l’accordo è finalizzato all’attuazione di un più vasto programma,
volto alla perpetrazione di una serie indeterminata di delitti.
2.3 Detto altrimenti, nella partecipazione criminosa l’accordo è
limitato alla realizzazione di uno o più reati e si esaurisce con
la loro consumazione, mentre nell’associazione per delinquere esso
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continuato risiede nel fatto che in quest’ultimo l’accordo
criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto
alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico
disegno che li prevede tutti ( Cass. 36131/2014 ).

2.3.1 Alla luce dei principi sopra enunciati, deve pertanto
ritenersi non censurabile l’affermazione secondo cui i delitti di
bancarotta erano stati realizzati nell’occasione della gestione
complessiva del Gruppo Medeghini, senza che da ciò emerga un
indeterminato programma criminoso diretto alla realizzazione di
indeterminate fattispecie di reato.
2.4. Ne consegue il rigetto del ricorso presentato dal Pm.
3. Ma anche i ricorsi presentati dagli indagati Medeghini Arturo e
Medeghini Severino non meritano accoglimento.
3.1 Già il primo motivo di doglianza è privo di fondamento.
3.2 Deve in primo luogo osservarsi che la indicazione delle fonti
di prova, che peraltro non è prevista dal richiamato art. 292 cpp
tra gli elementi da indicarsi a pena di nullità della ordinanza
applicativa della misura, è comunque ricavabile dalla esposizione
dei gravi indizi di colpevolezza sui quali sia il giudice di prima
istanza che il Tribunale del riesame si sono ampiamente diffusi.
Peraltro, giova anche ricordare che, in seguito alla esecuzione
della ordinanza cautelare, l’intero fascicolo depositato
all’ufficio del Gip per la richiesta di misura cautelare è
ostensibile in forza dell’art. 293, comma 3, cpp. Ne consegue che
nessuna violazione del diritto di difesa è rintracciabile nel caso
di specie e pertanto alcuna violazione dei parametri
costituzionali è rinvenibile nell’art. 292 ‘cpp, con conseguente
manifesta infondatezza della denunzia di incostituzionalità sopra
ricordata.
3.2.1 In ordine alla dedotta violazione dell’art. 292, comma 2,
lett. c, del codice di rito, occorre ricordare che effettivamente
la legge n. 47/2015 si segnala anche per le rilevanti modifiche
apportate sia alle disposizioni del codice di rito che individuano
i requisiti dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare,
sia a quelle che regolano le conseguenze derivanti dalla mancanza
dei predetti requisiti: modifiche chiaramente volte ad evitare,
come emerge dall’esame dei lavori parlamentari, la redazione di
motivazioni “appiattite su quelle del pubblico ministero
richiedente”. Ed invero, ci si riferisce in particolare, da un
lato, all’art. 8 della legge n. 47/2015, che ha inserito alle
lettere c) e c-bis) del secondo comma dell’art. 292, accanto alla
“esposizione”, l’ulteriore requisito della “autonoma valutazione”
degli elementi ivi indicati, e cioè esigenze cautelari, indizi,
irrilevanza delle argomentazioni difensive ; dall’altro, all’art.
11 della legge, che è intervenuto sul nono comma dell’art. 309,
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non si esaurisce dopo la realizzazione dei delitti stessi, ma
permane per l’ulteriore attuazione del programma di delinquenza
prestabilito, il che costituisce quel pericolo per l’ordine
pubblico in cui si sostanzia l’oggetto specifico della tutela
penale ( Cass. 5173/1984 ).

Peraltro, già il testo originario dell’art. 292 disponeva che
l’ordinanza cautelare contenesse tra l’altro, a pena di nullità,
“l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi,
con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e
dei motivi per cui assumono rilevanza” ( cfr. art 292, secondo
comma, lett. c). E successivamente intervenuta la legge n. 332 del
1995, che ha modificato il secondo comma dell’art. 292, sia
precisando che la nullità in questione è “rilevabile d’ufficio”,
sia inserendo nella citata lett. c) la necessità di tener conto
anche del “tempo trascorso dalla commissione del reato”, sia
aggiungendo una lettera c-bis) contenente i seguenti ulteriori
requisiti motivazionali dell’ordinanza cautelare: “l’esposizione
dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli
elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione
della misura della custodia cautelare in carcere, l’esposizione
delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di
cui all’articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre
misure”.
Orbene, in tale contesto applicativo è ora intervenuto l’art. 8
della legge sopra menzionata, che ha “arricchito” le lettere c) e
c-bis) dell’art. 292 di un ulteriore requisito motivazionale,
prevedendosi oggi che l’ordinanza cautelare debba contenere non
solo “l’esposizione”, ma anche “l’autonoma valutazione” degli
elementi ivi rispettivamente indicati. Peraltro, va precisato che
tale ennesima interpolazione operata sull’art. 292 ricalca quanto
già previsto sia nella lett. c) che nella lett. c-bis) che già
prevedevano “l’esposizione” non solo degli elementi fattuali, ma
anche dei percorsi valutativi adottati dal giudice e posti a
fondamento del titolo cautelare.
Occorre a questo punto sottolineare e per quanto qui interessa che
– a differenza di quanto avvenuto nel 1995 – la legge n. 47/2015
ha modificato anche i poteri attribuiti, in fase decisoria, al
tribunale del riesame. Ed invero, è stato aggiunto, al nono comma
dell’art. 309, il seguente periodo conclusivo: “Il tribunale
annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non
contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’art. 292, delle
esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla
difesa”. È dunque evidente che la nuova disposizione costituisce
una deroga al generale principio – anch’esso contenuto nel nono
comma dell’art. 309 – della possibilità di confermare il
provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle
indicate nella sua motivazione.
3.2.2 Ciò posto, osserva tuttavia il Collegio che, come già
correttamente rilevato dal giudice del riesame, nel caso di specie
non è rintracciabile alcuna violazione della dedotta norma
processuale in ordine all’asserita mancanza di autonomia da parte
del Gip nella valutazione delle esigenze cautelari poste a
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ridisegnando i poteri decisori attribuiti al Tribunale del riesame
nelle ipotesi di carenza motivazionale.

4. Il secondo motivo di doglianza presenta profili di evidente
inammissibilità.
giova
ricordare che
cautelari,
In tema di misure
4.1
l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi
dell’articolo 273 cpp, e delle esigenze cautelari di cui
all’articolo 274 medesimo codice è rilevabile in cassazione solo
se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge ovvero
in mancanze o manifeste illogicità della motivazione, risultante
dal testo del provvedimento impugnato ( art. 606, lett. e ), sotto
il profilo della congruità e della completezza della valenza
sintomatica attribuita alle premesse costituite dagli indizi e
dalla coerenza intrinseca delle conseguenze che se ne traggono in
ordine alla prognosi di probabilità della colpevolezza
dell’indagato. Peraltro, va aggiunto che la giurisprudenza di
questa Corte ha avuto modo di precisare ulteriormente che, in tema
di difetto di motivazione, il giudice di merito non ha l’obbligo
di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o
probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a
porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato,
risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché
tale valutazione risulti logicamente coerente. Sotto tale profilo,
dunque, la censura di non aver preso in esame tutti i singoli
elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito
della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una
differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di
una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri (
Cass. Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000 – dep. 08/06/2000, PM in
proc. Garasto ).
4.2 Ciò posto, osserva la Corte che tutte le doglianze sollevate
in
ordine
alla
contestata
gravità
indiziaria,
lungi
8

sostegno della misura custodiale, atteso che il giudice di prima
istanza ha seguito un percorso motivazionale autonomo ed
indipendente nello scrutinio della sussistenza del presupposto
cautelare del periculum. Ed invero, non può assumere rilevanza ai
fini che qui interessano la circostanza che gli elementi fattuali
richiamati dal Gip siano i medesimi rispetto a quelli indicati dal
Pm, stante la necessità che sia invece indipendente ed autonoma la
valutazione del giudice proprio di quegli elementi fattuali
indicati nella originaria richiesta cautelare. Diversamente
ragionando, si perorerebbe una esegesi dell’art 292, in combinato
disposto con il nono comma dell’art. 309, cpp contraria alla
lettera delle norme sopra ricordate e comunque al sistema
processuale delineato dal codice di rito che restringe nelle
prerogative del Pm la ricerca degli elementi di prova da porre a
sostegno delle istanze cautelari, restando al giudice il compito
di valutare i predetti elementi. Del resto, è la stessa difesa dei
ricorrenti ad ammettere che gli elementi di riscontro indiziario
non possono che essere i medesimi, così allineandosi alla
interpretazione qui accolta.

dall’evidenziare un vizio motivazionale del provvedimento
impugnato, tendono invece ad una rivisitazione nel merito, come
tale inammissibile, degli elementi fattuali già valutati dal
Tribunale del riesame.

4.4 A tal proposito, va ribadito ancora una volta che nel giudizio
di legittimità è preclusa alla Corte di Cassazione la
rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, così come l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Ciò
vale anche dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p.,
comma l, lett. e) apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art.
8 in base alla quale è possibile denunciare come causa di
annullamento della sentenza la mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione anche quando risulti “da
altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame”; con tale disposizione, invero, si è ammessa la
deducibilità del cosiddetto “travisamento della prova”,
riconducibile soltanto all’errore revocatorio (sul significante),
in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della
sentenza impugnata non può che essere inteso in senso stretto,
quale rapporto di negazione (sulle premesse): mentre ad esso è
estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova,
ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che
nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere
interpretato per “brani” ne’ fuori dal contesto in cui è inserito.
Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella
valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi
acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel
giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato dal punto
di vista logico il discorso giustificativo sulla loro capacità
dimostrativa; pertanto restano inammissibili, in sede di
legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio
(così Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; v. anche
Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 3, n.
39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 18542 del
21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
4.5 In realtà, i ricorrenti non denunciano alcun vizio di
illogicità della motivazione, ma solamente un “travisamento del
fatto”, stante un’errata interpretazione delle risultanze
documentali ed istruttorie: sono riportate le dichiarazioni
“omesse” di alcuni sommari informatori ( Buffoli, Filippini
Sacchella, Pelizzari, Quartesan ), ma in nessun caso si deduce che
il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una
prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente
diverso, per cui dev e escludersi il vizio di travisamento delle
prove.
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4.3 Deduce altresì la difesa della parte ricorrente anche il vizio
di travisamento della prova.

4.7 n ricorrente non si è conformato agli illustrati principi,
limitandosi a riportare alcuni stralci delle dichiarazioni “non
considerate”, così non consentendo quel giudizio di logica tenuta
della motivazione che è rimesso al giudice di legittimità.
5. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
5.1 Non è invero condivisibile il denunziato vizio motivazionale
in ordine al presupposto dell’attualità del pericolo cautelare.
5.2 n pericolo di reiterazione del reato, posto alla base della
misura cautelare custodiale, è stato motivato dal Tribunale del
Riesame in modo logico e non contraddittorio. Orbene, il giudice
impugnato ha, per un verso, messo in luce la rilevanza e la
entità dei fatti distrattivi che evidenziavano una gestione
“unitaria e spericolata” delle sopra indicate società facenti
parte del Gruppo Medeghini e, dall’altro, ha evidenziato la
attualità del pericolo cautelare, fondando coerentemente la sua
valutazione sulle dichiarazioni rese a sit da Galelli, Cristarella
e Bigi che hanno consentito di accertare l’attualità della
gestione da parte degli indagati di ulteriori compagini
imprenditoriali attraverso la intermediazione di familiari e
conoscenti, e ciò secondo una schema organizzativo già collaudato
prima delle dichiarazioni di fallimento. Sul punto, la motivazione
resa dal giudice della cautela risulta essere pertanto coerente e
non censurabile.
5.3 Le ulteriori doglianze sollevate dalla difesa dei ricorrenti,
sul punto qui in esame, sono addirittura inammissibili. Rileva
infatti la parte ricorrente che il Tribunale del riesame non aveva
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4.6 Peraltro, l’informazione “travisata” (la sua esistenza inesistenza) o non considerata deve, peraltro, essere tale da
inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Inoltre,
la nuova disposizione impone, ai fini della deduzione del vizio di
motivazione, che l’atto del processo sia, come già ricordato,
“specificamente indicato nei motivi di gravame”. Sul ricorrente,
dunque, grava, oltre all’onere di formulare motivi di impugnazione
specifici, anche quello di individuare ed indicare gli atti
processuali che intende far valere (e di specificare le ragioni
per le quali tali atti, se correttamente valutati, avrebbero dato
luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere
nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in
considerazione. Non di meno deve ancora ribadirsi che, qualora la
prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente
ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non
limitandosi ad estrapolarne alcuni brani, giacché così facendo
viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare
compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e,
quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 2,
n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko, Rv. 253073; Sez. F, n. 32362 del
19/08/2010, Scuto, Rv. 248141; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008,
Buzi, Rv. 241023).

valutato la copiosa documentazione presentata dalla difesa e che
aveva solo riproposto la valutazione delle dichiarazioni rese dai
testi Galelli, Cristarella e Bigi. Sul punto, si può richiamare
quanto già sopra riferito in ordine all’impossibilità per la Corte
di legittimità di rivisitare nel merito le risultanze probatorie
già esaminate in precedenza dal giudice del merito.

6.1 Non è in alcun modo rinvenibile un vizio motivazionale nella
valutazione del presupposto dell’adeguatezza della misura
applicata, atteso che il Tribunale del riesame ha logicamente
fondato tale valutazione sulla non idoneità della misura gradata
degli arresti domiciliari in considerazione delle modalità occulte
di gestione delle imprese familiari e sulla gravità delle
distrazioni compiute. Gli ulteriori profili di doglianza sollevati
dai ricorrenti attengono a questioni del tutto inconferenti
rispetto alla censura così avanzata.
Ricorre nel caso di specie l’ipotesi di cui all’art. 94 comma 1
ter disp. att. Cpp con necessità pertanto che copia del
provvedimento sia trasmessa a cura della cancelleria ai
ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Procuratore della Repubblica ; rigetta i
ricorsi di Medeghini Arturo e Medeghini Severino e condanna
ciascuno al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att.
Cpp.
Così deciso in Roma, il 13.11.2015

6. Ma anche il quarto motivo di doglianza non è accoglibile.

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