Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 712 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 712 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONE EMANUELE N. IL 16/03/1954
avverso la sentenza n. 3684/2009 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di GROSSETO, del 24/02/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
le conclusioni del PG Dott. s QuA SI,, ,di_of
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Uditi difensor

;

Data Udienza: 01/10/2013

RITENUTO IN FATTO
1. In data 24 febbraio 2010, innanzi al Tribunale di Grosseto, a seguito
dell’emissione del decreto di giudizio immediato, l’odierno ricorrente aveva
“patteggiato” per vari delitti, fra cui tre ipotesi di corruzione passiva propria; con la
medesima sentenza era stata disposta la confisca per equivalente dei beni
sottoposti a sequestro, fino alla concorrenza di Euro 15.000,00.

Grosseto, sostenendo che la confisca non poteva essere limitata al prezzo della
corruzione di cui al capo n. 7), ma doveva comprendere ogni utilità derivante dai
delitti di corruzione.

1.2. Questa Corte Suprema, con sentenza della VI Sezione, n. 42035 del 2010,
aveva annullato in parte qua la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di
Grosseto affinché stabilisse l’entità complessiva delle somme soggette a confisca, in
particolare osservando quanto segue:
«Della confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter c.p.p. il Gip ha fatto
applicazione con riferimento alla imputazione corruttiva di cui al capo 7 della
rubrica, rilevando che solo in detta fattispecie l’imputato ricevette le somme di Euro
11.500,00 ed Euro 3.500,00 a titolo di vero e proprio corrispettivo e, quindi
‘prezzo’, del reato, mentre le somme indicate al capo 8 della rubrica costituivano
l’utilità economica della condotta illecita ed erano riconducibili quindi alla nozione di
profitto, esulando in tal modo dall’ambito applicativo del cit. art. 322 ter. Tale
assunto è palesemente errato. Come, invero, chiarito in giurisprudenza, in tema di
corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, la utilità data o promessa al
pubblico ufficiale come controprestazione per lo svolgimento dell’azione illecita

1.1. Aveva proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica di

costituisce prezzo del reato (Cass. 09.05.2001, Curtò; sent. 30966 del 2007). È in
base a tale principio, quindi, che doveva (e dovrà, in sede di rinvio) il giudice di
merito stabilire l’entità complessiva delle somme soggette a confísca, tenendo in
considerazione anche il reato di cui al capo 8 della rubrica (dove si usa
specificamente, con riferimento alla condotta del corruttore, la locuzione
“corrispondendo in cambio le utilità”), e ferma restando l’esclusione delle utilità non
conferite, direttamente o indirettamente, al BARONE o non espresse in un valore
determinato. Relativamente alla memoria della difesa, si osserva che sono4.,„
……

improponibili in questa sede i rilievi in essa contenuti. Gli stessi, infatti, o attengono

alla confisca relativa agli importi di cui al capo 7, che non è stata impugnata
dall’imputato, o concernono situazioni prive di corrispondenza nelle contestazioni,
ovvero (e il riferimento vale in particolare per le deduzioni inerenti al capo 8)
mirano a una diversa ricostruzione dei fatti, preclusa ormai, ai fini qui in discorso,
dall’intervenuto patto».

1.3. Il g.i.p., all’esito di nuova udienza camerale, aveva ampliato l’oggetto della

1.4. Contro tale statuizione aveva proposto nuovcYil BARONE, deducendo che
così facendo il g.i.p. non si sarebbe conformato al principio di diritto espresso dalla
sentenza rescindente, secondo la quale ferma doveva restare l’esclusione dalla
confisca delle “utilità non conferite, direttamente o indirettamente, al Barone
oppure non espresse in un valore determinato”; aveva osservato, al riguardo, che
la maggior parte delle somme confiscate per equivalente non erano state riscosse
da lui, bensì da terzi. In relazione al medesimo profilo, aveva censurato il
provvedimento per vizio di motivazione, anche in considerazione all’omesso esame
di una serie di censure che erano state sottoposte all’attenzione del g.u.p.

1.5. Il provvedimento impugnato era, peraltro, stato annullato dalla sentenza n.
4992 del 2012 di questa Sezione per incompetenza funzionale assoluta del giudice
che ha adottato il provvedimento per i seguenti rilievi:
«Erroneamente il Tribunale di Grosseto, a seguito della sentenza di
annullamento pronunziato da questa Corte, ha agito quale giudice dell’esecuzione ai
sensi degli artt. 666 e 676 c.p.p., anziché quale giudice del rinvio in prosecuzione
del processo definito con la sentenza di patteggiamento solo parzialmente
annullata. Tanto si ricava da tutti gli atti del procedimento camerale avviato a
seguito della sentenza di annullamento e da//’incipit del provvedimento oggi
impugnato, nel quale espressamente si legge: “su incidente di esecuzione fissato e
discusso all’udienza del 7 aprile 2011”. Invero, stante l’annullamento del capo della
sentenza di patteggiamento relativo alla confisca, non vi era un provvedimento da
portare in esecuzione. Nè avrebbe potuto applicarsi la competenza del giudice
dell’esecuzione prevista in tema di confisca dall’art. 676 c.p.p., dal momento che
questa viene in rilievo solo quando la confisca obbligatoria non è stata disposta nel
giudizio di merito, mentre nella specie detto giudizio è in parte qua ancora

confisca anche alle utilità risultanti dal capo n. 8) dell’imputazione.

pendente. Piuttosto, a seguito dell’annullamento con rinvio, spettava al g.u.p.
fissare una nuova udienza ai sensi dell’art. 127 c.p.p., per provvedere alla confisca
con provvedimento avente natura sostanziale di sentenza, in quanto volto ad
integrare – nel rispetto del principio di diritto e limitatamente al capo annullato – la
sentenza di patteggiamento del 24 febbraio 2010. La questione non è puramente
nominale, dal momento che alla diversa competenza funzionale ed all’eterogenea
natura dei due provvedimenti (quello nella specie erroneamente adottato e quello

norme in tema di impugnazione: la ricorribilità in Cassazione per la sentenza di
patteggiamento; l’opposizione di cui all’art. 667 c.p.p., comma 4, nel caso di
provvedimento di esecuzione. Consegue, sulla base di tali considerazioni,
l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato in quanto adottato da un
giudice funzionalmente incompetente ed in esito ad un procedimento errato».

2. A seguito di nuova udienza camerale, il GIP del Tribunale di Grosseto, con il
provvedimento oggi impugnato, ha ordinato la confisca dei beni dell’imputato
sottoposti a sequestro preventivo «sino alla concorrenza della somma di euro
56.637,40, con riferimento agli episodi di cui ai numeri 7) e 8) dell’imputazione»,
in quanto costituenti prezzo del reato di corruzione.

3.

Avverso tale provvedimento, il BARONE ricorre ancora una volta per

cassazione, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’apposito albo speciale,
deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p.:
I – erronea applicazione della legge penale ed in particolar modo dell’art. 322ter c.p.;
H – difetto di motivazione.
Il ricorrente lamenta che non potrebbero essere considerate come prezzo del
reato, in particolare con riferimento al reato di cui al capo di imputazione n. 8), le
«utilità> a lui non attribuite direttamente od indirettamente, rappresentando:
– di aver pagato il 50% dei lavori (corrispettivo in totale pari ad euro 11.637,00)
eseguiti in via Giocosa;
– che la somma di euro 9.000,00 è stata percepita dal figlio ALESSANDRO per
pregresse prestazioni professionali;

che si sarebbe dovuto correttamente adottare) consegue l’applicazione di differenti

– che la somma di euro 21.000 è stata versata materialmente (ed in realtà
limitatamente ad euro 15.000) in favore del G.S. Istia D’Ombrone a titolo di
sponsorizzazione.
Lamenta inoltre difetto di motivazione in relazione alla nozione di «utilità»
indiretta, con riferimento alle somme versate a terzi, nonché la mancata
acquisizione della deposizione resa nel separato giudizio ordinario dal presunto
corruttore ACCARDO, che avrebbe chiarito di aver versato somme a tale MELANI,

alcun legame di corrispettività per la precedente vincita dell’appalto: «fatto
questo che non muta il comportamento del BARONE ma che fa divenire il
versamento della somma contestata di euro 11.500,00 non più prezzo del reato,
non più utilità definibile profitto, e, persino, neppure prodotto».
Ha concluso chiedendo la cassazione del provvedimento impugnato.

In data 10 aprile 2013 sono state depositate le conclusioni scritte del P.G.,
riportate in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è in toto infondato.

1. Questa Corte Suprema ha già chiarito, con orientamento che merita di essere
ribadito, che la nozione di «prezzo» del reato (nel caso di specie oggetto della
impugnata confisca per equivalente ex art. 322-ter c.p.) ricomprende il compenso
dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a
commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui
motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato (Sez. un., sentenza n.
9149 del 3 luglio – 17 ottobre 1996, CED Cass. n. 205707).
Le stesse Sezioni Unite (sentenza n. 38691 del 25 giugno – 6 ottobre 2009)
hanno aggiunto che, così definita la nozione de qua, ad essa non può essere
attribuita la definizione di “utilità economica” ricavata dalla commissione del reato;
coerentemente con tale premessa, si è, tra l’altro, escluso, che possano identificarsi
nel “prezzo del reato” il denaro esposto nel gioco d’azzardo, il corrispettivo versato
alla spacciatore per la cessione della sostanza stupefacente, la cosa incautamente
acquistata, il denaro consegnato dalla prostituta al suo sfruttatore.

non al BARONE, in favore del G.S. Istia D’Ombrone, come mero aiuto, e senza

1.1. Ciò premesso, le doglianze del ricorrente appaiono infondate, essendosi il
provvedimento impugnato correttamente conformato al predetto orientamento ed
al dictum del primo provvedimento rescindente, evidenziando compiutamente le
ragioni per le quali riteneva di dover qualificare come “prezzo del reato” le somme
de quibus, inerenti anche ai fatti oggetto del capo 8), inizialmente qualificate come
mere utilità, costituenti al più profitto, ma in realtà costituenti vero e proprio prezzo
del reato (nel senso innanzi indicato), direttamente od indirettamente promesso e

proprio ufficio dettagliatamente indicati nel corpo dell’imputazione, unitamente alle
somme di cui al capo 7), che, come correttamente osservato dal P.G. nella sua
requisitoria scritta, erano state <<già qualificate nella sentenza annullata come
prezzo del reato in quanto direttamente corrisposte al BARONE per gli atti contrari
ai doveri di ufficio ivi specificati (con quantificazione complessiva del prezzo del
reato in euro 56.637,40) dovendo (…) ritenersi non coerenti e rilevanti i rilievi
difensivi (…) in quanto finalizzati ad una ricostruzione diversa dei fatti (rispetto a
quella cristallizzata nelle imputazioni) preclusa dall’intervenuto patto ex art. 444
c.p.p.».

1.2. Invero, il Tribunale (cfr. f. 2 ss. dell’impugnato provvedimento), ha
correttamente premesso che, come evidenziato dalla prima sentenza rescindente,
«i fatti storici delineati nell’imputazione, oggetto di patto, non possono più essere
messi in discussione», il che rende privi di rilievo i separati sviluppi dibattimentali
della vicenda, insistentemente, ma inammissibilmente (in virtù dell’opzione per il
rito alternativo di cui agli artt. 444 ss. c.p.p.) evocati dal ricorrente.

1.2.1. Ha poi qualificato, in corretta applicazione del

dictum della prima

corrisposto al BARONE dal corruttore per indurlo al compimento degli atti contrari al

sentenza rescindente, nonché in accordo con il predetto orientamento
giurisprudenziale, i soli importi confiscati (pari complessivamente ad euro
56.637,40) con riferimento agli episodi corruttivi di cui ai capi 7) ed 8) come prezzo
del reato, ricevuto per sé o per terzi, precisando che «l’assunto del primo g.i.p.,
che qualificava come profitto le suddette somme, è ritenuto palesemente errato, e
al principio di diritto che le considera invece come prezzo questo giudice di rinvio
dovrà attenersi», e che ««l’avverbio “indirettamente” non lascia adito a dubbi ,,……..
sul fatto che anche le somme corrisposte a soggetti diversi, ma strettamente

collegati al BARONE, quali il figlio e la società di calcio di cui era presidente,
costituiscano prezzo della corruzione».

2. Il rigetto totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, udienza camerale 1° ottobre 2013.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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